“La Metamorfosi” di Kafka educa all’empatia verso la sofferenza di chi vive una condizione diversa - THE VISION
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Ne La metamorfosi di Franz Kafka il protagonista e voce narrante Gregor Samsa si ritrova improvvisamente nel corpo di un enorme insetto. Nel testo non c’è scritto espressamente che questo sia uno scarafaggio, come in molte traduzioni è stato esplicitato: “Ungeziefer” in tedesco significa semplicemente insetto infestante, ma in effetti dalle varie scene si può desumere che l’autore avesse in mente proprio qualcosa di simile. Fatto sta che un uomo come Samsa, un commesso viaggiatore che vive con la propria famiglia, si ritrova d’un tratto immerso in una condizione nuova: la diversità. Iniziano così una serie di dinamiche attraverso cui lo scrittore non ci mostra soltanto un personaggio, ma ci fa immedesimare a pieno nel suo protagonista, imponendoci di calarci in prima persona nei panni dell’escluso. 

La metamorfosi di Kafka trascina il lettore nel tema dell’emarginazione sociale, ciò che vive Gregor Samsa dal momento in cui si ritrova in un corpo che non è il suo. Per tutta la prima parte del racconto Gregor lotta contro la difficoltà nel comunicare, nel muoversi, nel compiere azioni che prima per lui erano scontate, scoprendo all’improvviso una realtà completamente nuova. Dopo la trasformazione, l’incontro con la sua famiglia ha un impatto devastante: appena lo vede la madre sviene, mentre il padre reagisce mostrando orrore e rabbia nei suoi confronti. L’unica a prendersi cura di lui – seppur con un certo distacco – è la sorella, Grete. Tuttavia, per Gregor i rapporti con i familiari sono cambiati per sempre. Se prima era colui che, con il proprio lavoro, teneva in piedi le finanze della famiglia, dopo essersi trasformato diventa un peso per tutti. Nemmeno nutrirlo viene percepito come un atto dovuto dai suoi genitori, ma come un dovere forzato che si assolve solo a patto che poi si nasconda sotto al letto quando Grete entra in camera. Lo scarafaggio è una sciagura che si è abbattuta sulla famiglia Samsa e va nascosta a tutti i costi.

È facile rivedere nella figura di Gregor quella dell’individuo che viene man mano escluso dalle dinamiche sociali. Un tema centrale al tempo di Kafka e ancor più attuale oggi, dato l’impatto enorme che l’emarginazione sociale ha sulla realtà. Secondo l’Istat, in Italia la popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale è pari al 27,3%. Tra le cause delle dipendenze – da alcolici come da sostanze stupefacenti – ai primi posti risultano esserci le dinamiche familiari, che generano forme di esclusione e tentativi di nascondere le situazioni problematiche dagli sguardi esterni. Gregor, dal momento in cui si ritrova nel corpo di un insetto, diventa proprio quella macchia nera da occultare. Nemmeno gli inquilini che a un certo punto la sua famiglia è costretta a ospitare per far fronte alle difficoltà economiche devono sapere di lui. E quando si lascerà intravedere, richiamato dal suono del violino di Grete, sarà investito dal disgusto degli ospiti e dalla rabbia dei suoi familiari.

La foga nel celare il gigantesco insetto esplode quando, a causa di un incidente, esce dalla sua stanza e raggiunge la cucina. In questo modo rompe il patto che stabilisce per lui l’obbligo di estromissione da qualsiasi dinamica familiare. Il padre, furioso, gli lancia delle mele, una delle quali si conficca nella sua corazza. È un gesto violento che lascia una traccia indelebile, perché quella mela rimarrà incastrata sul suo dorso. È un segno che richiama un altro concetto kafkiano: quello della colpa. Un’idea che emerge ripetutamente nelle opere dello scrittore cecoslovacco – in particolare ne Il processo – e che richiama di continuo quel senso di colpa a priori: un assillo costante che non affonda le radici in alcun fatto concreto. Ciò, nella letteratura di Kafka, dà vita a situazioni assurde, che non hanno alcuna spiegazione per i protagonisti, ma che appaiono perfettamente normali a chi li circonda. Ne La metamorfosi è come se Gregor Samsa portasse sulle spalle una colpa innata: quella della diversità. Una dimensione che ritroviamo oggi soprattutto nell’emarginazione sociale dettata dalla xenofobia, che trasforma le differenze in una responsabilità originaria che ha un peso enorme sull’individuo. 

Ma questo non è l’unico tema in cui possiamo ritrovare dei riverberi con il nostro contesto attuale. La sua famiglia, ad esempio, nonostante lo percepisca come un problema, in un certo senso per restare unita sembra avere bisogno di lui. Più passa il tempo, infatti, e più genitori e sorella si ritrovano legati da un senso di superiorità che però non fa che aumentare la loro distanza nei suoi confronti. Nel suo racconto, Kafka ci mostra quanto ogni gruppo sociale in alcuni contesti necessiti di una minoranza per riconoscere la propria identità. Nella figura di Gregor non vediamo quindi solo un capro espiatorio, ma anche l’elemento che permette il compattarsi della maggioranza intorno a un nemico comune. 

La famiglia di Gregor continua quindi a isolarlo sempre di più, fino a emarginarlo del tutto. La fine di Samsa è così un flebile spegnersi immerso nella propria solitudine e i suoi familiari invece che esserne rattristati vivono quel momento con la leggerezza di chi non vede l’ora di liberarsi da un peso – che non pensa di meritarsi e che ha cercato in tutti i modi di scaricarsi dalla coscienza. “Abbiamo fatto tutto quanto umanamente possibile per prenderci cura di lui […], non credo che nessuno possa biasimarci minimamente”, afferma la sorella Grete, l’ultima ad abbandonarlo. 

La metamorfosi di Kafka ci permette di scoprire l’importanza di quel senso di empatia verso gli ultimi che spesso tendiamo a soffocare. Il grande scrittore boemo ci invita a osservare la realtà attraverso più punti di vista, perché cambiandoli possiamo trovare la prospettiva in grado di farci comprendere le debolezze e le fragilità altrui. Ma, soprattutto, questa opera è un invito a non cercare mai di plasmare la realtà a nostro piacimento. Gregor Samsa, dopo la sua trasformazione, non pretende di tornare a essere come gli altri, né tantomeno di omologarsi agli altri componenti della sua famiglia. Gregor chiede di essere accettato per quello che è, nella sua diversità. E Kafka ci dice che l’unico modo per comprendere davvero questa diversità è calarci al suo interno provando ad attivare la nostra empatia. Soffriamo insieme a Gregor mentre leggiamo come soffriremmo se riuscissimo a percepire sulla nostra pelle la sofferenza di chi vive in prima persona il dramma dell’emarginazione. Riusciremmo così a comprendere l’entità del dolore che provoca l’esclusione, talvolta dettata dalla superficialità di chi, nel diverso, vede soltanto un problema da risolvere e di cui disfarsi.

La chiave di lettura più attuale dell’opera, tuttavia, resta nella scena della mela, che assume un’importanza fondamentale. È proprio quel frutto incastrato sul dorso dell’insetto che impedisce al padre di continuare a ignorare la tragedia esistenziale che sta vivendo il figlio e a imporgli per un momento di percepire quel senso di responsabilità che aveva soppresso fin dall’inizio. “La mela, che nessuno osò estrarre, rimase conficcata nella carne di Gregor come un visibile ricordo dell’avvenimento”, si legge all’inizio del terzo capitolo. “La grave ferita, di cui soffrì per un mese, parve ricordare anche al padre che Gregor, nonostante l’aspetto misero e ripugnante, era un membro della famiglia e non poteva essere trattato come un nemico: il dovere familiare imponeva, al contrario, di reprimere la ripugnanza e aver pazienza, solo pazienza”. Quella mela impedisce al padre di ignorare l’umanità del grosso insetto, che altri non è che suo figlio. È l’elemento che impedisce di chiudere gli occhi di fronte alla sofferenza di chi vive una condizione diversa. È ciò di cui, in un presente in cui il dolore causato da esclusione, emarginazione e diversità si presenta di continuo davanti a noi, abbiamo sempre più bisogno: trovare il coraggio di non nasconderci nell’indifferenza.

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