Quando De Michelis e i socialisti ballavano sulle macerie d’Italia
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La sera del 26 febbraio 1993, in piazza San Marco a Venezia, sotto il portico del Florian camminano gli avvocati Giovanni Maria Flick, Gaetano Pecorella e, in mezzo a loro, Gianni De Michelis, stretto in un impermeabile bianco. “Guarda il delinquente!,” grida qualcuno di fianco a loro. I tre uomini non si girano e aumentano l’andatura, ma le grida si moltiplicano; bandito, buffone, venduto, onto – sporco, in dialetto – e si fanno più aggressive. De Michelis si stacca dagli avvocati e affretta il passo verso calle della Canonica, inseguito dagli insulti. Oltrepassa il ponte e corre, solo, lungo le fondamenta di Sant’Apollonia, mentre le grida sfumano dietro di lui, che fino a pochi giorni prima era uno degli uomini più importanti di Venezia, tanto da meritarsi l’appellativo di “Doge”.

Gianni De Michelis nasce da una famiglia benestante nel 1940 e si impegna in politica fin da giovanissimo: dopo essersi laureato in chimica all’Università di Padova nel 1963, nel 1964 è già assessore all’urbanistica del comune di Venezia. Ha un’intelligenza brillante, legge molto, parla bene e adora divertirsi, anche se le occasioni di farlo sono poche. Sono gli anni di piombo e gli omicidi e gli attentati creano in Italia un clima da catastrofe imminente per cui tutti tengono un profilo basso. Alle feste si parla di politica, mentre chi va a ballare o vuole divertirsi è bollato come disimpegnato, tanto che a Milano sui muri appare lo slogan: “Discoteca ritrovo di balordi, la rabbia proletaria la chiuderà”. Gianni la pensa diversamente: per lui, la vita è colorata, piena di belle donne, musica, balli e tutto il lusso possibile. Si dedica a tempo pieno alla politica, scala i vertici del Psi come membro della corrente di sinistra Alternativa socialista, guidata da Riccardo Lombardi, e nel 1976 diventa deputato alla Camera. A una riunione del Psi conosce un giovanissimo Bettino Craxi e abbraccia la sua visione di una sinistra nuova, libera da quell’ideologia che ha portato alla deriva brigatista. Bettino propone con carisma un’idea del futuro grandiosa e visionaria. Gianni appoggia la candidatura di Craxi alla segreteria del Psi, anche quando la sua corrente d’origine lo abbandona. Appena Craxi diventa segretario, lo nomina membro della direzione nazionale. De Michelis dirà poi che “Se Craxi era Garibaldi, io ero il suo Cavour”.

Bettino Craxi trasforma ogni congresso del Psi in uno spettacolo di magnificenza e opulenza mai visto prima nella politica italiana. L’Italia si scrolla di dosso l’austerità degli anni Settanta riscoprendo la passione per gioia, sesso, abiti, denaro e divertimento. Sono gli anni d’oro delle discoteche, dove vanno per la maggiore i cocktail frozen come l’Angelo azzurro o il Laguna blu, quello tenuto in mano da Sabrina Salerno nel videoclip Boys boys boys. Tutto è colorato ed esagerato, tutto deve parlare di ricchezza, ambizione, carriera e futuro: le spalle dei vestiti vengono allargate da imbottiture, cappotti e abiti sono oversize per comunicare abbondanza di tessuti, le pubblicità motteggiano: “Il fine settimana di Tokyo o di Los Angeles lo conoscete già”. A Venezia inizia il turismo di massa, mentre l’amministrazione è in mano a una diarchia: Gianni De Michelis con il Psi, e Giorgio Bernini con la Dc. Ma è una finzione: mentre nei vari consigli regionali e provinciali De Michelis e Bernini si danno battaglia, nei ristoranti si spartiscono tangenti miliardarie. Per gestire il sistema degli appalti, Dc e Psi creano il consorzio Venezia Nuova di De Michelis e Venezia Disinquinamento di Bernini. Praticamente si danno gli appalti da soli e per non scontentare nessuno destinano gli appalti minori alle cooperative rosse di Pci e Pds.

Per Venezia e i veneziani sono anni disastrosi. Si pagano tangenti per traversine ferroviarie, per i depuratori di Fusina e Marghera, per la «vasca» di Chioggia, per la Transpolesana, per la bretella tra Mestre e l’aeroporto Marco Polo e per la terza corsia dell’autostrada Venezia Padova. È un sistema per cui gli appalti vengono affidati prima ancora di essere emessi, come nel caso dei mondiali di Italia Novanta, quando, con la scusa dell’urgenza, i bandi vengono assegnati per trattativa privata. De Michelis sceglie uomini fidati come Giorgio Casadei, il suo braccio destro, e Nadia Bolgan, sua addetta stampa. Quando nel 1988 pubblica il suo libro Dove andiamo a ballare stasera?, lo presenta a luglio nella discoteca Bandiera gialla a Rimini, dove balla fino all’alba, per poi prendere l’aereo per Roma e arrivare puntuale al Consiglio dei Ministri nella veste di vicepresidente del Consiglio. La sua festa da duemila invitati alla stazione marittima di Venezia diventa subito un mito, così come quella a Roma quando per il suo compleanno affitta l’intero ippodromo di Tor di Valle. Il mensile Capital inserisce una sua festa nella top ten delle più belle del mondo.

In quegli anni De Michelis abita in un appartamento dal valore di un miliardo e mezzo di lire a San Samuele, con vista sul Canal Grande. A Roma invece dorme e riceve le sue amanti al Plaza, con una suite personale che gli costa 370mila lire al giorno solo di extra. Quando il Plaza nel 1993 gli manda il conto degli ultimi tre anni ammonta a 490 milioni di lire. In un’intervista, alla domanda “Onorevole, è meglio comandare o fottere?,” lui risponde con un sogghigno: “Non credo che una cosa escluda l’altra”.

It’s no better to be safe than sorry”, cantano gli A-ha nel 1989, mentre iI muro di Berlino crolla insieme all’equilibrio che ha regolato il mondo dal 1945. L’artista Filippo Panseca, che cura l’estetica dei congressi del Psi, ne costruisce una replica di 20 metri di lunghezza che fa da cornice alla Conferenza programmatica nazionale del partito del 1993. “Di De Michelis mi ricordo una storia divertente. Ai nostri congressi venivano leader mondiali, perciò avevamo degli interpreti. De Michelis era il loro incubo, perché parlava velocissimo. Si faceva fatica a capire in italiano, figurati tradurlo in simultanea. Mi ricordo al congresso di Rimini di avere proprio visto l’interprete alzare le mani, e i leader che si toglievano le cuffie. Allora dopo io gli chiesi di parlare più piano, e lui mi disse che invece a lui sembrava di parlare lento, rispetto ai pensieri che gli si accavallavano in testa”, ci racconta Panseca.

De Michelis fuori dalla pista da ballo è un uomo che sa parlare e organizzare: come ministro degli Affari Esteri ha una profonda conoscenza della geopolitica e contatti con i leader di tutto il mondo che arrivano ai congressi del Psi per intervenire o ascoltare. È un debosciato, dicono i democristiani. È un viveur, dicono i giornali. Nel 1990, per il suo cinquantesimo compleanno, vuole addirittura organizzare i festeggiamenti nel Castello di Dobris, vicino a Praga, con centinaia di invitati, ma l’idea salta. Cena nei ristoranti più prestigiosi d’Italia e a Roma balla al Tartarughino e al Jackie O. C’è tempo per cambiare atteggiamento politico. C’è tempo per ricalcolare l’intera politica nazionale sui nuovi equilibri mondiali. C’è sempre un’altra canzone da ballare o un’altra donna da sedurre. Ancora il giorno dopo la fine della prima guerra del Golfo, De Michelis parla in fretta, padrone di se stesso e carico di autorità. Poi finisce tutto.

Il 17 febbraio 1992 l’inizio di Tangentopoli spazza via decenni di privilegi, denaro, feste. Uno dopo l’altro i politici della prima Repubblica crollano sotto le domande di Antonio Di Pietro e degli altri magistrati del pool di cui fa parte. Quando De Michelis festeggia il suo 52esimo compleanno lo fa a Roma tra pochi intimi, evitando il Tartarughino o il Jackie O per andare a cena nel sotterraneo del Raphael in compagnia di Craxi, in un clima molto simile agli ultimi giorni della Repubblica tedesca di Weimar. Il 29 gennaio 1993 riceve il primo avviso di garanzia e poco dopo viene interrogato da Di Pietro in tribunale dove balbetta imbarazzato. L’inchiesta seguita dal procuratore Carlo Nordio parte dalla scoperta del suo conto “Scopa” in Svizzera, su cui affluiscono tangenti da una quindicina di aziende. De Michelis non si fa più vedere nei locali perché se prima la frase “c’è Gianni De Michelis” faceva arrivare i clienti ora è una cattiva pubblicità, tanto che molti ristoratori gli negano l’ingresso. Quando entra al ristorante Bolognese di Roma per pranzare, la gente nei tavoli vicini si alza e se ne va, spiegando al maître che “noi vicino a lui non mangiamo”.

De Michelis crede di potersi rialzare, dicendo che il suo incidente giudiziario è come la frattura di un atleta, che lo fermerà solo per qualche tempo. Con gli anni Novanta, De Michelis svanisce nella nebbia assieme a quella classe politica competente, preparata, capace, e avida. Ma come diceva Andreotti, la politica è quella strana macchina da cui una volta salito, non scendi più. Nel 2001, insieme al figlio di Bettino Craxi, Gianni De Michelis rifonda il Psi unendosi alla Casa delle Libertà guidata da Berlusconi. Tiene la carica di segretario per sei anni, poi nel 2004 viene eletto deputato al Parlamento europeo con 34mila preferenze. Lui stesso racconta di come il clima sia cambiato: una volta per strada gli davano del ladro mentre dopo dieci anni gli chiedono “Perché non tornate?”. Nel 2009 diventa consulente del fedelissimo berlusconiano Renato Brunetta, ma nonostante alcuni interventi davanti ai microfoni dei giornalisti De Michelis è ormai lontano dai fasti e dall’alone di potere che lo circondavano negli anni Ottanta.

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