Lo Strega, il più importante premio letterario italiano, fu inventato da una donna: Maria Bellonci - THE VISION

Scrittrice di romanzi storici, meticolosa nella ricerca documentaria così come nella costruzione di ogni singola frase, Maria Villavecchia in Bellonci ha concepito nel 1947 uno dei premi letterari più rilevanti del nostro Paese, lo Strega, termometro dell’ambiente culturale e dei gusti dei lettori italiani, nonché motore delle vendite dei libri. E l’ha fatto per promuovere una ricostruzione, personale e collettiva, nell’Italia martoriata dal secondo conflitto mondiale.

Nel 1944, in una Roma appena liberata dall’occupazione, la scrittrice, insieme al marito Goffredo, giornalista e critico letterario, aveva ideato le sue domeniche, “partendo dall’idea di radunarsi come per una festa”. Più che di un salotto letterario, all’inizio si trattava di informali riunioni settimanali nella casa dei coniugi Bellonci in Viale Liegi. Il primo appuntamento si tenne l’11 di giugno. Fu un vero e proprio avvenimento e Maria Bellonci – come racconta nel saggio che ripercorre quell’epoca, Come un racconto. Gli anni del Premio Strega – aveva segnato la data sulle pagine del suo taccuino, accanto alle liste degli invitati – destinati ad aumentare in maniera vertiginosa. Nelle annotazioni della padrona di casa, che investiva questi incontri di grande valore, i nomi di amici e familiari si mescolavano a quelli di scrittori, artisti e letterati. “[Era] il tentativo di ritrovarsi uniti per far fronte alla disperazione e alla dispersione”, ricorda Bellonci, un’alleanza basata sull’esercizio dell’intelligenza. La domenica pomeriggio si parlava dell’Italia ritrovata, di politica, di letteratura e si mangiavano le torte che la scrittrice preparava all’alba, perché il gas dopo le sette non riscaldava abbastanza il forno.

Nel salotto della casa di Maria e Goffredo Bellonci: Maria Bellonci, Aldo Palazzeschi, Alba de Céspedes, Anna Proclemer, Paola Masino, Libero Bigiaretti e Vitaliano Brancati

Maria Bellonci pensava che in quel “tempo di pericolo” – come aveva battezzato il fragile dopoguerra – la letteratura fosse un luogo riparato e luminoso dove stare e dopo tre anni desiderava sperimentare quella democrazia ancora in nuce nello spazio, per quanto circoscritto, dei libri, creando un premio. Ne discusse con Goffredo che le rispose “con occhi lucenti di approvazione”. “[L’idea] era nata da me, da me a paragone con gli altri, dalla nuova coscienza sorta nei tempi tanto incisivi della Resistenza durante i quali avevo imparato che gli uomini esistono gli uni per gli altri e che gli scrittori non fanno eccezione. Pensavo adesso che ciascuno avesse il dovere di vivere dentro un nucleo sociale e di offrire, potendo, alla comunità, un tributo di azioni quotidiane”. Il premio era un modo per affidare alla cultura il compito di costruire un principio di solidarietà, sulle macerie della guerra.

Fu così che in una domenica di gennaio del 1947 la scrittrice e traduttrice romana annunciò di voler far nascere un riconoscimento nuovo, che “nessuno avesse mai immaginato”, e lo fece fondando una giuria vasta, composta appunto dagli “Amici della domenica”, nome con cui venivano soprannominati gli ospiti che frequentavano il salotto romano. Nelle piccole stanze tappezzate di libri di casa Bellonci c’era anche Guido Alberti, proprietario dell’azienda produttrice del liquore Strega: il sodalizio fu immediato e il Premio trovò il suo fedele finanziatore.

Maria Bellonci alla presentazione del Premio Strega (1952)
Goffredo Bellonci (sinistra)

La giuria del primo anno, nel 1947, era composta da 170 persone e vinse Ennio Flaiano con il suo romanzo Tempo di uccidere, un’allegoria del conflitto appena trascorso che racconta la storia di un tenente dell’esercito italiano e delle sue disavventure sul suolo africano. Nel 1948, i votanti diventarono 190, l’anno successivo 202 in un continuo crescendo che toccò i 350 quando fu incoronata la prima scrittrice donna, Elsa Morante, nel 1957 con L’Isola di Arturo. Oggi il corpo elettorale, che porta ancora il nome di Amici della domenica, è costituito da quattrocento persone inserite a vario titolo nel mondo culturale italiano che ogni giugno, in casa Bellonci, scelgono la cinquina e poi, i primi di luglio, eleggono il libro vincitore al Ninfeo di Villa Giulia, a Roma. Si diventa giurati per cooptazione, su segnalazione di un altro membro. 

Elsa Morante riceve il Premio Strega per il libro L’Isola di Arturo (1957)

Il funzionamento del premio è variato di poco rispetto a quando Maria Bellonci stese il primo regolamento. Il riconoscimento viene assegnato ogni anno a un libro di narrativa scritto in lingua italiana e pubblicato in prima edizione tra il 1° marzo dell’anno precedente e il 28 febbraio dell’anno in corso. In 74 anni non sono mancati gli incidenti, le offese, i melodrammi e pure i retropensieri. Nel 1961 ci fu un pasticcio con i voti fatti arrivare per posta. Vinse per un voto Raffaele La Capria con il romanzo Ferito a morte, ma ci furono attimi di tensione perché si pensò a un errore. Nell’anno delle contestazioni, il 1968, anche il Premio fu criticato. Venne accusato da Pier Paolo Pasolini – pronto a lasciare la gara – di subire le pressioni dell’industria culturale. Negli anni Settanta, poi, Italo Calvino, eterno secondo, disse che il romanzo era morto e il premio ostaggio degli interessi editoriali. 

Italo Calvino

Pazienza se le intenzioni dell’ideatrice erano molto più “pure”. “Noi abbiamo detto e ripetuto che i votanti dovrebbero considerare meglio che lo scrittore, il libro. Ma non sempre […] le nostre esortazioni sono state seguite”. Le accuse legate ai meccanismi di selezione e di voto con le influenze e le alleanze sempre meno velate dei grandi gruppi editoriali danno la misura delle polemiche che hanno spesso abbracciato il successo del Premio Strega. Una polveriera architettata da una donna dal carattere fermo e mite al tempo stesso, talvolta ingenuo, che diceva di non sapersi orientare nel gioco della mondanità e che si augurava discussioni temperate anche se il marito preferiva quelle accese, che facevano chiacchierare il premio sui giornali.

A chi le dava della salottiera Bellonci rispondeva che sapeva bene cos’era l’amicizia e non concepiva le relazioni mondane, come le donne che in amore conoscono solo la passione e non sanno che farsene della civetteria. Riceveva gli ospiti indossando sempre la stessa divisa: pantaloni in velluto neri e camicetta bianca ricavata dallo strascico del suo vestito da sposa perché di soldi, malgrado le apparenze, ce n’erano sempre pochi. Bellonci preferiva parlare con gli scrittori che non cambiavano tono o discorso quando si rivolgevano a una donna, come l’amico Cesare Pavese, Premio Strega nel 1950, che “aveva questa particolarità così rara negli uomini e soprattutto negli uomini d’ingegno”. Quando, nel 1948, La Stampa scelse l’aggettivo “galante” per identificare il gruppo di sostenitori del libro di una scrittrice in gara, Anna Banti, Bellonci scrisse una dura lettera al giornale, dal titolo “Difesa delle scrittrici”. “Io vorrei, caro Direttore, che diventasse regola di civiltà rispettare il lavoro delle donne […]. Noi donne che scriviamo siamo avezze ad essere fraintese, e sappiamo che capire chi non ci capisce deve essere uno dei nostri esercizi di pazienza”.

Cesare Pavese e Maria Bellonci (1950)

Il valore, mai riconosciuto, delle donne è stato il tema che il femminismo di Maria Bellonci ha sempre affrontato, fin dagli inizi, quando curava la rubrica “L’altra metà” per Il popolo di Roma ed elencava i profili femminili rilevanti nella vita sociale, arrivando poi ai grandi romanzi storici dedicati alle eroine del passato. Questa scrittrice raffinata mescolava il rigoroso studio dei documenti con la sua sensibilità poetica riuscendo a far sentire vicine le anime di donne scomparse molti prima. Dopo un lavoro di ricerca durato sette anni negli archivi di Mantova, Modena e Roma, Bellonci, nel 1939, pubblicò Lucrezia Borgia. La sua vita e i suoi tempi, inaugurando così la sua rivoluzione al centro del romanzo storico, dando ai protagonisti l’autonomia di pensare e soffrire con una profondità psicologica capace di renderli individui contemporanei. Dopo Lucrezia la scrittrice passò alla sua rinascimentale antagonista, Isabella d’Este. E proprio in occasione di una sceneggiatura per la Rai sulla marchesa di Mantova conoscerà un’altra donna di cultura che diventerà sua grande amica e collaboratrice, Anna Maria Rimoaldi. Il film non si farà mai, ma tutto il materiale raccolto confluirà nell’ultimo libro della scrittrice, da molti indicato come il suo capolavoro: Rinascimento Privato. Un romanzo in prima persona dedicato alla vita di Isabella d’Este, che omaggia la sua intelligenza diplomatica e il suo carisma. 

Maria Bellonci amava scrivere e interrogare le carte, i documenti che le restituivano personalità di ieri così prossime alla sua sensibilità, donne che si erano imposte di contare ai tavoli del potere. Ci furono giorni in cui Bellonci odiò di essere stata l’ideatrice del Premio Strega. La notorietà era per lei un vestito pesante, in nome del quale aveva sacrificato il suo lavoro, tanti libri cominciati e non compiuti, ricerche scrupolose vanificate per gestire in maniera diplomatica risentimenti, critiche e malumori. Spesso si sentì e venne fraintesa. Nelle ultime pagine del libro dedicato al Premio si domanda se, al netto delle invidie e delle mediocrità, intorno al riconoscimento sia rimasta ancora la sua qualità di speranza, l’idea di solidarietà che lo aveva creato. Si dice allora che qualcosa di piccolo e immenso, in quel 1944, era nato. Nella Roma senza acqua né luce con le sue domeniche aveva provato a rendere meno astratta l’idea di democrazia.

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