Alle otto di sera del 26 settembre del 1988 a Trapani, in contrada Lenzi, viene ucciso il giornalista Mauro Rostagno. Un commando di tre killer gli spara mentre, alla guida della sua Fiat Duna bianca, torna da Saman, la comunità socioterapeutca che aveva fondato insieme a Francesco Cardella. La colpa di Rostagno è quella di aver denunciato nelle sue trasmissioni sull’emittente locale Radio Tele Cine (RTC) il potere di Cosa Nostra in Sicilia e le forti collusioni tra mafia e politica locale, soprattutto a Trapani. Eppure solo dopo 25 anni la Giustizia ha stabilito che quello è stato un omicidio di mafia. Il 16 Maggio 2014, dopo anni di depistaggi, menzogne e illazioni, la Corte di Assise di Trapani ha condannato all’ergastolo il boss Vincenzo Virga e Vito Mazzarra, rispettivamente mandante ed esecutore dell’uccisione del giornalista. Quattro anni dopo, però, la Corte d’Assise di Palermo ha assolto Vito Mazzara, nonostante la presenza di sue tracce genetiche sui resti del fucile a canne mozze trovato la sera del delitto a pochi metri dall’auto dove Rostagno fu ammazzato.
Dopo 30 anni non si sa ancora chi abbia sparato al giornalista, ma è certo che fu Cosa Nostra a volerlo morto, per garantire e tutelare gli interessi dei molti minacciati dalle sue inchieste. Nelle 3.035 pagine di motivazioni depositate il 27 luglio 2015 dalla Corte di Assise di Trapani, nel tracciare le ragioni dell’omicidio vengono ricostruiti gli intrecci tra imprese, mafia, politica, e massoneria che dominavano Trapani negli anni Ottanta. A pagina 681 si legge: “Deve ribadirsi che uno dei filoni tematici che con maggiore evidenza si intravedeva nei materiali assemblati da Rostagno, riguarda proprio il tema della massoneria (deviata) e dei suoi rapporti con la politica e con la mafia: con particolare riguardo, per la realtà trapanese, all’inchiesta sul circolo Scontrino”. La vicenda del Centro Studi Antonio Scontrino è l’emblema di come fin dagli anni Ottanta la mafia abbia trovato appoggio e aiuto nelle istituzioni per garantire i propri interessi. Ciò che venne scoperto dentro quel circolo culturale avrebbe dovuto generare una reazione decisa dello Stato, che non c’è stata.
Trapani negli anni Ottanta è una provincia rurale, apparentemente placida e quieta, lontana dall’opulenza palermitana. Ma “la città dei tre mari” e Il suo porto sono uno snodo cruciale per il traffico di armi e droga. Qui arrivano i carichi dall’estero, mentre nella provincia operano le raffinerie di droga come quella di Alcamo, scoperta il 30 maggio 1985. Nell’inverno del 1988, sulla costa tra Castellammare e S. Vito Lo Capo arriverà la Big John, una nave che trasportava oltre 600 kg di cocaina. Quel carico sarà la prova del legame esclusivo fra Cosa Nostra e il cartello di Medellin. I boss indiscussi della zona sono Mariano Agate e Francesco Messina Denaro, detto don Ciccio, padre di Matteo. Il traffico di droga e di armi portano in città enormi quantità di denaro, ovviamente da ripulire. E non è un caso che una piccola città come Trapani, pur avendo uno dei redditi medi più bassi d’Italia, abbia 23 banche e 120 sportelli bancari, dove affluiscono il 40% dei depositi di tutta l’isola. Trapani è la città d’Italia con il più alto numero di società finanziarie e di sportelli bancari in rapporto alla popolazione. In questo contesto le sparizioni e gli omicidi di matrice mafiosa sono all’ordine del giorno, ma interessano a pochi. Tranne quando a morire sono nomi importanti. Come quando il 13 agosto 1980 viene ucciso il sindaco della città, il democristiano Vito Lipari. O nel 1983, quando la mafia uccide il giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto. Il 2 aprile del 1985, Cosa Nostra vuole far saltare in aria il sostituto procuratore Carlo Palermo, lungo la strada provinciale che attraversa Pizzolungo. Il giudice stava viaggiando verso il palazzo di Giustizia di Trapani a bordo di una Fiat 132 blindata, seguito da una Fiat Ritmo di scorta. Mentre l’auto di Carlo Palermo supera una Volkswagen guidata da Barbara Rizzo, 30 anni, che accompagna a scuola i figli Giuseppe e Salvatore Asta, gemelli di 6 anni, viene fatta esplodere un’utilitaria parcheggiata sul ciglio della strada e carica di tritolo. L’auto di Barbara Rizzo fa da scudo all’auto del sostituto procuratore che rimane solo ferito. Nella Scirocco investita dall’esplosione muoiono la donna e i due bambini.
Il circolo Scontrino di Trapani è un centro culturale con sede in un palazzo della centralissima via Carreca: qui il suo presidente, il professor Giovanni Grimaudo, organizzava dibattiti politici, incontri culturali e tavole rotonde a cui erano invitati personaggi noti della politica e della cultura. Nel gennaio del 1986 arriva in questura un esposto sulla nuova nomina del comandante e del vice comandante dei Vigili del fuoco. In quella che sembra una delle tante lettere anonime su presunte irregolarità in un concorso c’è però anche una soffiata: “Se decidete di indagare date un’occhiata a quelle logge del circolo di cultura”. Dal 1983 a capo della squadra Mobile c’è Saverio Montalbano: è stato lui a incastrare gli assassini della strage di Pizzolungo e ad aver scoperto la raffineria di Alcamo. Sulla base di quella soffiata decide di fare irruzione nel circolo Scontrino, la mattina del 6 aprile 1986. Dentro il palazzo barocco di via Carreca i poliziotti sequestrano gli elenchi di sette logge massoniche con circa 200 iscritti, apparentemente regolari. Dentro un armadio viene però ritrovato dell’altro: appunti riservati, una valanga di raccomandazioni, richieste di trasferimenti, favori. Ci sono anche delle tessere massoniche non registrate nelle liste ufficiali. Dentro lo Scontrino, infatti, non si tenevano soltanto convegni e incontri culturali. Era anche la sede di sei logge massoniche: Iside, Iside 2, Hiram, Cafiero, Ciullo d’Alcamo, Osiride. Si scopre l’esistenza di una settima solo indagando su quelle tessere non registrate: si chiamava Loggia C, una loggia segreta e deviata, guidata dal Gran Maestro Giovanni Grimaudo, il presidente del circolo Scontrino. Nella loggia massonica coperta c’erano tutti: funzionari del Comune, della Provincia e della Prefettura, insieme con commercianti, imprenditori e anche un deputato della Democrazia cristiana. Ma c’erano anche i boss mafiosi Mariano Agate di Mazara del Vallo, Natale L’Ala di Campobello di Mazara, Mariano Asaro di Castellammare del Golfo, ricercato per avere organizzato la strage al tritolo di Pizzolungo, Vincenzo Rimi figlio di Natale Rimi, boss della famiglia di Alcamo, e Gioacchino Calabrò ritenuto l’autore della strage di Pizzolungo. Tutti insieme, i “fratelli” riuniti nelle Loggia C, sotto la copertura del centro culturale Scontrino, decidevano le sorti della città di Trapani e dell’intera provincia.
Tre anni dopo il sostituto procuratore Francesco Messina, titolare dell’inchiesta giudiziaria sulla Loggia C, nella requisitoria depositata al tribunale di Palermo il 13 dicembre 1989, scrive: “All’interno della loggia esisteva una miscela scellerata di amministratori, politici, faccendieri ivi compresi strani prelati ed esponenti del gotha mafioso”. Quella requisitoria si sofferma poi su un altro particolare aspetto della vicenda: la sorte del commissario Montalbano. “Non va sottaciuta poi – prosegue il sostituto procuratore – la circostanza davvero inquietante relativa alla retrocessione di Montalbano avvenuta dopo pochi giorni, il 29 aprile del 1986, dalle perquisizioni nei locali del circolo Scontrino”. L’allontanamento del capo della Mobile era sembrato sospetto fin da subito: per quale motivo il questore di Trapani Mario Gonzales aveva deciso di tagliare fuori il poliziotto più capace di Trapani? La versione ufficiale diceva che Montalbano faceva un uso improprio dell’auto di servizio, andando a far la spesa con la vettura blindata dell’ufficio anche se non esiste nessuna sanzione disciplinare legata a questa versione. Così, dopo avere incastrato gli assassini della strage di Pizzolungo, aver scoperto una raffineria dove si producevano ogni settimana cento chili di eroina e aver trovato le prove dell’intreccio fra mafia, massoneria e istituzioni, Montalbano il 29 aprile del 1986 – ventitré giorni dopo la perquisizione al circolo Scontrino – viene prima retrocesso a vice e poi definitivamente trasferito. Montalbano doveva andarsene. Negli ambienti massonici si fece festa per quel trasferimento, che era diventato il fiore all’occhiello del Gran Maestro della Loggia C. Il professor Grimaudo aveva dimostrato di potersi disfare di chiunque osasse intralciare le sue attività.
Le indagini condotte in seguito dalla magistratura scopriranno che la loggia deviata trapanese era legata alla P2 e che fu lo stesso Licio Gelli ad inaugurarla nel 1980. Ci saranno 34 comunicazioni giudiziarie indirizzate a uomini politici e boss, professionisti e burocrati. Nel dicembre del 1992 il direttore del centro Scontrino, nonché Gran Maestro, Gianni Grimaudo comparirà davanti ai giudici del tribunale di Trapani, insieme con il numero due della Loggia C Natale Torregrossa e altri sei fedelissimi. La sentenza del 5 giugno 1993 ha condannato a 3 anni di reclusione Grimaudo e a due Torregrossa. Per la prima volta nella storia giudiziaria italiana, sono stati condannati degli esponenti di logge massoniche per “direzione e organizzazione di associazione segreta”. A conclusione della lettura della sentenza, il pubblico ministero ha sottolineato: “Questo lavoro non è il punto di arrivo di un’ inchiesta, ma una tappa, perché quella di Trapani è soltanto la punta di un iceberg che va fatto emergere”.
Ma c’è ancora tanto da far emergere, se è vero – come pensano in molti – che quella rete di potere e interessi sia la stessa che protegge ancora oggi Mattia Messina Denaro.