Era il 1977 quando lo sceneggiatore venticinquenne Douglas Adams, dopo un’esperienza di scarso successo come showrunner per la serie televisiva Doctor Who, propose al produttore Simon Brett di ideare uno sceneggiato radiofonico umoristico per presentarlo alla Bbc. La sua idea era creare una sci-fi comedy di ampio respiro, con l’obiettivo di divulgare la fantascienza con un linguaggio semplice, strampalato e incisivo. Adams non immaginava che in pochi anni sarebbe diventato uno degli scrittori più influenti della seconda metà del Novecento. L’emittente londinese accettò la scommessa e l’8 marzo del 1978, alle ore 22.30, su Bbc Radio 4 venne trasmessa la prima delle sei puntate di The Hitchhicker’s Guide to the Galaxy.
Lo spunto per il titolo arrivò da una guida turistica dello scrittore australiano Ken Welsh del 1972, denominata Hitch-hiker’s Guide to Europe. Come riconosciuto dallo stesso Douglas Adams in una lettera di ringraziamento inviata all’autore nel 1981, l’idea per la Guida galattica per autostoppisti prese corpo nel 1971 a Innsbruck. Una notte, in preda a una profonda crisi depressiva, uscì a osservare le stelle, portando con sé la guida di Welsh. Dopo averne sfogliato qualche pagina, sentì la necessità di doverne scrivere una simile, rivolgendosi non agli autostoppisti intenti a viaggiare in Europa, ma a quelli desiderosi di conoscere l’intero universo. Un altro motivo della scelta del titolo fu la volontà di parodiare uno degli espedienti narrativi tipici della fantascienza tradizionale, ossia l’utilizzo delle cosiddette “enciclopedie galattiche”, che si diffusero dopo la pubblicazione del Ciclo della fondazione di Isaac Asimov. Si tratta tomi che raccolgono informazioni sugli usi e costumi di civiltà extraterrestri, come L’enciclopedia finale di Gordon Rupert Dickson o l’italiano Codex Seraphinianus, realizzato dall’architetto Luigi Serafini nel 1976 e diventato un vero oggetto di culto per gli appassionati.
Inizialmente Douglas fu piuttosto scettico sulla sua creatura: temeva che la fascia oraria da seconda serata riservata al programma potesse danneggiare gli ascolti, ma il passaparola di una frangia sempre più grande di appassionati, regalò allo show il successo in termini di pubblico e critica. Il boom di ascolti della serie fu tale che la Bbc, appena due settimane dopo la messa in onda dell’ultimo episodio, fu costretta a riproporla integralmente in replica.
Il passo successivo fu la trasposizione su carta delle prime quattro puntate dello show. Fu così che nel 1979, nacque Guida galattica per gli autostoppisti, primo atto di una saga che sarà definita come “una trilogia in cinque parti” (a questo primo libro seguiranno, infatti, quattro sequel: Ristorante al termine dell’Universo; La vita, l’universo e tutto quanto; Addio, e grazie per tutto il pesce; Praticamente innocuo).
La saga ruota intorno ad Arthur Dent, uno speaker radiofonico trentenne che, un giovedì come tanti, nota alcune ruspe che vogliono abbattere casa sua per fare posto a una tangenziale. Le ruspe, in realtà, sono le navicelle dei Vogon, “una delle razze più sgradevoli della galassia”, determinati a distruggere la Terra per fare spazio a un’autostrada spaziale. Arthur viene portato in salvo dal suo amico Ford Prefect che, dopo un paio di pinte di birra, rivela di essere un alieno proveniente da Betelgeuse per poi trascinarlo con sé in un lungo viaggio intergalattico. Lanciato improvvisamente in orbita, Arthur è costretto ad affidarsi all’unico strumento in grado di aiutarlo: la Guida galattica per autostoppisti, un best seller universale capace addirittura di “soppiantare la grande Enciclopedia galattica come l’indiscussa depositaria di tutta la conoscenza e la saggezza, per due importanti ragioni. Primo, costa un po’ meno; secondo, reca la scritta ‘DON’T PANIC’, niente panico, in grandi e rassicuranti caratteri sulla copertina”. Con uno stile ironico e irriverente, chiaramente influenzato dai Monty Python (per i quali aveva scritto alcune sceneggiature), Douglas Adams è riuscito nell’intento di proiettare la fantascienza, fino a pochi anni prima considerata come un genere di nicchia, nella cultura di massa.
Spesso relegata nel perimetro della cosiddetta “cultura nerd”, la saga di Douglas Adams rappresenta in realtà la lettura ideale per chiunque sia in grado di provare empatia verso ciò che lo circonda. In un mondo sempre più diviso e intollerante, le questioni etiche sollevate dalla Guida galattica per autostoppisti sono più che mai attuali: temi come la tutela di tutte le diversità, il rispetto per l’ambiente e per la vita, l’eguaglianza sostanziale e l’emarginazione sociale vengono trattati con un tono essenziale, inconsueto e dissacrante.
L’intera opera è ricca di riferimenti filosofici e di critiche, non troppo velate, ad alcune contraddizioni tipiche della società contemporanea. Ad esempio, nel capitolo di apertura del saggio Philosophy and The Hitckhiker’s Guide to the Galaxy, Ben Saunders e Eloise Harding fanno riferimento al secondo romanzo della saga Ristorante al termine dell’universo per sottolineare come Adams abbia anticipato alcuni temi del veganesimo contemporaneo, trattando il tema del rispetto per la vita degli animali. Il protagonista della saga, trovandosi di fronte a una mucca che lo invita a mangiarla, viene assalito per la prima volta dal dubbio morale sull’opportunità di cibarsi della sua carne o meno. La critica alla deriva materialistica della società occidentale viene poi riassunta in poche frasi nell’incipit del romanzo, dove viene descritto il paradosso di un’umanità convinta di poter trovare rimedio alla propria infelicità attraverso “lo scambio continuo di pezzetti di carta verde, un fatto indubbiamente strano, visto che a essere infelici non erano i pezzetti di carta verde, ma gli abitanti del pianeta”.
Tra i riferimenti filosofici presenti in The Hitch-hicker’s Guide to the Galaxy è centrale quello di “monade” del filosofo tedesco Gottfried Wilhelm von Leibniz. Secondo Leibniz, la monade è una sostanza semplice e indivisibile, priva di parti e, di conseguenza, sprovvista di estensione. Una monade è impossibile da disgregare, è diversa da ogni altra e rappresenta l’universo sotto un punto di vista particolare. Lo stesso Arthur Dent, protagonista della Guida Galattica, può essere descritto come una monade che contiene dentro di sé l’intero universo e che ne scopre progressivamente l’essenza con la sua esperienza da autostoppista galattico.
Douglas Adams mostra anche un chiaro debito intellettuale nei confronti di Thomas Pynchon, di cui riprende un’idea esposta nel romanzo L’incanto del lotto 49 (il Complotto dei delfini), dove lo scrittore postmodernista descrive un ragazzo convinto dell’esistenza di un complotto per sostituire l’umanità con i delfini. Nell’universo narrativo della Guida, questi mammiferi marini sono gli unici a essere a conoscenza della volontà dei Vogon di distruggere la Terra, e vengono descritti come una specie intellettualmente superiore all’essere umano, la seconda più intelligente del Pianeta.
L’autore britannico affronta a modo suo anche la più classica delle questioni filosofiche: il senso della vita. In Guida galattica per autostoppisti Douglas Adams riassume i tre massimi quesiti esistenziali (Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?), unendoli nel concetto portante dell’intera opera, ossia il tentativo di trovare la Risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto. La soluzione del dilemma viene affidata a Pensiero Profondo, il “secondo più grande computer dell’Universo, del Tempo e dello Spazio”, progettato e creato ad hoc da una civiltà avanzatissima di esseri superiori e pandimensionali. Dopo sette milioni di anni e mezzo di elaborazione, Pensiero Profondo fornisce finalmente il responso: 42.
Sui significati dietro a questo numero, sono state formulate le ipotesi più diverse. Lo scrittore e fumettista Neil Gaiman, autore di American Gods e Sandman, ha addirittura dedicato un intero saggio alla questione. Per fortuna, lo stesso Douglas Adams ha chiarito il concetto nel 1993: “La risposta è molto semplice. Era uno scherzo. Doveva essere un numero, un normale, piccolo numero, e io scelsi quello. Rappresentazioni binarie, calcoli in base tredici, monaci tibetani sono solo una completa sciocchezza. Ero seduto alla scrivania, fissai il giardino e pensai ‘42 funzionerà’. Lo scrissi a macchina. Fine della storia.” La risposta è priva di significato come, probabilmente, lo è la domanda. La volontà di Adams, resa esplicita lungo la narrazione, è proprio quella di giocare sull’impossibilità di trovare un significato alla realtà che ci circonda e di invitare il lettore ad accettare il fatto che non è possibile definire qualcosa di indefinibile.
Non serve incontrare un capodoglio che sfreccia nell’atmosfera, come accade nelle prime pagine del romanzo, per rimanere colpiti dall’assurdità dell’esistenza: scervellarsi nel tentativo di fornire una definizione del meaning of life è un esercizio che porta spesso a delle vere e proprie crisi di nervi per la difficoltà di accettare la propria insignificanza nei confronti dell’universo. Tanto vale, allora, tranquillizzarsi, procurarsi un asciugamano (“l’oggetto più utile che l’autostoppista galattico possa avere”) e seguire lo slogan riportato sulla copertina della Guida: “DON’T PANIC”.
A distanza di quarant’anni, la guida turistica intergalattica di Adams continua ad appassionare lettori di ogni età ed estrazione, rappresentando non soltanto una lettura di culto anche tra chi non è appassionato di fantascienza, ma un caposaldo della letteratura contemporanea. Considerata come il manifesto della controcultura del Ventesimo secolo, la saga è stata in grado di superare la prova del tempo e di sopravvivere a tre generazioni di lettori, imponendosi come una vera e propria istituzione della cultura pop. A Hitchhiker’s Guide to the Galaxy era ed è una lettura avveniristica, in grado di anticipare tematiche attuali ancora oggi, oltre che un buon antidoto all’antropocentrismo della nostra epoca.