Ai tempi dell’impero Ottomano non era raro che alcune donne venissero segregate in zone interne dei palazzi reali. Gli appartamenti o le stanze che le ospitavano erano chiamati zenana e in pochi potevano entrarvi. La moglie dell’ambasciatore inglese nella Costantinopoli di inizio Settecento Lady Mary Wortley Montagu riuscì tuttavia a visitarne uno e, proprio in quell’occasione, assistette a un primo tentativo di vaccinazione dal vaiolo. Come spiegherà poi la stessa Lady Mary in una delle sue numerose lettere, le più anziane donne degli zenana erano abituate a prendere il virus dalle croste lasciate sul corpo di chi aveva avuto in precedenza la malattia per poi iniettarlo in minima quantità nell’organismo della persona da immunizzare. Questa tecnica verrà portata in Europa da Wortley Montagu una volta tornata in patria, dove sarà denominata dalla stessa nobildonna inglese “ingrafting” (impianto), usando lo stesso termine con cui i contadini indicavano gli innesti praticati sulle piante.
A Londra, la scoperta di Lady Mary non venne certo accolta con entusiasmo unanime e non solo per ragioni strettamente scientifiche: nell’Inghilterra del periodo era infatti quantomeno complicato che si accettasse di adottare una pratica brevettata da un gruppo di donne musulmane sprovviste di un’istruzione certificata e portata in Occidente da un’aristocratica anticonformista. Nonostante le resistenze, però, Wortley Montagu dimostrò l’efficacia del metodo utilizzandolo prima sul proprio figlio e poi su diversi influenti amici della sua cerchia: quando anche la moglie del principe del Galles si fece convincere da Lady Mary a vaccinare uno dei suoi eredi, la variolizzazione – così passò alla storia questo tipo di vaccino – guadagnò definitivamente la credibilità necessaria per diffondersi in tutto il Paese e non solo. Nel 1733, addirittura Voltaire ricevette una lettera in cui si parlava dell’applicazione del metodo sostenuto da Lady Montagu in Francia e, meno di vent’anni dopo, il medico Theodor Tronchin introdurrà il rimedio anche nella corte di Versailles con l’approvazione di Luigi XV, il quale però, su spinta dei poco convinti accademici francesi, rinunciò a vaccinarsi a sua volta e morì nel 1774 proprio a causa del vaiolo.
Lady Mary Wortley Montagu fu convinta a spendersi in prima persona per la diffusione di un rimedio al vaiolo anche a causa della sua storia personale: la malattia gli aveva infatti tolto il fratello e lei stessa aveva rischiato la vita e la sanità mentale dopo essere stata contagiata. Il suo corpo rimase per sempre segnato da quell’esperienza e le maldicenze che nacquero negli ambienti altolocati che frequentava dopo essersi ammalata furono tra le motivazioni principali che la convinsero a partire alla volta dell’odierna Turchia con il marito, incaricato nel 1716 di negoziare la pace tra l’Impero Ottomano e la Repubblica di Venezia.
Durante il soggiorno a Istanbul Lady Mary iniziò un lungo carteggio e, dopo la sua morte, queste lettere vennero raccolte in un volume dal titolo Turkish Embassy Letters. Oggi, oltre a essere un libro cardine per lo studio di molti orientalisti, Turkish Embassy Letters viene considerato il primo testo scritto da una donna sulla società musulmana. Nei suoi scritti, Wortley Montagu non si limitava a propagandare nuove cure per le epidemie che stavano devastando il continente europeo, ma parlava anche di una società che fino a quel momento era di fatto sconosciuta e considerata a priori primitiva da gran parte dei suoi connazionali. All’interno dei propri resoconti, la moglie dell’ambasciatore ritraeva un mondo in cui si era inserita senza preconcetti e di cui testimoniava anche situazioni che prima non erano mai state raccontate dagli scrittori-viaggiatori. Lady Mary visitava per la prima volta luoghi in cui gli uomini erano esclusi, riuscendo a restituire al lettore la descrizione di un mondo fino a quel momento inesplorato e non aveva paura di mostrare come, per certi versi, la società turca fosse in realtà più progressista e libera dai tabù di quella inglese.
È lei stessa a raccontare, per esempio, di quando in un bagno turco le donne che erano con lei rimasero scioccate dal suo abbigliamento intimo: “Credevano che fossi rinchiusa in quell’impalcatura senza possibilità di uscire e credevano che la colpa fosse di mio marito”. Lady Mary Wortley Montagu non giudicava guidata da stereotipi ma, al contrario, guardava con curiosità la società turca, non facendosi problemi a sfruttare ciò che vedeva per criticare la società supponente e bigotta che aveva abbandonato. In una delle sue lettere scrive: “Per quanto riguarda la loro moralità o buona condotta, posso dire che sono proprio come te e che le signore turche non commettono un peccato di più per non essere cristiane. Ora che conosco un po’ i loro modi, non posso fare a meno di ammirarne la discrezione esemplare e constatare l’estrema stupidità di tutti gli scrittori che ne hanno parlato. È molto facile vedere che hanno più libertà di noi”.
Lady Mary aveva d’altronde ben presente le costrizioni e i limiti cui erano soggette le donne inglesi. Ancora giovanissima, aveva sfidato le convenzioni del contesto in cui era cresciuta scappando da un matrimonio combinato con un uomo destinato a sedere in Parlamento per sposare l’uomo che desiderava. Il rifiuto ad accettare il partito scelto per lei da suo padre la fece allontanare dalla famiglia e le fece perdere l’eredità, ma lei preferì non rinunciare alla sua visione del matrimonio, pensato da lei come il coronamento di un progetto basato su amore e rispetto reciproci e non una decisione socio-economica di famiglia. In un momento storico in cui i legami si decidevano a tavolino partendo da presupposti materialisti, tutto ciò appariva rivoluzionario. Dopo il trasferimento in Turchia, Lady Mary non perse tuttavia il prestigio di cui già godeva negli ambienti più alla moda della capitale. La sua cultura e la sua attività di scrittrice e poetessa le fecero rivestire un ruolo importante nell’ambiente culturale dell’epoca, facendola apprezzare da letterati come Alexander Pope e da paladine dei diritti delle donne come Mary Astell.
Wortley Montagu si era formata leggendo da autodidatta i molti volumi della libreria di famiglia: ancora bambina, arrivò a capire le Metamorfosi di Ovidio dopo aver imparato da sola il latino. Nelle sue ultime lettere, destinate a una delle figlie, scriverà: “La gente di solito educa i figli come costruisce le sue case, secondo un qualche piano che trova bello, senza considerare se sia adatto agli scopi cui sono destinati”. Per questo, continuava, forse “prevale l’ingiusta consuetudine di impedire al nostro sesso i vantaggi della cultura: gli uomini immaginano che il miglioramento del nostro intelletto servirebbe solo a fornirci più arte per ingannarli, cosa diametralmente opposta alla verità”.
La diversa educazione che veniva impartita a maschi e femmine venne denunciata più volte da Wortley Montagu, che fece della battaglia per l’uguaglianza in questo campo uno dei temi ricorrenti nei suoi scritti. A titolo di esempio, evidenziò come non esistessero differenze sostanziali di apprendimento tra uomini e donne di classe alta, gli unici che potevano contare su una formazione simile: “Come nient’altro al mondo l’educazione di una donna di rango è simile a quella di un Principe. Si insegna loro a danzare e tutta la parte esteriore delle cosiddette buone maniere, ottenute le quali sono creature straordinarie della loro specie, e hanno tutte le doti richieste dai loro precettori. Le stesse lezioni formano gli stessi caratteri, il che mi fa pensare (se oso dirlo) che la natura non ci abbia collocate in un rango inferiore agli uomini, non più delle femmine di altri animali, nei quali non vediamo distinzione di capacità”. Qualche mese dopo questa riflessione, poco prima di morire, Lady Mary indirizzerà a sua figlia poche righe che ben riassumono l’attualità del suo pensiero: “Io non ho mai, in tutti i miei svariati viaggi, visto altro che due specie di persone (e queste assai simili tra loro); voglio dire, Uomini e Donne, che sempre sono stati e sempre saranno gli stessi. Gli stessi vizi e le stesse follie sono sempre stati il frutto di ogni epoca, benché a volte sotto nomi diversi”.
Queste parole, e in generale tutte le sue ultime lettere, vennero scritte in Italia, dove aveva deciso di scappare dopo la fine del suo matrimonio e l’innamoramento per l’intellettuale Francesco Algarotti. Già allora, il nostro Paese presentava quelle caratteristiche che ancora oggi lo fanno apparire così difficile da comprendere agli occhi di uno straniero. Per Lady Mary, quell’Italia tanto amata, ma fatta di “diverse usanze e maniere”, rimaneva molto più complicata da comprendere rispetto per esempio alla Francia. In quegli stessi anni, nella Penisola che la ospitava, il medico Angelo Gatti si stava intanto impegnando a diffondere il metodo di vaccinazione scoperto tempo prima dalla stessa aristocratica e nel 1777 sarebbe arrivato ad applicarlo a tutta la famiglia reale del Regno di Napoli. Le epidemie di vaiolo che per secoli avevano devastato l’Europa, ed erano arrivate a contagiare anche un quarto degli abitanti nella sola Parigi, dopo la prima campagna di vaccinazione partita da Lady Mary Wortley Montagu avevano iniziato finalmente a ridimensionarsi: secondo alcune stime l’incidenza del virus passò addirittura dal 14% al 2%.
Lady Mary fece in tempo a tornare nel suo Paese, dove morì nel 1762. Nel giorno del suo decesso, Edward Jenner era solo un bambino di tredici anni. Qualche tempo dopo, sarebbe però diventato un famoso medico, celebre per aver sviluppato l’intuizione che avevano avuto le donne nello zenana e aver creato un rimedio più sicuro che prendeva il virus dai bovini e non più dagli altri esseri umani contagiati. Il vaccino del dottor Jenner diventerà a sua volta la base di quello utilizzato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per debellare definitivamente la malattia, nel 1967. Eppure nelle nostre città abbiamo viali dedicati a Edoardo Jenner, mentre di Lady Wortley Montagu, senza cui probabilmente non avremmo mai sconfitto una delle malattie più terribili della storia dell’umanità, non abbiamo quasi memoria.
Per questo, a Lovere, un paese della provincia di Bergamo che lei stessa definiva “il luogo più amabilmente romantico che abbia mai visto in vita mia”, nel 2016 le è stata intitolata una passeggiata sul lago d’Iseo. Il giorno dell’inaugurazione nessuno si sarebbe aspettato che, solo quattro anni dopo, un’altro virus avrebbe cambiato il mondo e impedito a tutti loro anche solo di uscire e guardare l’acqua. Ma se oggi siamo pronti ad affrontare questa pandemia, un po’ del merito va a Lady Mary Wortley Montagu e ad altre donne come lei.