Qualche anno fa qualcuno mi disse che somiglio a Monica Vitti, per via delle lentiggini e del colore dei capelli, immagino. Sul momento la cosa mi lusingò molto, essendo lei un’attrice che stimo sotto tanti punti di vista. Certo, di questo paragone a compiacermi era in particolare la sensazione di essere associata a una persona universalmente riconosciuta come “bella”. Se mi avessero detto “mi ricordi tanto la figlia di Fantozzi” non credo l’avrei presa con lo stesso entusiasmo, ecco. Insomma, ero convinta che avere questo certificato di somiglianza equivalesse ad avere una garanzia di beltà in tasca. Poi però, ho cominciato a sospettare che l’ufficio che rilascia questi documenti non fosse poi così selettivo nelle nomine di Monica Vitti dei noialtri: giorno dopo giorno, una nuova foto-profilo con l’attrice musa di Antonioni si palesava nel mio feed di Facebook. Non solo: oltre alle innumerevoli sosia di Monica Vitti, anche i ragazzi cominciavano a usarla come immagine di un modello femminile alternativo da proporre con didascalie che sospirano un “perché non sono tutte come te”.
Potevo aspettarmelo, del resto, che avrei trovato il volto di questa attrice nella lunga lista di immagini associate a una dichiarazione di appartenenza a qualche categoria, sia dell’anima che del corpo. Un po’ come chi a Carnevale si veste da Frida, manifestando in quel mono-ciglio tutta la ribellione del suo spirito, l’uso di un primo piano della Vitti coi capelli scompigliati dal vento e lo sguardo languido contiene in sé un bagaglio di informazioni che si vuole sottintendere. Monica Vitti è bella, ma non in modo banale, è l’attrice simbolo di un certo cinema italiano di qualità, è divertente, auto-ironica, ed è affascinante come un oggetto di antiquariato che racchiude tutte le meraviglie dell’epoca a cui appartiene – gli spettacolari anni ’60. Per ogni foto-profilo con una Vitti in bianco e nero sepolta dai suoi meravigliosi capelli, c’è una ragazza che si riconosce in un modello femminile alternativo, fuori dal comune: in sostanza, c’è una Manic Pixie Dream Girl, una giovane donna che si vanta del suo essere lontana dagli stereotipi abbracciandone uno ancora più subdolo, quello della ragazza diversa. La ragazza che guarda i film in bianco e nero, che annusa le pagine di un libro ingiallito, che abbina abiti vintage a frangetta regolare. Insomma, la ragazza in stile Zooey Deschanel, vanitosa ma in modo ironico, colta ma alla mano.
Monica Vitti, però, non è solo questo. Oltre al suo valore estetico, supportato da un eclettismo che non è così facile individuare in altre dive del cinema del suo genere, è stata protagonista di alcuni dei migliori film che siano mai stati fatti in Italia. Oggi siamo più o meno abituati alla presenza di attrici che sanno essere prima di tutto brave e versatili, tanto da far passare il classico aspetto fondante della carriera di chi lavora nello spettacolo – la bellezza – in secondo piano. Jennifer Lawrence, ad esempio, è stata in grado di interpretare ruoli molto diversi, dal drammatico di Silver linings playbook, al macchiettistico di American Hustle, conquistando Oscar, approvazione del pubblico e immensa popolarità – dovuta molto anche al suo carattere spontaneo e affabile che la assolve da quella tipica posa da grande star. Ecco, Monica Vitti è la pioniera di questo fenomeno, perché è stata in grado di creare un equilibrio perfetto tra gli elementi che la caratterizzavano come attrice.
Certo, in quegli anni c’erano anche Sophia Loren, Claudia Cardinale, Anna Magnani, Mariangela Melato, e cadere in una trappola di amarcord da “all’epoca era tutto più bello” non è difficile. Quello che differenzia Monica Vitti dalle sue – straordinarie, senza dubbio – colleghe, però, è che ognuna di loro manteneva viva la caratteristica principale da cui era partita per poi adattarla ad altre manifestazione del loro talento. Sophia Loren, per quanto sia stata in grado di cimentarsi anche in performance molto lontane da quelle a cui era solita come in Una giornata particolare di Ettore Scola, rimaneva comunque attaccata al tratto distintivo grazie a cui era emersa: la sua espressività caricata, sia nei tratti che nel modo. Monica Vitti, invece, non aveva mai bisogno di trasformarsi in una caricatura per essere divertente, né in una maschera tragica per commuovere.
Dalla trilogia dell’incomunicabilità di Antonioni, fino a La ragazza con la pistola di Monicelli, passando per Dramma della gelosia di Scola e Amore mio aiutami in cui fa coppia con Alberto Sordi, Monica Vitti ha dimostrato che per divertire non occorre essere imbruttite o ridicolizzate, che per essere belle non occorre essere serie e altezzose, e che non è nemmeno necessario fare solo film di un certo tipo per conquistarsi lo scettro di grande attrice. Contro ogni stereotipo che incasellava – e in parte incasella tutt’oggi – la donna nello squallido vicolo cieco della “comicità al femminile”, che diverte gli uomini perché è qualcosa di inusuale e le donne perché è qualcosa in cui riconoscersi, quando Monica Vitti interpreta Assunta Patanè, riesce nell’ardua impresa di far ridere tutti, indistintamente. Non perché è una donnina sexy che si trova in una situazione di ambigua comicità in stile commedia all’italiana e nemmeno perché è una moglie frustrata in ciabatte che rincorre il marito che la cornifica: fa ridere perché è divertente, punto. Allo stesso modo, quando la vediamo recitare in film come Deserto rosso, la sua interpretazione non sfocia mai nell’eccesso di pathos, in quella facile scappatoia sempreverde dello sguardo intenso da donna affranta e della recitazione mormorata. Monica Vitti, in sostanza, è una grande attrice perché prima di recitare come una bella donna, o come una donna simpatica, recita come una persona, al di là del suo sesso, del suo aspetto, della sua formazione da attrice “seria”.
Non so se tutte le ragazze e tutti i ragazzi che hanno usato la sua foto lo abbiano fatto con l’intento di aderire a un qualche manifesto non scritto a supporto della ragazza diversa. Non so nemmeno se tutte quelle mie amiche di Facebook che hanno usato un primo piano preso da Anatra all’arancia sappiano effettivamente di che film si tratti, e non pretendo che conoscano la filmografia dettagliata di Monica Vitti per poterne usare un’immagine. Sta di fatto però che – ahimè – noi che crediamo di somigliare a Monica Vitti solo perché abbiamo qualche lentiggine sparsa sul naso, una fascinazione per i tagli di capelli anni ‘60 e un senso dell’umorismo di cui andiamo fiere siamo davvero tante, e se ci raggruppassimo tutte in un raduno nazionale ho il timore che nessuna di noi vincerebbe il premio di sosia ufficiale. Nel frattempo, mentre aspettiamo la convocazione per l’evento pubblico alla fiera delle controfigure – ruolo che, per inciso, ha interpretato anche Fiorella Mannoia facendole da stuntwoman – potremmo rendere giustizia a questa incredibile attrice non solo usandola come se fosse niente più di un post da Tumblr, ma guardando con attenzione anche tutti gli aspetti della sua carriera che vanno oltre la semplice fascinazione per la sua immagine.
Questo articolo è stato pubblicato la prima volta il 21/12/17.