Ne La ferrovia sotterranea di Colson Whitehead, romanzo che ha vinto il Pulitzer nel 2017, si racconta tra le altre la storia di uno schiavo a cui il padrone cavò gli occhi per aver guardato delle parole. Il padrone aveva preferito perdere un lavorante ma insegnare una lezione che sarebbe tornata molto utile sul lungo periodo: “l’eterno terrore di ogni schiavo all’idea di imparare a leggere e scrivere”.
Negli Stati Uniti prima della Guerra civile, istruire gli schiavi era punito per legge. Fu la Carolina del Sud la prima a introdurre questo divieto dopo la rivolta di Stono del 1739. Alcuni schiavi avevano infatti approfittato del giorno di riposo domenicale per riunirsi, esibire cartelli con la scritta “Libertà”, rubare delle armi e cercare di uccidere i propri padroni riuniti in chiesa per la messa. Al tentativo di rivolta, presto soffocato, il governo locale fece seguire il Negro Act, che oltre al divieto di associazione imponeva agli schiavi anche quello di scrivere. Leggere non era proibito per poter permettere la lettura della Bibbia, ma qualsiasi tipo di scrittura veniva sanzionata, così come assumere uno schiavo come scrivano. La situazione peggiorò circa un secolo dopo, a seguito della rivolta di Nat Turner del 1831, l’unica a essere considerata riuscita nella storia degli afroamericani. L’insurrezione guidata da Turner, che presto divenne famosa in tutti gli Stati Uniti del sud per la sua efferatezza e per le rappresaglie che la seguirono, fu cruciale: da un lato, infuse un senso di rivalsa e speranza negli schiavi, dall’altro dimostrò ai padroni che i Neri non erano macchine passive, ma potevano diventare un gruppo sociale con una coscienza propria. Per questo dopo Turner – che proprio leggendo la Bibbia si era convinto di essere un profeta e di dover guidare la rivolta degli schiavi verso Gerusalemme – il divieto di alfabetizzazione fu esteso anche alla lettura e divenne valido non solo per gli schiavi, ma anche per tutti gli afroamericani liberati.
Ovviamente, il fatto che queste attività fossero vietate per legge non significava che tutti gli schiavi rimanessero analfabeti. Lo storico Antonio T. Bly, basandosi sugli annunci nei giornali per le taglie sui fuggitivi, ha osservato che circa il 5% degli schiavi scappati dalla Virginia tra il 1730 e il 1776 viene descritto come “capace di leggere e/o scrivere”. Alla fine dell’Ottocento erano circa il 9%. Le occasioni per acculturarsi erano infatti rare ma non del tutto assenti. I padroni meno severi, per esempio, insegnavano a leggere alle schiave che lavoravano nelle loro case, oppure chiudevano un occhio per le letture religiose. I pochi schiavi istruiti, quindi, insegnavano ai loro compagni. Oltre a queste forme di alfabetizzazione più informali, non mancavano anche realtà più organizzate, che diventavano vere e proprie scuole clandestine. Una di queste fu gestita da Lily Ann Granderson, una delle figure più straordinarie della storia americana.
Lily Ann Granderson era nata in Virginia nel 1816. Figlia di una donna di origini native americane nata libera e di un uomo bianco, trascorse i primi anni della sua vita come schiava domestica in una villa del Kentucky, dove i bambini di casa le insegnarono a leggere e a scrivere. Dopo la morte del padrone, fu venduta a una piantagione del Mississippi, dove per un po’ lavorò nei campi, ma poi fu trasferita di nuovo in casa per le sue precarie condizioni di salute. Poiché la casa del padrone si trovava in città, Granderson doveva compiere ogni giorno il tragitto dalla piantagione in campagna verso il centro urbano. La lontananza dai sorveglianti della piantagione diede alla donna l’opportunità di creare la scuola. Le lezioni cominciavano alle undici di sera e finivano alle due, in una stanza buia con porte e finestre sbarrate, illuminata solo da pezzi di corteccia di pino che venivano usati come candele. Granderson accettava solo dodici studenti alla volta, che “diplomava” non appena avessero imparato a leggere e scrivere. L’istruzione fornita da Granderson non solo restituiva dignità e consapevolezza ai piccoli schiavi, ma dava loro anche una concreta possibilità di scappare. Grazie a lei, in moltissimi riuscirono a scriversi da soli i propri documenti di affrancamento, falsificare la firma del padrone e a scappare in Canada o negli Stati del nord dove non sarebbero stati restituiti ai loro proprietari. La scuola clandestina di Lily Ann andò avanti per sette anni, finché la voce si sparse al punto che Granderson fu costretta a uscire allo scoperto. Tuttavia, non fu punita: la legge infatti proibiva che i bianchi dessero un’istruzione ai Neri, ma non diceva nulla a proposito di schiavi che insegnavano ad altri schiavi.
In quegli stessi anni, le posizioni riguardo l’istruzione degli schiavi stavano cambiando. Già negli ultimi decenni del Diciottesimo secolo, alcuni abolizionisti nel nord degli Stati Uniti avevano cominciato a organizzare attività clandestine per promuovere l’emancipazione degli schiavi, tra cui l’istituzione di scuole per afroamericani. Tra le prime ci fu la New York African Free School, fondata nel 1787 quando la maggior parte degli abitanti Neri della città erano ancora schiavi. Tuttavia, il modello di istruzione promosso da scuole come la New York African Free School non mirava alla liberazione e all’emancipazione. Al contrario, le scuole per afroamericani insegnavano ai propri studenti i valori della condiscendenza e della passività, insieme alla superiorità culturale europea. L’idea, di stampo fortemente coloniale, era che i Neri potessero essere assimilati nella società bianca, di fatto cercando di somigliare il più possibile ai bianchi. Come racconta anche il romanzo di Whitehead, agli schiavi liberati veniva data un’istruzione, ma al contempo le associazioni anti abolizioniste – guidate e formate da bianchi – si appoggiavano a convinzioni positiviste o proprie del razzismo scientifico, appoggiando anche pratiche come le sterilizzazioni forzate.
L’istruzione impartita dai bianchi, quindi, era uno strumento non tanto di libertà, quanto più di addomesticamento verso una cultura che rimaneva comunque quella superiore. A differenza delle lezioni clandestine nelle piantagioni – che si impartivano fra pari e il cui evidente scopo era quello di dotare gli schiavi di uno strumento di sopravvivenza, utile a leggere libri mastri, annunci di taglie e a falsificare documenti – lettura e scrittura diventavano capacità ambivalenti, che da un lato potevano avvicinare i Neri ai bianchi, ma dall’altro lo facevano in condizioni di sicurezza. Nemmeno tutti gli antischiavisti erano d’accordo con l’idea di istruire gli schiavi. Elias B. Caldwell, segretario dell’American Colonization Society, associazione che promuoveva il ritorno degli ex-schiavi in Africa, per esempio sosteneva che “più migliori le condizioni di queste persone, più coltivi la loro intelligenza, più li rendi disperati nelle loro condizioni attuali. Dai loro un appetito ancora maggiore per quei privilegi che non potranno mai ottenere, e trasformi quello che noi crediamo essere una benedizione in una maledizione”.
Solo dopo la guerra di Secessione, nella cosiddetta “era della ricostruzione”, le scuole per ex schiavi uscirono definitivamente dalla clandestinità e diventarono vere e proprie istituzioni governative, perdendo almeno parzialmente i connotati colonialisti che avevano in precedenza. Il Freedmen’s Bureau, una delle prime iniziative dello stato federale per l’integrazione dei liberti, permise l’apertura di diverse scuole per persone Nere, grazie all’aiuto dell’associazione abolizionista di stampo religioso American Missionary Association (Ama).
Quando l’Ama alla fine della guerra civile arrivò a Natchez, una cittadina affacciata sul Mississippi, trovò molti Neri già istruiti. L’associazione fondò una scuola nell’ospedale della città e assunse Lily Ann Granderson come insegnante. Della sua vita, di cui abbiamo poche informazioni come accade per tanti altri schiavi, abbiamo un’ultima testimonianza nel 1870: aprì un conto corrente alla Freedman’s Bank, il primo istituto di credito per ex schiavi negli Stati Uniti. La scuola dell’ospedale di Natchez, sempre più affollata, nel 1882 fu trasferita nella città di Jackson e cinque anni dopo diventò un’università. Ancora oggi la Jackson State University è il simbolo dell’istruzione accessibile, gratuita ed egualitaria per la comunità afroamericana.