Nel 1995 Umberto Eco, durante una conferenza alla Columbia University, parlò di Ur-Fascismo, o fascismo eterno. “La prima caratteristica di un Ur-Fascismo è il culto della tradizione”, scrive l’intellettuale, una nostalgia per un passato che è però – come tutte le idee che stanno dietro questa ideologia – “sgangherato”, incoerente, contraddittorio e privo di ogni fondamento. L’Ur-Fascismo somiglia più a un culto esoterico che alla verità storica e forse l’espressione più eloquente di questa mitizzazione del passato è l’ossessione del nazismo per la cultura pagana e norrena, e di Mussolini per quella latina. Anche i cosiddetti fascisti del terzo millennio insistono sullo stesso errore, non solo cercando di riabilitare il Ventennio come un’epoca di prosperità e ricchezza, ma anche come migliore dal punto di vista morale. “Quando c’era lui” è un ritornello così frequente da essere diventato un meme, che è tornato prepotentemente nel dibattito pubblico, accompagnato puntualmente da una serie di falsi miti sul fascismo. Uno di questi è che “quando c’era lui” non c’erano loro, gli omosessuali.
È un’idea abbastanza diffusa, che durante la stagione dei Pride – quest’anno particolarmente vivace, dal momento che ricorre il cinquantesimo anniversario dalle rivolte di Stonewall che diedero vita al movimento di liberazione gay – trova ampio consenso: “Ai miei tempi, queste cose non si facevano”, e variazioni sul tema. In realtà “queste cose” si sono sempre fatte: non solo le persone hanno sempre vissuto il proprio orientamento omosessuale, ma hanno anche espresso identità di genere diverse dalla norma maschio/femmina. In determinati contesti e momenti, è stato possibile persino vivere “out of the closet”, allo scoperto. Ci sono casi storici molto interessanti, come quello di Filippo d’Orléans, fratello del re Sole, che alla corte di Versailles non solo viveva apertamente la sua relazione con Filippo di Lorena, detto “Chevalier”, ma era anche un cross-dresser che vestiva con abiti femminili. Senza necessariamente richiamarsi alle figure della nobiltà – che comunque erano molto più libere del popolo anche nell’esperienza della sessualità – l’omo-transessualità è sempre stata una manifestazione della natura umana e ha trovato espressione in ogni epoca storica.
Pensare che durante il fascismo non esistessero persone omosessuali o transessuali è molto ingenuo, e chi rimpiange i “bei tempi” in cui i treni arrivavano in orario e la morale era solida, forse ignora che non è mai esistita un’età dell’oro eterosessuale, nemmeno durante il fascismo. Questa falsa credenza sull’estraneità dell’Italia alla cultura omosessuale è dovuta anche al fatto che nel nostro Paese non c’è mai stata una repressione organizzata contro la comunità LGBTQ+ da parte del regime. In Italia, infatti, le persecuzioni fasciste contro le persone gay sono state molto blande, pur nella loro efferatezza, rispetto al sistematico genocidio nei campi di concentramento da parte del regime nazista. Come ricostruisce lo storico Giovanni Dall’Orto in Tutta un’altra storia (Il Saggiatore), la Germania di Hitler era dotata di un Ufficio centrale del Reich per la lotta all’omosessualità e all’aborto e anche la scoperta omosessualità del gerarca Ernst Röhm non risparmiò la comunità LGBTQ+ da quello che lo studioso ha definito “omocausto”. Secondo i nazisti, l’omosessualità era una degenerazione, ovvero un’involuzione che minava il trionfo della razza, e per questo andava eliminata come ogni altra minaccia. Per questo gli omosessuali furono sterminati nei campi di concentramento, insieme a ebrei, rom e sinti.
L’Italia, che più volte tentò di imitare le politiche tedesche, si trovò bloccata in un’impasse. La Germania aveva una lunga storia di omosessualità visibile: Berlino era la capitale, insieme a Parigi, della cultura gay dell’epoca. Il primo intervento di riassegnazione chirurgica di sesso al mondo sull’artista Lili Elbe (raccontato nel film del 2015 The Danish Girl) fu eseguito nel 1930 proprio in Germania sotto la supervisione di Magnus Hirschfeld, direttore dell’Istituto per la ricerca sessuale fondato nel 1919. In Italia l’omosessualità era vista dall’opinione pubblica ora come un vizietto, ora come una malattia, e apparteneva alla zona grigia della società. Secondo Dall’Orto, c’era una sorta di “patto non scritto” fra omosessuali italiani e Stato: “Quest’ultimo rinunciava a leggi persecutorie, e in cambio gli omosessuali garantivano la loro pressoché totale invisibilità sociale”.
Durante la stesura del Codice Rocco nel 1927 ci fu un tentativo di creare un articolo contro l’omosessualità che puniva il “reato” con la reclusione da uno a cinque anni. L’introduzione dell’articolo fu però osteggiata da molti giuristi, tanto che lo stesso Arturo Rocco chiarì: “Venne principalmente opposto che il turpe vizio, che si sarebbe voluto colpire, non è così diffuso in Italia da richiedere l’intervento della legge penale. Questa deve uniformarsi a criteri di assoluta necessità […] E ciò, per fortuna, non è, in Italia, per il vizio suddetto”. Questa frase spiega perfettamente l’atteggiamento del fascismo nei confronti dell’omosessualità: punirla significava far emergere quell’invisibilità sociale che allo Stato premeva mantenere, significava ammetterne l’esistenza, e quindi far crollare il mito della virilità italiana, che trovava forza nel culto fascista per l’antica Roma.
Come detto, il culto della tradizione del fascismo ha poco a che vedere con la storia reale. Forse i fascisti si erano dimenticati di leggere il passo di Cicerone in cui Giulio Cesare viene definito “il marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti” o era loro sfuggito quella pagina del De vita Caesarum di Svetonio in cui si racconta che “Cesare ha sottomesso le Gallie, ma Nicomede [il re di Bitinia] ha messo sotto lui”. Se oggi, grazie al romanzo di Marguerite Yourcenar Memorie di Adriano, tutti conoscono la storia d’amore tra l’imperatore Adriano e il giovane Antinoo, anche durante il Ventennio non poteva essere sconosciuta, dal momento che l’imperatore riservò all’amante l’usanza dell’Apoteosi, cioè della divinazione post mortem, dedicandogli centinaia di statue, monumenti e obelischi in tutto l’impero, oltre a una città e una costellazione. Non solo era normale vivere relazioni omoerotiche tra uomini senza minare la propria virilità (a patto che si avesse un ruolo attivo e non passivo nel rapporto sessuale, riservato in genere agli schiavi), ma l’antica Roma era tutto fuorché rigidamente eterosessuale come voleva ricordarla il fascismo.
Nel volume TransAntiquity. Cross-Dressing and Transgender Dynamics in the Ancient World, curato da Domitilla Campanile, Filippo Carlà-Uhink e Margherita Facella, i tre accademici discutono i vari aspetti delle pratiche transgender in relazione alla politica, alla religione, alla letteratura e alla mitologia. Oltre ai numerosi miti, culti religiosi, drammi teatrali e poemi in cui si trovano personaggi trans o queer, anche nella vita quotidiana le pratiche omo-transessuali erano normali. Il cross-dressing, per esempio, era una consuetudine sociale accettabile, come testimonia il caso interessante di un anonimo senatore che vestiva con abiti femminili in senato e di cui si occupò il giurista Sesto Pomponio, stabilendo che “Non c’è differenza tra gli abiti di un uomo e le vesti di una donna”. Ci sono molte fonti sulla libertà sessuale dell’antica Roma che contraddicono la retorica fascista evocata dai nostalgici di oggi.
Eco ha ragione: l’Ur-Fascismo costruisce una storia traballante e a uso personale, attaccandosi a un’idea falsa di età dell’oro in cui tutti erano moralmente ineccepibili, come se tra l’altro essere gay significasse essere immorali. Lo fece Mussolini con il mito di Roma, lo fanno i neofascisti con il mito di Mussolini. Lo scorso anno, Forza Nuova si oppose duramente al Pride celebrato a Pompei, con tanto di distribuzione di volantini che mostravano una Madonna piangente. “Il 30 giugno prossimo Pompei potrebbe vivere uno scenario agghiacciante paragonabile senz’altro alla distruzione dovuta all’eruzione del Vesuvio del 79”, scrissero nel comunicato. Poi poco importa se sui muri del parco archeologico, a pochi metri da dove si è svolto il corteo, si trovano numerosi esempi di arte erotica omosessuale e corpi di coppie gay abbracciate.
L’avanzata dei neofascismi in Italia e in Europa ha forza proprio perché si fonda sull’idea di un ritorno al passato come argine alla degenerazione del presente, in larga parte attribuita all’inesistente ideologia gender e all’allargamento dei diritti LGBTQ+, che minerebbero la “tradizione”. La percezione è che regolarizzando da un punto di vista giuridico diritti e doveri dei cittadini della comunità trans e gay, in qualche modo si incentivi la loro diffusione. È un concetto fallace: le persone gay, lesbiche, trans, queer, genderfluid sono sempre esistite, ma non avevano nomi per identificarsi, oppure erano costrette a nascondersi. Questo è sempre successo, anche nell’antica Roma, anche “quando c’era lui”. Per questo è necessaria un’opera costante di narrazione della storia LGBTQ+, spesso relegata a qualche personaggio di spicco raccontato con morbosità o vaghezza. Come sempre, la cultura è l’unico strumento contro il fascismo eterno perché, come disse Eco alla fine della sua conferenza, “Libertà e liberazione sono un compito che non finisce mai”.