Quando una donna è nervosa, arrabbiata o anche più semplicemente esprime il suo dissenso su qualsiasi questione con veemenza, è consapevole che prima o poi si sentirà dire in modo automatico, da chi ha ormai esaurito gli argomenti: “Hai le tue cose?”, quasi come se la nostra capacità di dibattito dipendesse da quello che succede nella nostra pelvi. Sono i grandi classici della bagarre, più scontati di un film di Natale dove una ragazza di provincia scopre di essere l’erede al trono di un regno fittizio situato nelle Alpi, più ovvi di uno sciopero dei trasporti di venerdì sera. È interessante notare che questa domanda è ormai talmente abusata da venire rivolta anche agli uomini con la stessa sufficienza: “Sei mestruato?”.
Spesso queste frasi sono accompagnate da un’altra parola, che si trascina appresso secoli di pregiudizio, pseudoscienza e misoginia: “isteria”, una malattia inventata che per molti anni è stata usata per ostacolare, imprigionare o patologizzare la condizione femminile. Il termine “isteria” deriva infatti dal termine greco hysteron, che significa utero. Secondo il Corpus hippocraticum, ovvero l’insieme di testi di medicina attribuiti a Ippocrate, “è l’utero la causa di tutte le malattie delle donne”. Considerato un corpo asciutto e cavo, questo organo assorbirebbe una quantità maggiore di sostanze rispetto all’uomo, che causerebbero l’accumulo di liquido poi espulso sotto forma di sangue mestruale. Per questo la donna avrebbe bisogno continuamente del coito, che secondo Ippocrate ha la funzione di riequilibrare le differenze di umidità dell’utero. Quando questo equilibrio viene rotto e l’utero rimane asciutto, perde peso e comincia a spostarsi nel ventre della donna, provocando dolore e “soffocazione isterica”, ovvero una sensazione si soffocamento e di confusione mentale. Questa soffocazione “accade soprattutto nelle donne che non hanno avuto rapporti sessuali e in quelle anziane”. Non possiamo dire che l’intenzione di Ippocrate fosse quella di stigmatizzare la donna: considerato lo stato di avanzamento della scienza medica dell’epoca, bisogna ammettere che certe intuizioni sembrano anzi parecchio moderne, anche se in epoche successive vennero strumentalizzate.
L’isteria si consolidò nella scienza medica come una malattia femminile, causata dallo “spostamento” dell’utero, che provocava convulsioni, paralisi, senso di soffocamento, depressione, collassi, e quest’idea cominciò ad assumere contorni sempre più misogini, di pari passo con la progressiva deplorazione della malattia mentale. Dalla fine del Medioevo e per tutto il Seicento fu associata alla stregoneria e i suoi sintomi furono utilizzati come prova conclamata della possessione demoniaca. Un passo decisivo per slegare il disagio psichico dalle superstizioni religiose e per lo sviluppo delle teorie sulle malattie nervose fu, nel 1656, l’apertura del Salpêtrière di Parigi, un grande ospedale spacciato come opera di carità nei confronti dei mendicanti ma presto trasformatosi in un manicomio per i reietti della società, nonché in un luogo per sperimentare nuove cure e terapie. In particolare, il suo celebre direttore Philippe Pinel, considerato il primo psichiatra della storia, cambiò l’approccio alla malattia, eliminando catene ed esorcismi per i pazienti.
Nell’Ottocento ci si rese conto che la teoria per cui l’isteria fosse causata dall’utero che vagava di qua e di là nella pancia delle donne fosse poco verosimile, e così le cause ginecologiche vennero abbandonate per indagare quelle che allora erano le più sfuggenti cause neurologiche. Erano gli anni del positivismo, ma era anche l’età vittoriana, il tempo in cui i ruoli di genere si irrigidirono in modo definitivo, separando in modo netto il maschile dal femminile sulla base di principi “naturali” e biologici.
Jean Martin Charcot fu forse il più accanito dei teorici dell’isteria. Anche lui direttore del Salpêtrière, Charcot fu tra i primi a credere che l’isteria colpisse anche gli uomini. Nei suoi studi, infatti, incluse anche una sessantina di pazienti maschili, anche se la sua più grande ambizione restò quella di creare un manuale iconografico che illustrasse le pose che le donne rinchiuse nel manicomio assumevano durante i loro attacchi. L’Iconographie photographique de la Salpêtrière è l’inquietante risultato di questo studio: “paralisi, anestesia, iperestesia, contrattura, restringimento del campo visivo e dolore nella regione ovarica” erano, secondo il neurologo, i sintomi dell’isteria. Anche se non la considerava una malattia unicamente femminile, nell’impianto iconografico della sua opera, che raffigura donne, si può comunque leggere la volontà di sistematizzare la malattia soltanto nel corpo femminile, di immortalarla in modo inequivocabile e riconoscibile.
Proprio al Salpêtrière cominciò a lavorare Sigmund Freud, che nei suoi Studi sull’isteria, redatti con Josef Breuer, ricondusse l’isteria alla repressione del desiderio sessuale, eliminando definitivamente la teoria dell’utero errante. Freud e Breuer condussero le loro ricerche su pazienti di entrambi i sessi, ma stabilirono anche che si trattasse di una malattia prettamente femminile, perché la repressione del desiderio è connessa al ruolo che la donna assume nella società.
Nonostante l’abbandono delle cause biologiche dell’isteria, questa malattia continuò a essere diagnosticata e trattata medicalmente nelle donne fino agli anni Cinquanta. Per tutto l’Ottocento i medici perseverarono nel praticare sulle pazienti che presentavano i sintomi ricondotti all’isteria la tecnica del “parossismo isterico”, ovvero la masturbazione clitoridea o vaginale, al fine di condurle all’orgasmo (che ovviamente non veniva riconosciuto come tale, in quanto era opinione comune che la donna non provasse piacere). Le pazienti tipo erano vedove o nubili, cioè le donne che non avevano rapporti sessuali abituali. A molte donne veniva prescritta la “rest cure”, la cura del riposo: venivano segregate in casa, a letto, spesso isolate, al buio e prive di qualsiasi stimolo per mesi. Le più sfortunate, che magari erano epilettiche o depresse, venivano confinate in manicomio, oppure sottoposte a trattamenti scellerati come l’isterectomia o l’iniezione di varie sostanze nell’utero.
Nella seconda metà del Novecento, il numero di diagnosi di isteria crollò drasticamente, mentre aumentarono le diagnosi di depressione o di altre malattie: la nascita della psicanalisi aveva contribuito a fare chiarezza sulla salute mentale. Nel 1980, la nevrosi isterica venne eliminata dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, e oggi i sintomi “isterici” vengono generalmente ricondotti al disturbo di conversione, una forma di somatizzazione in cui un conflitto mentale viene espresso con sintomi fisici simili a quelli di una patologia del sistema nervoso. È stato eliminato anche qualsiasi riferimento al genere.
L’isteria – o più in generale il pregiudizio secondo cui le donne sarebbero unicamente guidate dal loro utero – ha avuto conseguenze più ampie dell’ambito psichiatrico. Ad esempio, un’argomentazione usata contro il suffragio femminile era che le donne fossero troppo instabili per partecipare alla vita politica, e quindi votare. In Italia, fino al 1963, la donna non poteva accedere al concorso per la magistratura perché “è fatua, è leggera, è superficiale, emotiva, passionale, impulsiva, testardetta anzichenò, approssimativa sempre, negata quasi sempre alla logica, dominata dal ‘pietismo’, che non è la ‘pietà’; e quindi inadatta a valutare obbiettivamente”. In una parola: isterica.
Questo pregiudizio sopravvive ancora oggi. Basta pensare ai luoghi comuni sulle mestruazioni, che ci vorrebbero tutte impazzite per cinque giorni al mese, intente a lanciare oggetti fuori dalla finestra finché un uomo non ci passa, a debita distanza, una confezione di Buscofen. Tra chi più cautamente ci definisce “dolcemente complicate” e chi incastra il femminile in una visione a senso unico di nevrosi, aggressività e desideri repressi (come se gli uomini non fossero soggetti a questi stessi atteggiamenti), sono ancora molti a credere che la psiche e la personalità femminile siano guidate dagli “ormoni e dagli istinti misteriosi”, che secondo Simone De Beauvoir a torto vengono usati per definire la donna. Tutti siamo soggetti ai cambiamenti ormonali a prescindere dal sesso: semplicemente c’è chi li gestisce meglio e chi invece ne risente di più l’influenza. Ma chi dà a una donna dell’isterica sottintende che il suo modo di rapportarsi con il mondo sia viziato dal suo genere e che per lei non esista altro orizzonte di possibilità che l’imprevedibilità e l’irrazionalità dettata dai suoi ormoni. E dirlo a un uomo, o dire che è “mestruato” è altrettanto offensivo, perché ci si riconduce alla stessa visione tossica e stereotipata della condizione femminile.
Ed è per questo stesso pregiudizio che ancora oggi il dolore che colpisce una donna, sia esso fisico o psicologico, non viene mai preso sul serio. Per secoli le varie manifestazioni del disagio psichico sono state etichettate semplicemente come “isteria”, una condizione passepartout, univoca, ovvia. Il dolore della donna è stato così ridotto a una suggestione, e per di più a una suggestione misteriosa e inconoscibile, come per lungo tempo è stata considerata la psiche femminile, ineluttabilmente connessa al suo utero. Ancora oggi molte donne che soffrono di malattie dell’apparato riproduttivo, come ad esempio l’endometriosi, si sentono dire che “è tutto nella loro testa”, che si sono inventate tutto che sono, insomma, pazze, suggestionabili, troppo emotive. Ancora una volta: isteriche.
L’isteria è stata uno strumento di potere per sancire una volta per tutte l’inferiorità intellettuale, fisica e morale della donna. Ma soprattutto per rinchiuderla, controllarla e patologizzarla. Il potere procede sempre per semplificazione: quello che è difficile da comprendere, viene ridotto. Per secoli è stato più comodo dire “isteria” anziché indagare le più complesse sfumature della salute mentale. È un atteggiamento che in apparenza sembra essere stato superato, ma in realtà oggi assume forme nuove e più sofisticate: diversi studi hanno dimostrato che il personale medico è più incline a descrivere il dolore dei pazienti con aggettivi come “emotivo, piscogeno, isterico o ipersensibile” quando a provarlo è una donna. Così, mentre agli uomini viene chiesto di spiegare i sintomi fisici, alle donne viene consigliato lo psicologo o lo psichiatra. Nel campo della medicina si discute molto sulla diversa percezione del dolore negli uomini e nelle donne, anche se non si parla abbastanza dei pregiudizi di genere a cui si va incontro nella sanità, che hanno radici molto antiche, le stesse dell’isteria.