Nelle ultime settimane, ci si è spesso interrogati sul valore che la filosofia può assumere in relazione ai radicali e inevitabili cambiamenti che la pandemia in corso ci sta obbligando ad affrontare. Tra le opinioni diffuse dai media e sui social, sembra esserci quella di chi crede che la filosofia debba fungere da “farmaco” contro i mali esistenziali (con tanto di decalogo di “consigli filosofici” per affrontare al meglio la pandemia) o che essa possa aiutarci a pensare positivamente rispetto all’isolamento. Eppure, chiunque studi e si occupi seriamente di filosofia non può che storcere il naso di fronte a queste posizioni, che finiscono inevitabilmente per equiparare i filosofi a dei life coach, il cui compito sarebbe quello di favorire un atteggiamento positivo nei confronti di una realtà che non può essere cambiata.
Per riconoscere alla filosofia il ruolo che le spetta, soprattutto (ma non soltanto) alla luce della situazione attuale, potrebbe invece essere utile recuperare alcune idee del filosofo francese Louis Althusser, secondo cui la filosofia non è un lenitivo contro i mali dell’esistenza né un’astratta contemplazione del mondo, ma una forma di lotta di classe per raggiungere una società egualitaria, ossia uno strumento concreto di emancipazione dall’ideologia capitalista.
Secondo Althusser la filosofia non può limitarsi a fornire analisi descrittive del mondo, ma deve fare in modo che la teoria diventi uno strumento per orientare l’agire collettivo, e non solo individuale. Egli afferma che “la filosofia è, in ultima istanza, lotta di classe nella teoria”, in quanto cioè solo la filosofia può sviluppare quelle fondamenta teoriche sulle quali costruire un ordine sociale più equo. Non si tratta, quindi, di speculazioni metafisiche confinate nel mondo accademico, ma di fornire concretamente gli strumenti necessari all’esercizio del senso critico delle masse, che a loro volta lo eserciteranno per scardinare quell’ideologia che le ha oppresse fino a quel momento.
Secondo Althusser, ogni nuovo sistema di idee che tenta di modificare o sovvertirne uno precedente corrisponde a un nuovo modello di relazioni sociali da sostituire a quello vecchio; più semplicemente, ogni ideologia è “un sistema di idee (o di rappresentazioni) solo in quanto è un sistema di rapporti sociali”, ossia include al suo interno tanto la sfera teorica quanto quella pratica. In altri termini, per Althusser non può esserci nessun cambiamento effettivo a livello politico e sociale se questo non è preceduto da una “rivoluzione teorica”: cioè, secondo lui, per cambiare il modo in cui il mondo funziona bisogna prima cambiare il modo in cui il mondo viene visto, compreso e discusso. Le parole, di conseguenza, diventano vere e proprie “armi per la lotta di classe nella teoria”, in quanto sono in grado di plasmare direttamente quei concetti necessari a sovvertire l’ordine precostituito.
Difficile non leggere nelle idee di Althusser, che risalgono ormai a circa cinquant’anni anni fa, una forte analogia con quanto stiamo vivendo oggi. La pandemia di COVID-19 ha infatti accentuato in maniera drastica le diseguaglianze economiche e sociali, dimostrando come queste siano intrinseche al sistema capitalista occidentale, e non un suo effetto fortuito. Il problema, poi, non riguarda solo l’Italia; anzi, in Paesi come gli Stati Uniti la situazione è ancora più drammatica da questo punto di vista. Anche l’Oxfam ha lanciato l’allarme, sottolineando come sia la parte più povera e vulnerabile della popolazione a subire le conseguenze più pesanti di questa pandemia, e che solo combattendo globalmente tali disuguaglianze e investendo maggiori risorse economiche nella sanità pubblica riusciremo definitivamente a venirne fuori.
In tale contesto, dunque, è oltremodo evidente la necessità di un diverso complesso di relazioni sociali basato su un apparato ideologico alternativo a quello messo in piedi dall’attuale sistema capitalista. Infatti, se è vero che le storture e le disparità che oggi vediamo non sono frutto del caso, ma l’inevitabile conseguenza di una struttura sociale dove benessere e ricchezza sono un privilegio di pochissimi, allora un ripensamento di queste norme – e il loro conseguente sradicamento – è obbligatorio. Per questo motivo, la filosofia assume un ruolo fondamentale: perciò, essa deve necessariamente rifiutare le banalizzazioni del pensiero positivo e gettare le basi per una società in cui non ci sia più posto per diseguaglianze economiche tanto profonde, sfruttamento e discriminazioni. Nella sua funzione di “lotta teorica”, la filosofia deve quindi forgiare il senso critico dell’intera collettività, dando cioè a ognuno gli strumenti per capire la propria condizione e per poter giungere all’emancipazione. Di fondamentale importanza, dunque, diventa la rivalutazione di parole come “diritti”, “salute”, “solidarietà” e “lavoro”, che devono essere usate come strumenti per rovesciare l’ideologia che invece si basa su sfruttamento, oppressione, discriminazione e marginalizzazione. In questo senso, la filosofia non può che essere “il concentrato teorico della politica” che si realizza come pratica collettiva.
Si capisce dunque come, alla luce della pandemia che ci ha colpiti e che ha messo in luce con straordinaria chiarezza come il capitalismo sia da lungo tempo in profonda crisi, non si può pensare che la filosofia possa ridursi a una somma di aforismi estrapolati dal contesto che finiscono per parlare in maniera new age e fuori da qualsiasi coordinata critico-filologica di un presunto senso della vita. Questo ovviamente non significa che la filosofia debba tradursi esclusivamente in teoria politica, in quanto un’affermazione del genere sarebbe profondamente sbagliata e ingenerosa nei confronti di tutte le altre branche che compongono tale multiforme disciplina. Tuttavia, non si può negare che una filosofia che voglia occuparsi dell’attuale epidemia non può ignorarne l’aspetto politico, non accorgendosi dell’epocale crisi in atto e ridursi a un modo per gestire ansie e paure, oppure a diffondere immotivato ottimismo in stile “Don’t worry, be happy”.
Il contributo concreto che il pensiero filosofico è chiamato a dare oggi, pertanto, passa inevitabilmente da quella che Althusser ha definito “lotta di classe nella teoria”: ad esempio, una riflessione filosofica esauriente sulle conseguenze che la pandemia sta avendo sulla nostra libertà non può prescindere dal fatto che tali conseguenze impattano sistematicamente gli strati sociali più deboli e non riguardano solo la nostra individualità. Analogamente, una tale riflessione non può non tener conto del fatto che le stesse problematiche legate all’eccessiva disparità sociale ed economica o alla limitazione della libertà per le classi subalterne sono profondamente radicate nel nostro sistema da molto prima dello scoppio della pandemia. Oppure, la filosofia non può esimersi dal riflettere sugli effetti socio-politici delle nuove app di tracciamento del contagio e sulla sempre più problematica coesistenza di sicurezza e privacy, in riferimento a quella che Deleuze chiamava “società del controllo”.
Ecco che allora emerge in tutta chiarezza quello che Althusser intende quando dice che la filosofia, in quanto attività teorica, è a tutti gli effetti “una ‘parte’ della lotta di classe nel suo complesso, e poiché la forma più alta della lotta delle classi è la lotta di classe politica, le parole della filosofia sono armi per la battaglia politica”. Per questo, applicando la concezione althusseriana alla più stretta attualità, possiamo affermare che una filosofia che si rifiuta di assolvere alla sua funzione (tanto teorica quanto pratica) di lotta politica, non è degna di tale nome. Inoltre, nel migliore dei casi essa pecca di ingenuità, non avvedendosi di alcuni aspetti fondamentali dei problemi di oggi; nel peggiore dei casi, invece, si rende complice (diretta o indiretta) delle ingiustizie del sistema capitalista, spostando deliberatamente l’attenzione delle persone su questioni di poca rilevanza, senza intaccare minimamente l’oppressiva ideologia dominante.
Il pensiero di Althusser è molto più complesso di così, e qui ne è stato esposto solo un piccolo frammento. Alcune delle sue idee sembrerebbero impraticabili calate nel contesto attuale: ad esempio, egli era convinto del fatto che un partito comunista dovesse rifiutare sempre e comunque di far parte di un qualsiasi governo, anche nel caso di governi progressisti impegnati nell’attuazione di riforme democratiche, per non farsi “contaminare” dall’ideologia borghese. Una tale concezione oggi non può venire recepita come negli anni immediatamente successivi al Sessantotto, dal momento che la nostra epoca è caratterizzata da un bisogno estremo di rafforzare le strutture democratiche per arginare populismi e sovranismi. Tuttavia, può ancora valere la pena di riflettere sulle sue parole, che ci insegnano non solo a ridare alla filosofia il ruolo che le compete – ossia quello di pratica costituente del pensiero, delle norme sociali e della lotta per la libertà – ma anche l’importanza di realizzare il riscatto dei più deboli.