Come l’Italia ispirò Nietzsche a scrivere i suoi maggiori capolavori

Friedrich Nietzsche ha avuto per tutta la vita un’unica, vera paura: perdere il controllo del proprio cervello. Il padre morì quando aveva soltanto cinque anni, dopo un periodo di apatia cerebrale che segnò per sempre la vita del filosofo. La perdita della lucidità, lo sguardo immobile nel vuoto: stessa sorte toccata al nonno e, qualche anno dopo, al giovanissimo fratello Joseph. Friedrich sentiva il peso della condanna, sapeva che prima o poi sarebbe toccato anche a lui. Quando i primi sintomi si manifestarono – fortissime emicranie, dolori agli occhi, vomito – Nietzsche era poco più che trentenne ma aveva già ottenuto la prestigiosa cattedra di lingua e letteratura greca all’università di Basilea. Dovette rinunciarvi, decidendo di preservare la sua salute attraverso una vita da apolide. Il progetto di vivere in luoghi con un clima adatto al suo stato cagionevole combaciava con la sua curiosità per una nazione in particolare: l’Italia, dove sperava di tenere a freno il decadimento del corpo e della mente. Tutto sembrava procedere al meglio, fino a quando non svenne in una piazza di Torino abbracciando un cavallo.

Friedrich Nietzsche

Nietzsche scelse la nostra penisola anche grazie alla lettura del saggio in due volumi Viaggio in Italia di Goethe, che racconta le tappe dello scrittore tedesco durante il suo soggiorno tra il 1786 e il 1788. Nietzsche, un secolo dopo, intraprese il suo personale viaggio in Italia portandosi dietro i due tomi del suo illustre predecessore, affascinato soprattutto dalla descrizione del Sud. Accettò dunque l’invito della scrittrice femminista Malwida von Meysenbug, che l’attendeva a Sorrento. Il viaggio si aprì nel 1876 con una sosta a Genova, ma non iniziò nel modo migliore: il lungo tragitto in treno lo debilitò, costringendolo a rimanere due giorni a letto con forti dolori alla testa. Una volta ripreso, vide il Mediterraneo per la prima volta, provando una nitida sensazione: “L’occhio si è aperto come a un cieco”. Furono giorni felici tra il capoluogo, Rapallo e altre località della costiera ligure, come dimostra il carteggio con i familiari e le sue parole di resurrezione dopo gli anni del grigiore e della paura di sprofondare: “Quando uno va a Genova è come se ogni volta fosse riuscito a evadere da sé: la volontà si dilata, non si ha più coraggio di essere vili”.

Quello che doveva essere un viaggio legato a una riabilitazione fisica e mentale, si trasformò ben presto nella consapevolezza che soltanto in Italia avrebbe trovato il suo posto nel mondo, tanto da proseguire i soggiorni da Nord a Sud per circa dieci anni, periodo in cui modificò radicalmente il suo pensiero filosofico. Quando, nel 1880, Nietzsche decise di trasferirsi a Venezia, inevitabilmente gli venne in mente una delle più importanti personalità tedesche del Diciannovesimo secolo: Richard Wagner. Il celebre compositore tedesco aveva infatti già vissuto a più riprese nella città lagunare, trasferendovisi definitivamente nel 1882, per poi morirci l’anno dopo. Wagner, che a Venezia completò la stesura di Tristano e Isotta e che si commuoveva per i canti dei gondolieri, rappresentava un tasto dolente per Nietzsche.

Richard Wagner

Dapprima grande ammiratore del compositore – tanto da considerarlo ne La nascita della tragedia colui che incarnava l’essenza stessa della musica – riuscì nel decennio precedente a frequentare la tenuta in Svizzera di Wagner e della moglie Cosima, entrando in stretto rapporto con loro. Successivamente però ci fu una rottura ideologica: nel saggio Umano, troppo umano, del 1878, Nietzsche prese le distanze dall’intellettualizzazione dell’arte musicale, associandola a un ottundimento della capacità sensoriale. Durante il periodo veneziano Nietzsche portò il suo pensiero in una dimensione diversa attraverso la scrittura di Aurora, in cui si distaccò dagli ideali decadenti ed estetizzanti dell’opera di Wagner. Ne Il caso Wagner l’attacco al compositore raggiunse il suo apice con il misconoscimento del ruolo dell’opera e il desiderio di abbandonare il mondo antico rappresentato da Wagner. Scrisse che “Un tipo di concezione del mondo si avvia verso la fine e ne nasce una nuova”, e questa frase si concretizzò con la scrittura de La gaia scienza, di Così parlò Zarathustra e con l’avvento del Superuomo.

Come Wagner, anche Nietzsche restò impressionato dalle melodie dei gondolieri e dalla musicalità dell’intera città. Scrisse in Ecce Homo: “Se dovessi cercare un parola che sostituisce ‘musica’ potrei pensare soltanto a Venezia”. Eppure il suo corpo gli chiedeva di cambiare aria: il clima veneziano non era adatto alle sue ossa, desiderava tornare al Sud dopo l’esperienza a Sorrento. Ma, curiosando tra le pagine di Goethe, si rese conto che doveva spingersi oltre, ancora più in basso nella cartina geografica: il richiamo della Sicilia non poteva più essere ignorato.

Goethe scrisse nel suo Viaggio in Italia che “L’Italia, senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto”. Lo scrittore tedesco trovò a Taormina l’ispirazione per la sua Nausicaa, e inoltre realizzò diverse imprese, come scalare gran parte dell’Etna a dorso di mulo. Spinto da questi racconti, Nietzsche nel 1882 partì da Genova su un mercantile a vela e arrivò a Messina. Anche in questo caso, il viaggio non fu dei migliori. I suoi problemi di salute stavano gradualmente aumentando, e fu portato a terra nel porto di Messina su una barella. Trovò posto in un albergo che si affacciava davanti al Duomo, accorgendosi ben presto della calorosa accoglienza dei siciliani, come si evince da una lettera inviata a un amico: “I miei nuovi concittadini mi viziano e mi corrompono nel più amabile dei modi”. Intento a comporre gli Idilli di Messina, Nietzsche lesse un giorno sul quotidiano locale la notizia dell’arrivo in città di un ospite prestigioso. Ancora lui, ormai la sua nemesi: Richard Wagner.

Wagner aveva trascorso dei mesi a Palermo, concentrandosi sulla composizione del Parsifal, e decise di visitare per qualche giorno Messina, probabilmente spinto anche lui dai consigli cartacei di Goethe. Ma mentre Wagner fu accolto in pompa magna, la presenza a Messina di Nietzsche passò pressoché sottotraccia, per cui il celebre compositore non sapeva nulla del suo soggiorno in città. I due non si incontrarono, ma quando Wagner partì Nietzsche si sentì sollevato. Il suo progetto di restare diversi mesi in Sicilia naufragò in seguito a un’ondata di scirocco che mise a rischio la sua salute. Dovette abbandonare l’isola, trovando rifugio a Roma dall’amica di sempre Malwida von Meysenburg. Senza saperlo, stava andando incontro all’amore.

Nella Città Eterna, l’amica scrittrice gli presentò la giovane tedesca di origine russa Lou von Salomè, all’epoca studentessa e in seguito psicanalista e scrittrice. Nietzsche se ne innamorò perdutamente, avvicinandosi a un sentimento che, secondo i biografi, non aveva mai conosciuto in tutta la sua esistenza. Si diedero appuntamento nei pressi di San Pietro, e il filosofo accolse la ragazza con la frase: “Da quali stelle siam caduti per incontrarci qui?”. Dopo mesi di corteggiamento, chiese a Lou di sposarlo. Lei rifiutò, e a nulla valsero le reiterate richieste di Nietzsche. Il rifiuto lo fece cadere in una profonda depressione. L’unico modo che conosceva per restare aggrappato alla vita era scrivere, dunque iniziò a lavorare furiosamente su un’idea che ben presto sarebbe diventata Così parlò Zarathustra.

Lou Von Salomé

Deciso a cambiare nuovamente aria per smaltire la delusione amorosa, Nietzsche scelse di restare in Italia, nazione che ormai l’aveva adottato e nel quale era sbocciato un nuovo filone filosofico all’interno della sua carriera. Si trasferì quindi a Torino, nel 1888, apprezzandone da subito lo stile architettonico, la Mole Antonelliana da lui definita “La costruzione più geniale che sia mai stata costruita, il risultato di un impulso assoluto verso l’alto” e persino i grissini, che era solito chiamare “sottili tubicini di pane”. Eppure dentro di lui qualcosa stava cambiando, c’era in circolo quel seme che temeva potesse diventare una follia irreparabile. Come spinto da una forza superiore, con il presentimento di avere poco tempo a disposizione, nel 1888 lavorò con veemenza a tre diverse opere: L’Anticristo, Il crepuscolo degli dei ed Ecce homo. La fine del rapporto di Nietzsche con Torino e con l’Italia arrivò proprio a causa dell’evento che temeva più di ogni cosa: il crollo mentale.

Era il 3 gennaio del 1889, quando Nietzsche si trovò in piazza Carignano e vide un cocchiere fustigare a sangue un cavallo. Nietzsche, sconvolto, dapprima tentò di fermare l’uomo, poi si avvicinò al cavallo e scoppiò in lacrime. Lo abbracciò, lo baciò dolcemente e infine crollò a terra. Ebbe dei violenti spasmi e svenne. Al risveglio fu riportato nella sua abitazione, mentre gridava di essere Gesù Crocifisso. Qualche studioso del filosofo sostiene che la vicenda sia andata diversamente, e che prima di svenire Nietzsche si era limitato a lamentarsi con la polizia e a insultare il cocchiere. A dar adito alle voci di mitizzazioni dell’episodio c’è un interessante parallelismo: una scena molto simile è infatti presente in Delitto e castigo di Dostoevskij, con il protagonista Raskol’nikov che sogna un cavallo massacrato a bastonate, si avvicina all’animale e lo abbraccia. Ma ormai questa storia è entrata nella leggenda. C’è chi, come i registi Bèla Tarr e Agnes Hranitzky, ha realizzato un intero filmIl cavallo di Torino – incentrato sulla vita dell’animale in seguito all’episodio che ha dato il via alla pazzia di Nietzsche. Sulla reale malattia del filosofo, tutt’oggi non esistono certezze. C’è chi parla di neurosifilide, chi di tumore cerebrale, di psicosi maniaco depressive, demenza frontotemporale o micro-ictus. Di fatto da quel momento la vita di Nietzsche non fu la stessa, come era scritto nel suo destino genetico.

Il cavallo di Torino (2011)

Lasciò Torino dopo pochi giorni. Aveva iniziato a scrivere ossessivamente ai suoi amici quelli che poi saranno chiamati “biglietti della follia”: lettere deliranti in cui si firmava “Il Crocifisso”. L’amico Franz Camille Overbeck lo fece prelevare da Torino per rinchiuderlo in una clinica psichiatrica di Basilea. Gli ultimi momenti di Nietzsche in Italia lo vedono tenuto per le braccia da due uomini, mentre intona i canti popolari dei gondolieri veneziani. Come era successo a suo padre Nietzsche iniziò a perdere progressivamente la memoria, poi l’uso della parola e quello degli arti inferiori. Aveva ormai raggiunto lo stadio finale. Trascorse gli ultimi anni della sua vita in uno stato catatonico, morendo nel 1900 per una polmonite.

Nietzsche viene associato all’Italia quasi esclusivamente per l’episodio del cavallo di Torino, quando in realtà la nostra nazione gli ha regalato anni fertili sotto il profilo filosofico, come dimostra la scrittura delle sue opere più note, e la speranza di poter ricominciare una nuova vita, scappando dagli affanni della sua mente. Alla fine quest’ultima ebbe il collasso tanto temuto, ma per più di un decennio Nietzsche ha vissuto in Italia non da turista, ma da cittadino attivo, da Nord a Sud. In Italia conobbe l’amore, il dolore del rifiuto e la follia, ma soprattutto l’ispirazione prima del buio, lo sviluppo finale del suo pensiero, uno dei più grandi degli ultimi secoli.

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