C’è una frase della scrittrice Otegha Uwagba ormai diventata molto famosa negli ambienti femministi: “Gli uomini dovrebbero essere contenti che le donne vogliono parità e non vendetta”. Dopo secoli di soprusi, violenze e marginalizzazione, le donne hanno infatti scelto la strada della nonviolenza per raggiungere una società più equa, anziché ripagare il genere maschile con la stessa moneta. Qualche autrice ha provato a immaginare come andrebbero le cose se le donne, anziché cercare la parità, provassero a rivalersi sugli uomini con l’obiettivo di dominarli: in Ragazze elettriche di Naomi Alderman, per esempio, una mutazione che permette alle ragazze di emettere scosse elettriche dalle mani ispira un sentimento di giustizialismo sommario che crea una specie di dittatura matriarcale. Ma si tratta appunto di un’opera di finzione. Nella realtà, il movimento femminista non ha quasi mai usato la violenza contro le persone, pur mantenendo sempre alto il livello di conflitto e di lotta. Eppure oggi esistono moltissimi commentatori che sono convinti che il femminismo moderno sia “estremista”.
Le ragioni di questa accusa di estremismo, oltre a tradire una sostanziale ignoranza di cosa sia il femminismo, spesso sono dovute al fatto che la critica femminista verso il maschilismo viene confusa come la critica verso il singolo uomo, magari proprio quello che leggendo certe parole si sente chiamato in causa prima di tutto come individuo. “Not all men”, non tutti gli uomini, è la risposta standard che viene data in questi casi, talmente diffusa da essersi meritata anche una pagina su Wikipedia. Questo fraintendimento di base è la radice di un libretto di meno di 100 pagine che sta facendo discutere mezzo mondo: Moi les hommes, je les déteste (Odio gli uomini) di Pauline Harmange.
Anche se ormai nella promozione libraria questa espressione viene usata con troppa leggerezza, Odio gli uomini è un vero e proprio caso editoriale. Pubblicato in Francia dalla piccola associazione culturale Monstrograph, questo brevissimo saggio era stato inizialmente stampato con una tiratura di 450 copie e destinato soprattutto ai lettori del blog di Harmange. La pubblicazione ha però attirato l’attenzione di Ralph Zurmély, un funzionario del ministero delle Pari opportunità francese che si è indispettito per il titolo e per la sinossi presente sul sito di Monstrograph. Zurmély ha subito scritto alla casa editrice per chiederne la rimozione immediata dal catalogo. Questa polemica ha fatto uscire dal circuito indipendente il libro, che è stato ripubblicato dall’importante casa editrice Éditions du Seuil, incuriosendo moltissime persone e facendone infuriare altre, arrivando a essere tradotto e pubblicato in 17 Paesi, tra cui l’Italia. La stampa conservatrice è andata fuori di testa: molti hanno tacciato Harmange di essere un’ipocrita, dal momento che dice di odiare gli uomini ma “è sposata e le piace pure cucinare torte per il marito”.
La tesi di Odio gli uomini è abbastanza semplice: l’autrice rivendica il proprio diritto a essere ostile verso il genere maschile, a cercare la propria realizzazione svincolandosi dalla presenza degli uomini e soprattutto dal loro giudizio. Harmange è anche molto chiara nel definire cosa intende con “uomini”: “tutti gli uomini cisgender, socializzati come tali, che godono dei loro privilegi maschili senza metterli in discussione, o facendolo troppo poco”. Per rendere efficace la trattazione, è anche subito esplicitato l’uso del termine “misandria”. “L’accusa di misandria è un meccanismo di silenziamento”, scrive l’autrice nell’introduzione al libro. Quando una donna avanza una critica verso il genere maschile, ecco che subito qualcuno la accuserà di odiare gli uomini in quanto tali. Non importa se citerà statistiche ufficiali, studi sociali, teorie filosofiche complesse e elaborate, un “tu dici così perché odi gli uomini” tronca ogni possibilità di proseguire il discorso, spostando l’attenzione da ciò che si sta dicendo al piano individuale e personale.
Il discorso di Pauline Harmange è particolarmente significativo in un contesto politico come quello francese, dove i principi razionalisti e secolaristi hanno da un lato creato un efficace modello di parità di genere, ma dall’altro hanno favorito un’uguaglianza di genere puramente formale, senza che fosse veramente messo in discussione il sistema. Se in politica questa “parità a tutti i costi” si traduce in casi assurdi come quello della multa che il comune di Parigi ha dovuto pagare perché ha troppe donne in ruoli manageriali, nell’opinione pubblica ha diffuso l’idea che ci sia un’equivalenza assoluta tra i problemi delle donne e quelli degli uomini e che misoginia e misandria siano due facce della stessa medaglia. Harmange sostiene con forza che non è così, né potrà mai esserlo: lo fa citando le statistiche della violenza di genere che dimostrano come la quasi totalità delle violenze sessuali sia commessa dagli uomini (anche a danno di altri uomini) e spiegando che non si possono mettere sullo stesso piano i sistematici abusi compiuti dagli uomini sulle donne al desiderio di quest’ultime di non averli all’interno delle loro cerchie.
È questa infatti la critica più efficace di Odio gli uomini: la violenza sistematica che il genere maschile ha agito e agisce nei confronti di quello femminile – e in generale, verso tutte le categorie marginalizzate – non può essere in alcun modo messa a confronto con la rabbia, individuale e collettiva, che le donne hanno sviluppato in risposta a questa violenza. Se ogni critica che come donne solleviamo nei confronti “degli uomini” viene subito percepita come misandria, se ogni volta ci troviamo a dover specificare, magari imbarcandoci in lunghe e inconcludenti discussioni con chi non vuole ascoltare, che non intendiamo “tutti gli uomini”, ma “solo alcuni”, perché non rivendicare a questo punto che sì, siamo misandriche e odiamo gli uomini? È questa la provocazione di Harmange, confermata tra l’altro dalla vicenda che ha interessato il suo libro: il funzionario che ha intimato a Monstrograph di ritirare il libro perché incitava all’odio verso gli uomini, nemmeno l’aveva letto. Si era basato sul titolo, senza provare a capirne le ragioni o anche solo ascoltare ciò che Harmange aveva da dire.
A ben guardare, il libro parla di uomini solo superficialmente. Il vero tema è proprio la rabbia femminile, una rabbia che spesso assume i contorni dell’esasperazione. Non è un caso infatti che Odio gli uomini sia l’estensione di un post del blog dell’autrice intitolato “Et puis, épuisée” (E poi, esausta) in cui Harmange parla dell’impegno che l’attivismo politico richiede, lo scoramento e la frustrazione verso chi non capisce o fa finta di non capire. Rispetto alla conciliazione della politica delle pari opportunità e dopo i tentativi rimasti inascoltati di spiegare che il femminismo fa bene anche agli uomini, Harmange avanza una proposta più anarchica che radicale: pazienza, allora facciamo da sole. Una proposta che si inserisce nello stesso solco di un altro testo molto discusso, uscito sempre in Francia, Le génie lesbien (Il genio lesbico) di Alice Coffin, accusato da un giornalista dell’emittente Europe 1 di promuovere “un proposito morale genocida” contro gli uomini.
Ovviamente, né Pauline Harmange né Alice Coffin hanno inventato nulla di nuovo. Il separatismo è una pratica che ha avuto e in parte tuttora ha una grande importanza all’interno del femminismo: l’esclusione dei maschi era motivata sia dalla volontà di non adeguarsi ai metodi dei propri oppressori, sia di rafforzare l’unità tra donne per raggiungere una completa autonomia. Negli anni, anche grazie alla diffusione del movimento nella società, l’esigenza separatista è venuta meno, animata anche dalla fiducia che fosse finalmente possibile fare il passo successivo e includere gli uomini nelle istanze femministe. Per le due autrici francesi, questo invito è stato respinto spesso in modo scomposto dagli uomini, senza nemmeno ascoltare le loro ragioni. Non stupisce, quindi, che qualcuna rivendichi la necessità di farne a meno.