Tra il 20 e il 21 luglio 1969, circa 900 milioni di persone, tra cui venti milioni di italiani, passarono la notte davanti alla televisione per seguire il primo passo dell’uomo sulla Luna. La diretta televisiva della Rai, condotta da Tito Stagno, fu una delle più lunghe e accurate d’Europa, con centocinquanta ospiti in studio e continui collegamenti con Ruggero Orlando, il corrispondente dagli Stati Uniti. Piero Angela, allora giornalista Rai impegnato nella serie di documentari Il futuro nello spazio, aveva già assistito a cinque partenze del progetto Apollo e si preparava a seguire la sesta da un albergo di New York. “Agli operatori che mi accompagnavano chiesi di ignorare il lancio e di riprendere le facce del pubblico. Ciò che notai fu l’emozione, quasi fisica, che riguardava indistintamente i parenti degli astronauti quanto gli estranei. Vidi gente piangere senza ragione”, ricorda Angela.
In un articolo pubblicato il giorno successivo sul quotidiano La Stampa, intitolato La luna e noi, Primo Levi marcava però una netta differenza fra lo stupore degli addetti ai lavori e quello dei cittadini comuni, notando come l’avvicendarsi delle tecnologie e delle grandi conquiste avesse assuefatto larga parte del pubblico, inibendo la sua capacità di meravigliarsi. “Noi molti, noi pubblico, siamo ormai assuefatti, come bambini viziati: il rapido susseguirsi dei portenti spaziali sta spegnendo in noi la facoltà di meravigliarci, che pure è propria dell’uomo, indispensabile per sentirci vivi. […] peccato, ma questo nostro non è tempo di poesia: non la sappiamo più creare, non la sappiamo distillare dai favolosi eventi che si svolgono al di sopra del nostro capo”.
La poesia a cui Levi fa riferimento è una delle tante cose che oggi leghiamo al concetto di meraviglia, ma che già dall’antichità costituisce un tema centrale della filosofia occidentale, insieme allo stupore di fronte alle cose e alla capacità di lasciarsi sorprendere. Socrate ne parlava intendendola come la spinta primaria a scoprire ciò che ci circonda, di qualunque natura essa sia, mentre Aristotele, nella Metafisica, la considerava il sintomo del pensiero speculativo greco, ponendola a fondamento della filosofia e del mito. Chi prova meraviglia “si rende conto di non sapere”, e da questa consapevolezza ha origine la ricerca della conoscenza. La meraviglia non si ferma al godimento di qualcosa di nuovo, ma porta alla scoperta di una dimensione diversa. Per l’uomo moderno, secondo la filosofa svizzera Jeanne Hersch, autrice di Storia della filosofia come stupore, il progresso scientifico e il dominio della tecnica hanno ridotto le cose a semplici oggetti utilizzabili e ricreabili, privi di qualunque capacità di sorprendere, e, soprattutto, hanno dato vita all’illusione del controllo, cioè alla sensazione di poter prevedere e modificare qualunque avvenimento. Illusione in cui non può esistere – e non deve esserci – spazio per lo stupore.
Al contrario della filosofia, la scienza ha concepito la meraviglia come soggetto di ricerca solo nell’ultimo decennio. In uno studio del 2003, Dacher Keltner e Jonathan Haidt, ricercatori dell’Università della California a Berkeley, ne hanno teorizzato due aspetti fondanti. Il primo, la grandezza – definita dell’enciclopedia tedesca Brockhaus come “la sensazione di consegnarsi a ciò che si giudica più elevato di se stessi” – si rifà alla sensazione di vivere qualcosa di più grande e imponente di noi e della nostra esistenza. Il secondo, l’accomodamento, secondo la definizione data dallo psicologo dello sviluppo Jean Piaget, consiste nella modifica della struttura cognitiva e degli schemi comportamentali per accogliere oggetti o eventi che fino a quel momento risultavano sconosciuti. Vogliamo, cioè, dare un senso a ciò che ci appare più grande e integrarlo nella nostra esperienza.
Di fronte alla grandezza assoluta ci sentiamo più piccoli e spesso anche impotenti. Secondo uno studio pubblicato nel 2017 da due psicologhe dell’Università della California a San Francisco, Amie Gordon e Jennifer Stellar, esiste un lato oscuro della meraviglia. Le due ricercatrici hanno intervistato circa duecento pazienti raccogliendo dati sui momenti in cui ricordavano di essersi meravigliati, notando che tra gli aneddoti comparivano anche eventi spaventosi e catastrofici come l’11 settembre 2001. In un secondo momento hanno diviso quasi seicento partecipanti in quattro gruppi mostrando loro alcuni filmati che suscitassero sensazioni di meraviglia positiva o negativa, paura o nessuna emozione. I risultati hanno evidenziato che la meraviglia negativa riduce la sensazione di benessere delle persone, soprattutto a causa della percezione della propria impotenza, al contrario di quella positiva, che invece ne provoca un aumento.
I benefici del meravigliarsi non si limitano al solo individuo, ma coinvolgono tutta la collettività. È quanto emerge dalla ricerca del 2015 Awe, the Small Self, and Prosocial Behavior (La meraviglia, il piccolo ego e i comportamenti prosociali). “Il più delle volte [la meraviglia] ha come conseguenza il fatto che l’individuo si colloca in un contesto sociale sovraordinato e dirige l’attenzione lontano dall’Io e verso qualcosa di più grande”, sostiene Paul Piff, docente di Psicologia all’Università della California a Irvine. Insieme a un team di colleghi di Berkeley, New York e Toronto, il professore ha condotto cinque studi per evidenziare l’interazione tra meraviglia e comportamenti prosociali.
Nel primo step è stata misurata l’inclinazione di ciascun individuo a provare emozioni come l’entusiasmo, la compassione, l’amore, l’orgoglio e la meraviglia. I partecipanti sono poi stati coinvolti in un gioco di cooperazione: a ognuno sono stati consegnati biglietti della lotteria la cui vincita era pari a dieci dollari per alcuni e a cinquecento per altri. Alla domanda su quanto avrebbero donato a un altro partecipante in caso di vincita, quelli che provavano meraviglia più spesso risultavano essere anche i più generosi, a prescindere da variabili come l’età e il sesso. Nel terzo passaggio, i ricercatori hanno tentato di influenzare il senso di meraviglia dei soggetti dello studio chiedendo loro di descrivere un’esperienza in cui si erano stupiti (verificata tramite successivo questionario), di leggere testi che descrivevano situazioni quotidiane in cui entravano in gioco norme morali e, in un test ulteriore, di guardare o un suggestivo video sulla natura o un filmato neutro.
Anche in questo caso, coloro che si erano meravigliati più spesso dimostravano non solo di essere più generosi, ma manifestavano anche un ego ridotto, insieme alla sensazione di essere legati a qualcosa di più grande. Nel quarto studio si ripeteva l’esperimento di aumentare i comportamenti prosociali per mezzo della meraviglia, questa volta facendo visionare filmati di eruzioni vulcaniche o di gocce d’acqua colorate che, al rallentatore, tracciavano strisce in un recipiente colmo di latte. Per validare i risultati anche il di fuori del laboratorio, il team di Paul Piff nell’ultimo studio ha suddiviso novanta persone in due gruppi: al primo veniva chiesto di fissare per un minuto le chiome degli alberi, al secondo un anonimo edificio universitario. Trascorso il minuto, il direttore dell’esperimento si avvicinava ai partecipanti con un questionario e una scatola di matite in mano, facendole cadere a terra di proposito. Coloro che avevano guardato gli alberi aiutavano a raccoglierle recuperandone un numero più alto rispetto al secondo gruppo e, nei questionari in cui dovevano raffigurare se stessi e gli altri con cerchi di diversa grandezza, tendevano a descriversi con la circonferenza più piccola, affermando anche meno frequentemente di valere di più. Riassumendo i risultati, i ricercatori affermano che “la meraviglia modifica il concetto che abbiamo di noi stessi e con esso il nostro comportamento”, sottolineandone l’importante potere coesivo per la società.
Da un lato la crescente sensazione di essere sempre di fretta e non avere mai tempo – elemento essenziale perché, come si è sottolineato in precedenza, la meraviglia nasce nell’immediatezza, ma costituisce solo un punto di partenza per imparare a guardare la realtà con occhi diversi – e dall’altro il crescente individualismo dei nostri tempi, hanno ridotto le occasioni per sperimentare il frutto della meraviglia nella vita di tutti i giorni. La lista di occasioni ignorate che ci accompagnano nella nostra quotidianità è infinita: il volo degli uccelli, l’accensione del bulbo di una lampadina, la lievitazione del pane. Basterebbe lasciare la nostra curiosità libera di portarci a nuove domande e a superare le barriere della conoscenza attraverso la meraviglia di fronte ai misteri del mondo. A volte è sufficiente fare attenzione a cose che di solito diamo per scontate e, come scriveva Johann Wolfgang Goethe nel Faust, riscoprire che “la maraviglia è la parte migliore dell’umanità e, per quanto il mondo gli renda difficile il sentire, l’uomo, quando è commosso, sente profondamente ciò che è infinito”.