Quando Harvey Milk dimostrò che i diritti delle minoranze sono i diritti di tutti

Lunedì 8 luglio il segretario di Stato statunitense Mike Pompeo ha dichiarato che a Washington verrà istituita una commissione con il compito di rivedere “il ruolo dei diritti umani nella politica pubblica americana”. L’iniziativa ha allarmato gli attivisti LGBTQ+ e chi lotta per i diritti delle donne. Pompeo ha scelto parole preoccupanti per il suo annuncio: “Mentre le rivendicazioni sui diritti umani si sono moltiplicate, alcune istanze hanno finito per entrare in contrasto tra di loro, provocando domande e scontri su quali diritti siano meritevoli di avere rispetto”. Il segretario ha anche aggiunto: “Gli Stati nazionali e le istituzioni internazionali sono confusi riguardo alle rispettive responsabilità in materia di diritti umani. Dobbiamo assicurare che la questione dei diritti umani non venga corrotta o dirottata o utilizzata per scopi dubbi o maligni”.

Le intenzioni dell’amministrazione Trump si palesano in un momento storico e politico allarmante per quanto riguarda la difesa dei diritti umani, in particolare per quelli definiti “di prima generazione”, ossia civili e politici. Stiamo vivendo un momento in cui tutto è diventato opinabile, anche i diritti fondamentali dell’essere umano. Per questo oggi è ancora più importante ricordare non solo le battaglie che ci hanno permesso di conquistarli ma anche le persone che per prime hanno accettato questa sfida. La storia è ricca di esempi di donne e uomini che da soli, con un gesto, un discorso o una presa di posizione hanno spinto la collettività verso cambiamenti epocali. Nell’ambito delle battaglie per i diritti civili non si può dimenticare il contributo di Harvey Milk.

Harvey Milk nacque a Long Island nel 1930. Dopo aver prestato servizio nel corpo dei marine durante la guerra di Corea, nel 1955 si congedò dopo essere stato interrogato sul suo orientamento sessuale. Abbandonati gli abiti militari, decise di non nascondere più la sua omosessualità e nel 1960 si trasferì con il compagno Scott Smith a San Francisco, la città all’epoca più progressista e tollerante degli Stati Uniti. I due aprirono in Castro Street un negozio di fotografia che finì per diventare il punto di ritrovo dei militanti per i diritti degli omosessuali. Il giovane Milk, diventato leader di questo gruppo, decise così di candidarsi come consigliere comunale della città nel 1977, vincendo.

Negli anni in cui l’omosessualità era ancora considerata dalla medicina una malattia psichiatrica, Milk diventò il primo politico al mondo dichiaratamente gay a essere eletto per un ruolo istituzionale. Il 27 novembre 1978, Dan White, ex veterano del Vietnam e consigliere comunale dimissionario, fece irruzione nel municipio di San Francisco dove uccise a colpi di pistola il sindaco George Moscone e lo stesso Milk. La storia di Harvey è stata raccontata dal regista Gus Van Sant nel 2009 nel film omonimo, interpretato da Sean Penn.

Harvey Milk e George Moscone

Dan White viene scortato da alcuni poliziotti
Il corpo di Harvey Milk viene trasportato a seguito dell’omicidio

Nella sua breve vita l’attivista è riuscito a far crescere l’orgoglio della comunità LGBTQ+ di San Francisco degli anni Settanta, superando i confini della California e infondendo coraggio non solo negli omosessuali di tutto il mondo, ma anche alle altre minoranze coinvolte nei suoi anni di attività politica – afroamericani, ispanici, asiatici, italiani, persone con disabilità, disoccupati, donne. La sua intuizione ha poi guidato a livello internazionale i movimenti e i partiti progressisti: le battaglie di una minoranza sono le battaglie di tutte le minoranze.

Quando alla fine del 1977 l’ex marine entrò nel Consiglio dei supervisori di San Francisco, pronunciò parole che hanno tracciato una strada per le future generazioni progressiste: “Se un gay può vincere le elezioni significa che, se combattiamo, c’è speranza che il sistema possa funzionare per tutte le minoranze, abbiamo dato loro speranza”. Milk, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, ha capito prima di altri che i temi affrontati dalla sinistra progressista, ispirati dagli ideali di inclusione e condivisione, possono aggregare tutte le fasce della comunità, indipendentemente dal ceto sociale e dalle specifiche esigenze dei singoli. Per questo la sua attività politica non si è concentrata solo sulle istanze della comunità LGBTQ+: Milk lavorò a molte iniziative per migliorare l’edilizia popolare, costruire centri di assistenza per le madri lavoratrici e anche migliorare la pulizia delle strade di San Francisco. 

Il manifesto politico di Milk è rappresentato dal discorso diventato noto come The hope speech, il discorso della speranza, pronunciato il 2 luglio 1978 al Pride di Los Angeles. Il politico californiano in quell’occasione rispose pubblicamente alla leader cristiana Anita Bryant, ex personaggio televisivo che distorceva il messaggio religioso per sostenere tesi omofobe e discriminatorie. Bryant era una convinta sostenitrice della cosiddetta “proposta Briggs”, che mirava a impedire l’assunzione di insegnanti gay e lesbiche nelle scuole dello Stato della California o a licenziarli in caso di “condotte omosessuali”. La proposta di legge fu poi accantonata, anche grazie allo sforzo di Milk.

La forza del suo discorso non si limita alla difesa dei diritti della comunità omosessuale, ma si estende a tutti coloro che si sentono discriminati, maltrattati, umiliati o emarginati dalla società e dalle istituzioni pubbliche. Milk quel giorno ha pronunciato parole rivoluzionarie, condannando l’ingiustizia che si commette quando si giudicano le comunità africane, latino-americane, asiatiche e italiane basandosi solo su cliché e pregiudizi infondati.

“Non posso dimenticare lo sguardo delle persone che hanno perso la speranza”, ha urlato Milk dal palco, “siano esse gay, anziani, afroamericani in cerca di un lavoro impossibile da trovare, o latinos che provano a spiegare i loro problemi e le loro aspirazioni in una lingua straniera. Sono qui in piedi di fronte alle mie sorelle, ai miei fratelli e ai miei amici gay perché sono fiero di voi”. Nel 2019 la comunità LGBTQ+ può dire di aver conquistato molto rispetto a quando l’attivista originario di Long Island venne eletto consigliere di San Francisco, ma considerare vinta la battaglia sarebbe un grave errore. Le cronache quotidiane di tutto il mondo, Italia compresa, documentano l’avversione verso la comunità LGBTQ+ e tutte le altre minoranze: donne, persone con disabilità, anziani, migranti, stranieri.

A dover far riflettere è che gli attacchi avvengono sempre più spesso nelle sedi istituzionali, con l’approvazione di leggi che tolgono alla società civile i diritti acquisiti in anni di lotte combattute sulla pelle di persone come Milk. Diritti che, come lui ci ha insegnato, non vanno a beneficio solo della cerchia di persone che tutelano, ma di tutta la comunità.

La decisione del segretario di Stato Mike Pompeo di annunciare l’istituzione della commissione per rivedere “il ruolo dei diritti umani nella politica pubblica americana” al termine del Pride month è grottesca, se non un messaggio molto preoccupante. Soprattutto se si considera che a capo di questo organo è stata nominata la professoressa di Harvard Mary Ann Glendon, che l’International Women’s Health Coalition ha accusato di aver sostenuto i tentativi legislativi di bloccare l’accesso all’aborto, di limitare il matrimonio tra persone dello stesso sesso e i diritti delle persone transgender.

Per difenderli, anche a distanza di 40 anni, è importante ricordare l’intuizione di Harvey Milk: la sinistra progressista deve compattarsi e assumersi la responsabilità di difendere tutte le minoranze, perché non si sentano più sole o abbandonate dalla società e dalle istituzioni. Parafrasando uno slogan femminista della seconda ondata, i diritti delle donne, della comunità LGBTQ+, dei migranti, degli anziani, dei disabili e in generale delle categorie più deboli, sono diritti umani. Per questo non possiamo più permettere che qualcuno li metta in discussione.

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