Un bodybuilder kazako ha sposato la sua bambola gonfiabile, con tanto di cerimonia, regali e invitati: ha dichiarato che è la donna perfetta per lui perché parla poco. Tra i commenti alla notizia, che come ci si poteva immaginare ha spopolato sui social, è stato tutto un fioccare di “è meglio di una donna vera perché non polemizza su ogni cosa”, “non si lamenta”, “in caso di divorzio non ti lascia in mutande” e il più classico e gettonato di tutti i tempi: “non rompe le palle”. Una vicenda senz’altro bizzarra ma che nella sua atipicità è sorprendentemente esemplare. Quella di volere una donna che non parli, che sia un pezzo di plastica perennemente a disposizione e senza volontà è una classica fantasia da film porno che purtroppo influenza ancora una grossa parte della popolazione maschile, in modo più o meno manifesto.
La pornografia è stata per molto tempo il megafono di una cultura maschilista violenta e misogina, e ha a suo modo plasmato l‘immaginario sessuale di generazioni facendo molti danni. Il nostro modo di vivere la sessualità, infatti, è il frutto dei modelli narrativi, visuali e comunicativi con i quali entriamo in contatto diretto o indiretto e, consapevoli o no, il nostro è ormai un immaginario sessuale di storie stratificate in cui il sesso è violenza. Ovunque ci giriamo, dalla televisione, alle riviste, alle pubblicità, tutti sembrano lanciare lo stesso messaggio. La pornografia è diventata il modello con cui i media rappresentano il corpo e la soggettività femminile. Le immagini con cui veniamo bombardati ogni giorno si rifanno all’estetica porno soft di qualche decennio fa. Ma se la pornografia soft-core su internet quasi non esiste, la pornografia hard, invece, si è brutalizzata sempre di più, tanto che degradare, disumanizzare e umiliare le donne in questo settore è diventata la norma.
Senza una vera esperienza del sesso, la pornografia su Internet ha un effetto profondo sul modo in cui i ragazzi lo pensano, lo immaginano, sulle relazioni, sull’intimità, sull’integrità fisica e sul consenso. È stato calcolato che il 65% dei ragazzi tra i 15 e i 16 anni fa uso quotidiano della pornografia, con la grande maggioranza che dichiara di aver iniziato a usufruirne già a 14 anni. Tra questi si trovano anche quelle orde di ragazzi che poi nei gruppi di Telegram si prodigano a insultare e ad augurare lo stupro delle loro compagne di classe, ex fidanzate e di migliaia di sconosciute come passatempo. E queste non sono “cose da ragazzi”, perché quei ragazzi saranno gli uomini di domani e, fino a quando la base comunicativa sarà questa, non avremo speranza di rieducare.
Già nel 2014, gruppi di femministe appartenenti a cinque diversi Paesi si erano incontrate a Londra per una conferenza sulla pornografia, incentrata su come questo tipo di cultura modelli le nostre idee sulla sessualità, le relazioni e in genere l’intimità, e su come e quanto certe immagini pornografiche possano essere dannose perché ormai completamente intrecciate al nostro immaginario e sedimentate nella nostra cultura. Tuttavia è importante non confondere certi dibattiti con le posizioni delle correnti antiporno e antifemministe – che criticano la dinamica lavorativa dell’industria pornografica e vedono nei e nelle performer solo “pedine inconsapevoli” di un grande complotto ai danni della morale. Un conto è reclamare diritti nel mondo del lavoro pornografico, un conto è sfruttare determinate condizioni lavorative – come se fossero immutabili – per fare contropropaganda. Oltre ad offendere e denigrare le donne che scelgono un mestiere che secondo loro sarebbe da archiviare soltanto come “violento”, infatti, alcune frange estreme dell’abolizionismo stigmatizzano indirettamente anche certi desideri sessuali, e sicuramente, l’ultima cosa di abbiamo bisogno è di avere un vademecum vittoriano su cosa si può fare e non si può fare a letto. Il sesso tra adulti consenzienti non deve essere criminalizzato o demonizzato a prescindere, né tanto meno il porno. Il problema principale sono le forme che assume, e soprattutto il fatto che nonostante viviamo in una società ipersessualizzata, parliamo pochissimo e male di sessualità e che, mentre l’educazione sessuale nelle scuole è ancora un’avanguardia per pochi, nel frattempo tutto ciò che concerne la sessualità è stato e viene monopolizzato dal mercato. La sessualità è ancora un tabù sotto cui continuano a nascondersi ignoranza, maschilismo e violazioni di genere.
Non si tratta soltanto di un fenomeno sociale o di costume, ma anche di una questione politica; il dominio si può manifestare e esercitare nelle forme più diverse e da sempre, il fatto che il sesso rimanga un tabù fa comodo a molti. Secondo la scrittrice Audre Lorde poetessa, militante e icona del femminismo nero degli anni Settanta e Ottanta – che sotto molti aspetti aveva previsto con lungimiranza i decenni successivi – la pornografia è stata funzionale al potere nella misura in cui si è sostituita all’erotico. In uno dei suoi più celebri discorsi affermava che: “Allo scopo di perpetuarsi, ogni oppressione deve corrompere o distorcere le varie fonti di potere che, all’interno della cultura degli oppressi, possono fornire loro l’energia per il cambiamento. Per le donne, ciò ha significato la soppressione dell’erotico come fonte consapevole di potere e di informazione all’interno delle nostre vite”. Per Lorde, uno dei motivi per i quali l’eros è tanto temuto è perché è una forma di conoscenza e di potenza talmente forte, profonda e radicata che, una volta sperimentata, non se ne può più farne a meno. La nostra conoscenza erotica ci rende potenti e una volta che cominciamo a sentire profondamente tutti gli aspetti della nostra vita, inevitabilmente mettiamo in discussione noi stessi e il nostro agire.
Raoul Vaneigem, scrittore ed esponente situazionista, una volta disse che quelli che parlano di rivoluzione e di lotta di classe senza riferirsi a ciò che vi è di sovversivo nell’amore, si riempiono la bocca di un cadavere. Proprio l’eros, infatti, inteso come la riappropriazione del proprio corpo e del proprio sentire, e come la liberazione dalle costrizioni e dalle gabbie che nel corso dei secoli lo hanno imprigionato, può essere il giusto pretesto da cui partire per invertire la narrazione distorta costruita e sedimentata nei secoli intorno alla sessualità. Un modo per far saltare non solo un immaginario sessuale stantio e sbilanciato ma anche i codici sociali ed etici che ne derivano. Decostruire i modelli sessuali imperanti vuol dire smantellare un modello sociale fondato sul patriarcato e la misoginia e combattere allo stesso tempo la violenza e diffondendo e coltivando uno sguardo nuovo e si spera più sano.
Una società che garantisce pari opportunità è una società più sana. Bisogna evidenziare gli squilibri della pornografia, sostenere gli individui fin da giovani con campagne di educazione sessuale e offrire immagini alternative della sessualità che siano egualitarie, divertenti e creative, per insegnare a coltivare la consapevolezza del proprio corpo e delle proprie emozioni, perché soltanto questa può essere l’arma efficace contro la violenza che ogni giorno sperimentiamo direttamente o indirettamente. Qualcosa sta già cambiando; attraverso l’uso del corpo come strumento politico, infatti, collettivi, performer, registi e attori in Italia esplorano e combattono la violenza di genere e le discriminazioni, da progetti giovani e innovativi come Virgin & Martyr o Making of Love alla Postpornografia con il lavoro di Slavina, Valentina Wolf, Erika Lust o Lidia Ravviso. L’obiettivo è quello di diffondere uno sguardo nuovo e quanto più possibile lontano dal porno mainstream e di rappresentare così tutte le forme del desiderio e della sessualità umana libera dai condizionamenti di genere, dell’orientamento sessuale e dai canoni estetici imposti per rivendicare che il piacere è un diritto di tutti.