Come il Metodo Montessori libera i bambini dagli stereotipi di genere
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Sono passati più di cento anni da quando Maria Montessori, nel 1907, fondò il suo primo asilo. Eppure il suo metodo di insegnamento, famoso a livello mondiale, come tutte le invenzioni geniali è sopravvissuto alla sua creatrice. Ancora oggi, nonostante le critiche dei più scettici, il Metodo Montessori rimane un modello pedagogico valido ed estremamente moderno. Esiste un’ampia letteratura che analizza i suoi benefici sulla formazione dei bambini, che sottolinea soprattutto come promuova l’autonomia e il pensiero innovativo e ci sono diversi articoli che elencano gli imprenditori di successo di formazione montessoriana (dal CEO di Google Larry Page a Jimmy Wales, fondatore di Wikipedia). C’è, però, un particolare che raramente viene preso in considerazione: il Metodo Montessori favorisce la parità di genere e contribuisce a una formazione priva di stereotipi. Questo aspetto emerge dall’approccio pedagogico, pur non essendo chiaramente dichiarato tra gli obiettivi. Infatti, nonostante Maria Montessori fosse una femminista militante, nei suoi scritti il riferimento al genere non compare esplicitamente. Del resto nei primi anni del ‘900 si era ancora ben lontani dal percepire come problematici gli stereotipi legati al genere. In quegli anni molti studiosi sostenevano il determinismo biologico che vede i fattori genetici (come quelli legati al sesso e alla razza) come condizionanti il comportamento, le capacità e l’intelligenza dell’individuo. Maria Montessori non era certo di questo avviso, ma riteneva (prima che le neuroscienze le dessero ragione) che i bambini a livello cognitivo avessero tutti lo stesso potenziale. La sua pedagogia, quindi, già ai primi del ‘900, si rivolgeva a tutti allo stesso modo, senza distinzioni.

Maria Montessori in una scuola di Londra, 1946

Ciò che risulta interessante, è proprio come l’approccio montessoriano vada a porre le basi per la parità in modo naturale e implicito. Non potremmo mai paragonare una scuola Montessori agli asili gender-neutral che stanno nascendo in Svezia, dove l’attenzione è specificamente rivolta a eliminare il più possibile le disparità tra maschi e femmine: la prospettiva è diversa perché nella pedagogia Montessori la parità viene favorita come conseguenza diretta del pensiero e dei valori che ne costituiscono la base. Il Metodo Montessori parte dall’idea che ogni bambino abbia una naturale propensione a imparare, e una mente “assorbente” che apprende in modo inconscio. Il miglior tramite all’apprendimento è quindi l’esperienza: l’insegnante organizza l’ambiente considerando l’età e il periodo formativo degli alunni e predispone una serie di attività (soprattutto pratiche, specialmente nei primi anni di vita) a cui il bambino potrà approcciarsi e che andranno a suscitare il suo interesse. Per questo, negli anni, Montessori ha ideato e brevettato il cosiddetto “materiale Montessori” ossia tutta una serie di oggetti e attività che variano in base alla fascia di età e sono studiati per sviluppare le capacità, la curiosità e le conoscenze di bambini e ragazzi. All’interno dell’ambiente, predisposto a sua misura, il bambino è lasciato libero di scegliere come muoversi e di sperimentare nei limiti del rispetto per gli altri, per il materiale e per l’ambiente stesso.

Partendo da questa impostazione, ci sono diversi elementi che rendono le scuole Montessori particolarmente positive in un’ottica di parità di genere. Innanzitutto l’ambiente, che come abbiamo visto gioca un ruolo fondamentale, è tendenzialmente neutro. Non ci sono luoghi o giochi specifici per bambine o bambini e lo stesso vale per il materiale, lasciato alla scelta del bambino. Anche i colori utilizzati non hanno mai una valenza di genere, ma una simbologia e uno scopo pedagogico. La Torre Rosa, ad esempio, è un materiale sensoriale creato per l’asilo dove diversi cubi di varie dimensioni devono essere impilati dal più grande al più piccolo. Il tradizionale colore rosa, lungi dal riferirsi al genere femminile, è stato scelto dopo averne sperimentati vari e aver osservato che la preferenza degli alunni cadeva spesso su quello (è, tra l’altro, un rosa tenue e poco appariscente per spingere il bambino a concentrarsi sulla forma dell’oggetto escludendone le altre caratteristiche).

La classe, dunque, viene preparata dall’insegnante per tutti i bambini che saranno poi liberi di interagire a piacimento con l’ambiente. Tra le occupazioni proposte agli alunni sono presenti anche le cosiddette “attività di vita pratica” che possono variare dallo spazzare per terra al pulire i vetri o i tavoli della classe, ma anche ripiegare i calzini, lavare i piatti o sbattere i tappeti. Tutte queste operazioni possono essere svolte dagli alunni grazie a utensili a loro misura e hanno una duplice funzione. Da un lato insegnano ai bambini il valore della cura per i propri spazi e oggetti (l’asilo è chiamato “Casa dei bambini” proprio perché questi lo percepiscano come un luogo che appartiene loro), dall’altro questi gesti pratici sono funzionali a sviluppare manualità, ordine e logica. È interessante notare come molte di queste attività si possano considerare tradizionalmente “femminili” ma vengano proposte sotto una luce diversa, sia a maschi che femmine, in modo del tutto svincolato dalla connotazione di genere. Cucire o avvitare bulloni per Montessori sono semplici mezzi per allenare la mano alla scrittura, lavare una bambola serve a trasmettere l’importanza dell’igiene personale, e apparecchiare la tavola è un modo perché i bambini delle elementari capiscano l’importanza della collaborazione e dell’organizzazione.

Un altro fattore fondamentale è poi quello della scelta. L’intero Metodo Montessori è basato sullo sviluppo del bambino in base ai suoi tempi, alle sue necessità e alle sue inclinazioni. L’attenzione è sull’individuo nella sua unicità, al di là dei preconcetti e degli stereotipi. Per questo, il percorso di apprendimento è individuale: nelle scuole montessoriane non esistono lezioni frontali di classe, la maestra presenta il materiale singolarmente o a piccoli gruppi e saranno poi gli alunni a scegliere su cosa lavorare, provando le varie attività a rotazione. Ogni alunno seguirà un proprio percorso e starà all’insegnante accompagnarlo verso i diversi obiettivi di apprendimento, stimolando il suo interesse. Questo aspetto risulta fondamentale nell’eliminare i condizionamenti che possono nascere nell’ambiente scolastico. Dal momento che è il bambino a scegliere il percorso di apprendimento secondo le proprie inclinazioni, tutto il focus è sulle peculiarità della persona, togliendo spazio a ogni generalizzazione. Anche l’insegnante nel Metodo Montessori ha un ruolo particolare: non è mai il fulcro, la fonte del sapere e delle informazioni, ma solo un mezzo per aiutare il bambino nel suo percorso personale e autonomo. Il fatto che l’adulto abbia un ruolo piuttosto marginale (funzionale al metodo e alla corretta predisposizione dell’ambiente e del materiale) limita l’influenza che questi ha sui bambini e, così, anche l’eventuale trasmissione di pregiudizi (anche di genere) che chi è cresciuto in una società ricca di stereotipi ed etichette può avere ormai inconsciamente interiorizzato.

Il Metodo Montessori, poi, si collega alla parità di genere anche per il modo in cui gestisce la  competizione in classe. Secondo alcuni studi le bambine iniziano a perdere la fiducia nelle proprie capacità già nei primi anni di scuola e, rispetto ai coetanei maschi, tendono a sottostimarsi e a ritenersi inadeguate per determinate materie (ad esempio, nel caso delle STEM sembra che la scuola primaria sia particolarmente cruciale per smorzare o rafforzare i pregiudizi che le vedono tradizionalmente come materie “maschili”).

L’approccio individuale delle scuole Montessori aiuta a diminuire la tendenza a paragonarsi agli altri perché l’apprendimento viene visto come un’esperienza che, per quanto condivisa con i coetanei, rimane personale. Non esistono voti né compiti in classe. L’insegnante inizia a introdurre il concetto di valutazione solo verso la fine delle elementari spingendo l’alunno ad autovalutare il proprio lavoro. L’idea di fondo, infatti, è quella di mantenere verso il lavoro del bambino un’ottica positiva priva di giudizio. “Se a un bambino vengono dati premi e punizioni significa che non ha l’energia per guidare se stesso e che l’insegnante lo sta soverchiando e lo sta dirigendo” spiega Montessori. L’alunno, tramite il materiale (che “funziona” solo in un determinato modo che va scoperto), è spinto all’“autocorrezione”, a capire l’errore e controllarlo, senza bisogno che l’adulto intervenga. Tutto questo porta il bambino a non sentirsi giudicato né dall’insegnante né dai compagni, ma a concentrarsi unicamente sui propri passi avanti: “La cosa migliore è fraternizzare con l’errore che poi non spaventerà più, sarà come una persona amichevole che vive in mezzo a noi e svolge il suo compito, perché ne ha uno”. È un approccio che, anche in questo caso, favorisce la parità: riduce, infatti, la tendenza a fare paragoni tra alunni e alunne nel rendimento e nella “propensione” a determinate materie. Riduce anche la pressione al perfezionismo che tende a essere comune soprattutto nelle bambine.

Il fatto che il Metodo sia in grado di proporre un’istruzione che favorisce la parità spostando semplicemente l’attenzione verso le peculiarità dell’individuo, la sua libertà e le esperienze che possono aiutarlo a crescere, non si può ignorare. Mentre all’estero il Metodo è sempre più diffuso, in Italia, al momento, stando ai dati forniti dall’Opera Nazionale Montessori, esistono circa 127 Case dei Bambini tra istituti pubblici e privati, 67 scuole primarie Montessori e 9 scuole secondarie. In certe Regioni però, la possibilità di scegliere un’alternativa montessoriana per i propri bambini è ancora terribilmente scarsa. Sarebbe importante coltivare e incentivare lo sviluppo di queste realtà dando a un maggior numero di bambini la possibilità di beneficiare di un metodo che, non solo si rivela da anni proficuo per l’apprendimento, ma che aiuta a formare individui più liberi da stereotipi.

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