Uno scarafaggio si risveglia uomo e premier inglese. McEwan e la satira sul populismo che aspettavamo.

In un’epoca in cui la dimensione del reale è diventata più assurda e grottesca della letteratura distopica, non è semplice narrare il contemporaneo con originalità. Difficilmente i lettori si stupiscono o si indignano, avendo a che fare quotidianamente con una sfilza di politici orwelliani e di eventi tragicomici che superano qualsiasi allegoria. Conscio dei tempi in cui viviamo, lo scrittore inglese Ian McEwan ha capito di non doversi inventare chissà quale storia, avendo già attorno a sé un mondo che ben si presta alla narrazione. Se però avesse lanciato un j’accuse canonico, descrivendo le brutture della politica sotto forma di saggio, avrebbe smarrito quella fantasia che ha sempre caratterizzato la sua carriera, e l’opera sarebbe probabilmente invecchiata prima ancora di vedere la luce, come spesso accade. Invece McEwan si è confermato un fuoriclasse: non è da tutti parlare di Brexit e populismo senza mai nominarli, partendo da una rivisitazione della Metamorfosi di Kafka.

Ian McEwan

Lo scarafaggio, questo il titolo del pamphlet, inverte l’incipit del capolavoro kafkiano. Il Gregor Samsa di McEwan, Jim Sams, è un insetto che si sveglia nel corpo di un uomo. Non uno qualsiasi, bensì il primo ministro britannico. Prova nostalgia per le sue zampe pelose, non si capacita di avere due gambe, due braccia e uno stuolo di segretari pronti a riverirlo. Ben presto però si abitua alle nuove sembianze e si rende conto del ruolo che ricopre. Il Paese è spaccato in due tra inversionisti e cronologisti, due correnti che chiaramente rimandano al leave e al remain.

 

L’Inversionismo è una teoria economica che promuove il capovolgimento del mercato: i lavoratori pagano per lavorare, i commercianti pagano i clienti che acquistano i loro prodotti, è vietato conservare il contante. Il Cronologismo è invece il progetto di mantenimento dell’economia che conosciamo. Il primo ministro, inversionista, per portare a termine il suo programma usa qualsiasi mezzo, principalmente quelli a cui siamo abituati anche in Italia e che inzozzano l’arena politica: fake news, gogne mediatiche e l’arroganza di incarnare e modellare una presunta volontà popolare sui propri scopi personali, ovvero il sovranismo.

Non è la prima volta in cui McEwan prende spunto da opere del passato. Nel recente Nel guscio, pubblicato in Italia nel 2017, aveva già ricreato il suo Amleto moderno scorporando Shakespeare, ma Lo scarafaggio si distingue per un’aderenza all’attualità che travalica l’omaggio a Kafka, essendoci anche influenze di Jonathan Swift, scrittore irlandese che, a cavallo tra diciassettesimo e diciottesimo secolo, ha fatto della composizione satirica il suo tratto distintivo. Nell’opera di McEwan si ritrovano certe stilettate tipiche di Swift, si sorride a denti stretti con la consapevolezza di essere parte di un mondo malato. Uno dei passaggi più irriverenti del libro è a questo proposito l’introduzione del personaggio di Archie Tupper, presidente degli Stati Uniti. Viene, infatti, descritto come un caciarone amante delle scorribande su Twitter, un troglodita che guarda la televisione in panciolle nei palazzi che portano il suo nome, un irresponsabile che determina il destino dell’intero pianeta: chiaramente è Donald Trump.

Il primo ministro inglese fa di tutto per avere l’appoggio del presidente americano, e l’impresa non è troppo ardua. Tupper/Trump loda la battaglia degli inversionisti contro l’Unione Europea, che intanto si mostra preoccupata per i moti anglosassoni. Qui McEwan è geniale nella descrizione del potere dei social network, fa capire come un singolo tweet possa davvero indirizzare il pensiero di milioni di persone; e più questo è triviale, più la massa ne viene attratta. Jim Sams resta affascinato dalla capacità comunicativa di Archie Tupper e da quella grettezza che si trasforma in bastone mediatico. In pochi caratteri, spesso deboli a livello grammaticale, riesce a colpire però gli avversari senza alcun tipo di argomentazione, basandosi esclusivamente sulla violenza dei toni. Sams, conscio di essere uno scarafaggio nel corpo del primo ministro, gli telefona per porgli una domanda che balena nella sua mente. Crede infatti che Tupper sia un suo simile, una blatta immonda la cui sporcizia adesso alberga nella mente umana. Gli chiede dunque: “Anche tu un tempo avevi sei zampe?”, ma non arriva alcuna risposta.

Uno degli aspetti fondamentali del reale che McEwan vuole analizzare è proprio il potere dei politici sui media. Sams usa i principali quotidiani britannici per distruggere i suoi avversari, e lo fa diffamandoli con storie inventate, comprandosi false testimonianze e scribacchini prezzolati. Chiunque abbia un’idea diversa dalla sua viene additato come un nemico della nazione, nel più classico stratagemma usato dalle forze populiste. Ormai il lettore si è accorto di non avere a che fare con un testo di fantapolitica o con una distopia: è qualcosa che è già accaduto e che non è ancora giunto al termine. L’inversionismo è un’assurdità autolesionistica, al pari della Brexit, spacciata per vantaggio nazionale. McEwan critica proprio il metodo della politica di aggrapparsi al popolo per promuovere un’idea malsana, un delirio che senza questa dose di propaganda e mistificazione non avrebbe alcun tipo di attrattiva. E non usa la metafora degli scarafaggi, esseri viscidi e ributtanti, in modo dozzinale: dietro questi disegni a livello globale c’è un’astuzia che supera l’intelligenza, ci sono persone dietro i governanti che spiegano loro come muoversi, come parlare, come rapportarsi con l’elettorato. Perché altrimenti gli scarafaggi verrebbero smascherati, stupidi come sono. Quando questo spesso accade comunque si rimedia all’errore rendendolo accettabile. Se Trump scrive una cavolata su Twitter, dopo non arrivano le scuse o una smentita, ma segue una strategia per legittimarla fino a farne un proprio vanto. Lo stesso procedimento vale anche da noi in Italia: se Salvini dopo quattro mesi non ha ancora imparato a indossare una mascherina, la Bestia gli consiglia di premere proprio su questo tasto: far indignare, e dunque far parlare di sé, e continuare a indossarla male, portando i suoi seguaci a credere che sia l’atteggiamento giusto. Se Salvini, Trump o Johnson dicessero che l’uomo non viene dalle scimmie ma dai maiali, poi, non rettificherebbero, ma convincerebbero i loro fan a grugnire per dimostrare che, in fondo, siamo tutti ghiotti di ghiande.

Lo scarafaggio si chiude con lo svelamento degli insetti che mostrano la loro vera natura, e con una postfazione in cui McEwan scrive quello che nel testo ha omesso: nomi e azioni reali. È un attacco violentissimo ai fautori della Brexit e a chi l’ha sostenuta, come Trump e Putin, che hanno lavorato per destabilizzare l’Unione Europea. Lo scrittore descrive il fenomeno come un “obnubilamento prodotto da un tipo particolare di polvere magica comune a tutti i movimenti populisti che attanagliano l’Europa, gli Stati Uniti, il Brasile, l’India e molte altre nazioni”, una polvere che viene inalata spesso inconsapevolmente, e che porta il popolo a un’eclisse della ragione. Per McEwan “Il populismo, ignaro della sua stessa ignoranza, tra farfugliamenti di sangue e suolo, assurdi principi nativistici e drammatica indifferenza al problema dei cambiamenti climatici, potrebbe in futuro evocare altri mostri, alcuni dei quali assai più violenti e nefasti perfino della Brexit. Ma in ciascuna declinazione del mostro, a prosperare sarà sempre lo spirito dello scarafaggio”.

Quest’opera conferma la natura camaleontica della scrittura di McEwan, capace di destreggiarsi in ogni genere senza mai ripetersi. A volte sembra che i suoi romanzi siano scritti da autori diversi: Espiazione e Cortesie per gli ospiti non hanno nulla in comune, così come Il giardino di cemento e Sabato. È forse questo suo continuo rinnovamento il segreto di un successo ultradecennale, di una credibilità mai perduta che è sfociata nel più acuto dei suoi libri, il più feroce. Forse dovremmo prendere spunto da queste pagine per avere un rapporto diverso anche con i politici nostrani. Un giornalista non dovrebbe chiedere al politico di turno il motivo per cui non indossa la mascherina o il significato di un motto che può sembrare fascista, ma: “Anche tu un tempo avevi sei zampe?”.

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