È attraverso la comprensione che passerà l’integrazione dei popoli, ci disse Kant
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Nel 1795 Immanuel Kant pubblicava Per la pace perpetua, frutto delle sue riflessioni di una vita sul concetto di pace e del modo per realizzarla. Nel corso del trattato, il filosofo arrivò a teorizzare l’idea di “diritto cosmopolitico”, ovvero le condizioni dell’ospitalità universale.

A distanza di oltre due secoli il diritto è considerato a livello accademico l’insieme di norme che uno stato o un’entità sovrana esercitano sui suoi sottoposti. Questo assunto si basa a sua volta su quello di stato, inteso come una struttura solida e inalienabile. Una delle condizioni per il riconoscimento internazionale di uno stato è l’occupazione di un territorio, modello che continua a essere replicato dagli albori della civiltà, salvo sporadiche parentesi rivoluzionarie nelle quali appartenere a uno stato ha significato credere in un’idea, piuttosto che in un’appartenenza territoriale. La terra è stata vista per millenni come un possesso, insieme a tutto quello che la occupava, cittadini compresi.

Immanuel Kant

Solo a fine Ottocento questa concezione ha iniziato a essere messa in discussione, con la domanda se si possa davvero creare uno stato a-territoriale. È questo il quesito a cui prova a rispondere la Panarchia, un sistema politico proposto per la prima volta nel 1860 in un articolo sulla rivista Revue Trimestrielle dall’economista politico belga Émile de Puydt, poi sviluppato da diversi filosofi e politici fino ai giorni nostri, ma senza mai trovare un’applicazione concreta. La Panarchia teorizza un sistema a-territoriale dove ognuno può scegliere i propri diritti e i propri governanti e vivere liberamente senza essere costretto a lasciare il luogo di origine per poterlo fare. In sintesi, ogni governo diventerebbe quello che oggi rappresenta la Chiesa, a cui ciascuno può decidere di aderire e sottostare alle sue regole oppure aderire a un’altra comunità capace di coesistere con la prima in un clima di tolleranza reciproca. La Panarchia rappresenterebbe un sistema in cui ognuno sarebbe libero di essere rappresentato dal diritto che ha scelto, libero da oppressione, rifugiati politici e minoranze perseguitate.

Il diritto cosmopolitico di Kant viene chiamato in causa come garante della pace tra le diverse “chiese-governo”. Infatti la Panarchia prevede che tutti gli stati firmino un contratto sociale che valga universalmente, per garantire la pace e quelle che de Puydt definiva “le esigenze base della libertà”. Se i diritti umani (attualmente la cosa più vicina al diritto cosmopolitico) non vengono rispettati da tutti i paesi, che li antepongono a interessi economici e politici, con la Panarchia diventerebbero la base per garantire la loro convivenza pacifica. 

L’interconnessione virtuale in cui viviamo ha riacceso l’interesse sull’idea di Émile de Puydt insieme alla speranza di costruire un mondo basato sul rispetto, dove i cittadini di alcuni paesi non siano costretti a rinunciare alla fuga per conservare la propria libertà o la vita. Per alcuni anni si è fatta strada la speranza che il territorialismo si potesse sconfiggere grazie a Internet e alla rete, concepita inizialmente come un progetto a-territoriale. Già Kant pensava che anche i semplici scambi commerciali tra gli Stati avrebbero aiutato la pace in quanto “non si fa guerra a chi si conosce” ed era convinto che per concretizzare il diritto cosmopolitico occorresse comprendere che la sua negazione in un qualsiasi “punto” della terra corrispondesse alla privazione per tutti i “punti” del mondo. Non possiamo sapere cosa avrebbe pensato Kant di Internet, ma nell’ottica in cui conoscere significa non fare guerra, la rete avrebbe potuto farsi garante di una pace perpetua, nonostante i tentativi della censura e dei nazionalismi di limitare la sua influenza. 

Il territorialismo è però solo una risposta alla crisi dell’idea di stato nazionale che da tempo vacilla davanti alla globalizzazione (che è economica, ma riguarda anche il potere e la cultura). Internet è diventato il dominio di potenze, come Amazon o Google, che riescono a modellare anche gli equilibri interni degli stati grazie al loro peso economico. Quindi, si può dire che il territorialismo sia oggi una delle basi del nazionalismo nato come conseguenza reazionaria alla società liquida di cui ci parlava Bauman. La retorica dei partiti nazionalisti di tutto il mondo basata sull’adagio “difendiamo la nostra terra” è la cosa più distante dall’idea di diritto universalmente valido, dato che tiene in maggior conto la proprietà territoriale che l’essere umano.

 

Nonostante la retorica sulla chiusura delle frontiere e dei rimpatri di massa sbandierata da Matteo Salvini e dai suoi emuli europei, una recente sentenza della Corte di giustizia Ue ha ribadito che non è possibile rimandare i migranti in Paesi che violano i diritti umani. La sentenza va a minare le basi del Decreto sicurezza del ministro dell’Interno, che ha comunque ribadito l’intenzione di rimpatriare chiunque commetta crimini, anche se questo può metterne a rischio l’incolumità o la vita. 

Già Kant, mosso da una concezione di diritto internazionale e cosmopolitico molto simile a quella dell’attuale Unione Europea, scriveva che uno straniero può essere allontanato solo se ciò non mette a repentaglio la sua vita, perché delegare una violenza vuol dire esserne corresponsabili. Il decreto del ministro dell’Interno è uno degli esempi più rappresentativi dell’antitesi del diritto cosmopolitico di Kant, che lo intendeva in primis come facoltà di essere accolti e di muoversi in virtù di un diritto universale basato sul rispetto. Ma il fatto che il diritto umano non sia una priorità nella nostra società non è una colpa da addossare a Salvini, ma una caratteristica imprescindibile del sistema capitalista in cui viviamo, che mette al centro dell’interesse politico il profitto, che è sempre individuale o, al limite, aziendale. Un sistema capitalista non può infatti per definizione pensare prima agli interessi degli altri rispetto ai suoi, proprio perché si fonda sul profitto e sulla bramosia di farlo. 

Maggiore è il senso di appartenenza a un territorio e più cresce la necessità di distinguersi accumulando ricchezza e benessere. Il capitalismo non tiene in conto le altre culture, curandosi esclusivamente di bisogni economici e non rispettando le connessioni interculturali, fondamentali per raggiungere la solidarietà universale. Per assecondare interessi economici si incoraggiano quotidianamente scambi economici con dittature che spesso e volentieri violano i diritti umani e nulla hanno in comune con il nostro Paese se non il desiderio di arricchirsi. 

Pur non essendo altro che alleanze per il profitto, hanno una forza maggiore rispetto ai diritti umani: la capacità, tramite contratti e norme, di imporsi ovunque ci sia un interesse economico comune. Invece, nonostante l’impegno espresso nella Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu, in molti Paesi questi non sono ancora tutelati per legge e rimangono dei propositi teorici. Fino a quando l’interesse di pochi potenti scandirà l’interesse collettivo, non riusciremo mai a riconoscere il valore globale dei diritti dell’uomo e realizzare davvero la pace perpetua che Kant sognava più di due secoli fa.

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