Icona pop da un lato, pensatore tanto prolifico quanto sconosciuto (ma solo in Italia) dall’altro: questo è per il pubblico, in estrema sintesi, Antonio Gramsci. Chiunque è in grado di riconoscere la sua immagine, con gli occhiali tondi e la capigliatura increspata, e si sarà imbattuto almeno una volta nelle sue massime “odio gli indifferenti” o “istruitevi, agitatevi, organizzatevi”. Gramsci fu però molto più di questo: uomo politico capace e lungimirante, contribuì a fondare il Partito Comunista d’Italia nel 1921, diventando anche un esponente di rilievo della delegazione italiana al Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista tra il 1922 e il 1923, e seppe rinnovare in modo radicale il pensiero marxista per fornire una lettura lucida e concreta della società del suo tempo.
La grandezza del pensiero di Gramsci sta nel fatto che aiuta a capire non solo il contesto storico e politico in cui è vissuto, ma anche quello attuale. Per spiegare l’ascesa nei consensi di Matteo Salvini è utile recuperare le idee di Gramsci di egemonia e di rivoluzione passiva. Rileggere le opere del politico sardo e attualizzarle è fondamentale per impedire all’estrema destra di appropriarsi del suo pensiero e per contrastare il dominio sull’opinione pubblica dell’ideologia di Salvini.
Il tema centrale nei Quaderni del carcere è quello dell’egemonia, ossia del perché le classi dominanti sono tali e della possibilità di portare al comando quelle subalterne. Quest’ultime condividono un’ideologia che non appartiene loro e che corrisponde agli interessi di chi controlla il potere. “La supremazia di una classe sociale”, scrive Gramsci “si manifesta in due modi: come ‘dominio’ e come ‘direzione intellettuale e morale’”. Mentre il dominio indica gli strumenti coercitivi, come il potere esecutivo e gli organi di polizia, la direzione intellettuale e morale si esercita con strumenti come la scuola, la religione e i mezzi di comunicazione di massa per influenzare la visione del mondo delle masse popolari. Gramsci intende per “direzione intellettuale” lo stabilire cosa è vero e cosa è falso, e per “direzione morale” definire cosa è giusto e cosa sbagliato.
L’uso quotidiano da parte di Salvini dei social network come strumento di costante propaganda, rinforzato dall’azione repressiva della polizia nei confronti dei contestatori da quando si trova al ministero dell’Interno, è un buon esempio di direzione intellettuale e morale. Il leader della Lega è oggi l’alfiere dell’egemonia delle classi dominanti, forte di una narrativa che non corrisponde ai bisogni reali delle classi popolari, ma che crea bisogni e paure fittizi, alimentando la guerra tra gli ultimi e sentimenti di intolleranza e xenofobia. È chiaro che la condizione degli italiani non migliorerà con misure come i “porti chiusi” o la flat tax, che hanno come unico scopo quello di legittimare e rafforzare la visione reazionaria secondo cui gli immigrati rubano il lavoro e la riduzione delle tasse per i ricchi porterebbe a più investimenti e meno disoccupazione. Nonostante questo, i risultati elettorali delle europee sembrano dire il contrario.
Come spiega Gramsci, se le classi subalterne abbracciano una visione del mondo che non nasce dalle loro esigenze (come nel caso del salvinismo) il loro agire non può essere coerente, perché contraddice i loro stessi bisogni. È necessario sviluppare una visione alternativa del mondo e della società, con una nuova egemonia delle classi subordinate che critichi il senso comune per trasformarlo in buonsenso. Per Gramsci, infatti, “il senso comune è portato a credere che ciò che oggi esiste sia sempre esistito”, caratterizzandosi come conservatore e tradizionalista e legittimando di fatto l’egemonia delle classi dominanti. Il buonsenso ha invece un significato positivo nel momento in cui si oppone al senso comune, rispondendo alle esigenze reali delle classi popolari. Non è un caso che Salvini abbia scelto per le recenti elezioni lo slogan “rivoluzione del buonsenso”, presentando come naturale il costrutto ideologico oppressivo e conservatore dei potenti e rinforzando la percezione distorta del senso comune.
Nella sua essenza, il salvinismo è un esempio calzante di quella che Gramsci ha definito “rivoluzione passiva”, intesa come “interpretazione dell’età del Risorgimento e di ogni epoca complessa di rivolgimenti storici”. In sostanza, si tratta di un lento processo in cui si verificano cambiamenti economici, politici e sociali senza il coinvolgimento delle masse: una rivoluzione passiva avviene quando una classe subalterna lotta per imporre la sua visione del mondo senza però essere in grado di realizzarla direttamente. Questi ideali vengono in parte recuperati dalle classi dominanti, che li mettono in pratica senza intaccare l’ordine sociale prestabilito, mantenendo le classi subalterne in una condizione di passività e sottomissione. Il salvinismo cerca una massa che sia spettatrice e non protagonista della politica, un insieme anonimo di followers e non un gruppo di attivisti, indignato contro le élite ma pronto a delegare la scelta al ministro dell’Interno.
Salvini è quello che Gramsci definisce un “demagogo deteriore”, che sfrutta ed eccita le folle per il proprio tornaconto personale. Ponendosi come il leader forte e carismatico dalla grande capacità oratoria, instaura un rapporto diretto e viscerale con i suoi sostenitori, con il solo scopo di conservare il potere e lo status quo. Durante i suoi interventi non stimola una riflessione critica, ma la evita perché sa che lo danneggerebbe. Il risultato sul lungo periodo non può che essere un regime plebiscitario, in cui la massa acclama il tiranno che la opprime. Per questo a Salvini piace presentarsi ed essere presentato come un ministro che sta in mezzo alla gente comune e che ha azzerato le distanze tra la piazza e il Palazzo. Baciando i rosari e invocando la benedizione dei santi Salvini si immedesima con i simboli religiosi dell’immaginario collettivo e rafforza la sua immagine di uomo del popolo, ingannandolo con una semplicità e genuinità costruita a tavolino.
Oggi più che mai è fondamentale recuperare il pensiero di Gramsci. Le attuali classi subalterne, ossia i lavoratori, i precari, gli studenti, le donne, i migranti e i membri della comunità LGBTQ+ devono sviluppare e proporre una propria egemonia, autonoma e alternativa a quella di Salvini. Per Gramsci una classe diventa dirigente quando sa indicare la soluzione concreta dei problemi e una diversa visione del mondo già prima di conquistare il potere. È esattamente su questo punto che la sinistra sta perdendo lo scontro politico con la destra. In questo confronto servono intellettuali veri in grado di indicare una direzione ai cittadini, dirigenti capaci ed educatori che sappiano guidare un processo in grado di invertire questa tendenza.
Un primo passo in tal senso potrebbe essere quello di liberare il dibattito politico dalle parole d’ordine della destra di Salvini. Se infatti si critica il ministro dell’Interno perché i rimpatri effettuati sono minori rispetto a quelli promessi in campagna elettorale, si continua a legittimare la sua visione per cui l’immigrazione è un male. Bisogna invece rifiutare in blocco il salvinismo, a partire dal suo linguaggio aggressivo e qualunquista, senza stigmatizzare l’ignoranza di chi in Salvini ha riposto la sua fiducia. Leggere Gramsci può farci capire in modo chiaro che Salvini non rappresenta il popolo. Perciò solo il popolo potrà liberarsi di lui e della sua falsa retorica.