Gesù Cristo era socialista - THE VISION
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La figura di Gesù di Nazareth è tra le più studiate, discusse e approfondite della storia dell’umanità. Per i cristiani è il Figlio di Dio, il Cristo sceso in Terra; per gli islamici uno dei principali profeti che hanno preceduto Maometto; per gli ebrei un predicatore privo di un ruolo messianico; per gli storici laici un uomo buono e giusto, la cui esistenza è confermata da molteplici testimonianze. Anche escludendo i Vangeli canonici di Matteo, Marco, Luca e Giovanni e quelli apocrifi, restano delle fonti storiche non cristiane che riportano esplicite tracce di Gesù: dagli Annales di Cornelio Tacito alla corrispondenza tra Plinio il Giovane e Traiano, dalle opere di Giuseppe Flavio a quelle di Svetonio. Essendo esistito, è naturale portare avanti un’analisi sull’impatto che ha avuto nella sua epoca e presso i suoi contemporanei, non tralasciando l’aspetto politico rispetto a quello religioso.

L’emiliano Camillo Prampolini, uno dei padri del socialismo italiano, portò avanti a cavallo tra Otto e Novecento diverse campagne anticlericali, accusando la Chiesa cattolica di essere andata contro gli insegnamenti di Gesù Cristo. Fece scalpore un articolo, pubblicato sul settimanale La Giustizia nel 1888, dal titolo Gesù Cristo rivoluzionario e socialista. Prampolini scosse l’opinione pubblica scrivendo: “Sì, Gesù fu socialista. Egli proclamò che gli uomini sono tutti uguali; non ammetteva la proprietà privata né la conseguente divisione dei cittadini in padroni e servi, ricchi e poveri, gaudenti e affamati, e predicava invece la comunione dei beni”. In un successivo opuscolo pubblicato nel 1897 – cinque anni dopo la fondazione del Partito socialista italiano – dal titolo Predica del Natale, Prampolini affermò che “Noi socialisti siamo oggi i soli e veri continuatori della grande rivoluzione sociale iniziata da Cristo”. Leggendo i Vangeli, si nota come quella di Prampolini non fosse soltanto una provocazione o uno slancio propagandistico, ma una riflessione proseguita nel secolo successivo da diversi filosofi, teologi, politologi e poeti, supportata da un pensiero con solide basi nella realtà.

L’universo socialista è infatti estremamente variegato, con sfaccettature che trascendono la politica per toccare temi sociali di più ampio respiro. Basti pensare che Gorbaciov, ateo convinto, con la dissoluzione dell’Unione sovietica abolì anche l’ateismo di Stato e nel 1992 dichiarò che “Il primo socialista della Storia, il primo a cercare una vita migliore per tutti, è stato Gesù Cristo”.

Mikhail Gorbachev

La visione di “vita migliore” nel Nuovo Testamento si fonda su un concetto di uguaglianza non soltanto spirituale, ma anche materiale. Nel famoso episodio del “giovane ricco”, viene chiesto a Gesù il modo per ottenere la vita eterna e lui risponde: “Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo”. Rivolgendosi poi ai suoi discepoli, dice: “In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”. La redistribuzione della ricchezza è uno dei cardini del socialismo, e passaggi analoghi si trovano negli Atti degli Apostoli, quando per esempio Luca scrive: “Nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune”.

Certamente non va a presa alla lettera la comparazione tra cristianesimo e socialismo, anche per le diverse correnti che negli anni hanno caratterizzato entrambe le parti. Lo stesso socialismo ha un prima e un dopo 1848, e quindi un pre e post Marx ed Engels. Allo stesso tempo, considerare Gesù un socialista non vuole dire inquadrarlo in una fazione netta, riferita a terminologie nate soltanto nel Diciannovesimo secolo, ma collocarlo in antitesi con ideologie o politiche che il socialismo ha sempre combattuto. Per esempio Gesù era di quanto più lontano possibile dai precetti dell’odierno capitalismo, e per proprietà transitiva anche da una Chiesa che per lunghe fasi della sua storia millenaria ha travisato il messaggio originario di Cristo.

George Bernard Shaw, premio Nobel per la letteratura nel 1925, nel libro Sia fatta la sua volontà ha valutato il pensiero di Gesù dal punto di vista strettamente politico, descrivendolo come l’iniziatore del socialismo e rivolgendo una critica feroce al capitalismo. Il suo Cristo non è un messia, ma un uomo che ha lasciato un’eredità politica ben definita, basata sull’uguaglianza tra tutti gli uomini. Qualcuno potrebbe dire che quelli di Gesù siano messaggi comuni a molte religioni,  soprattutto quelle orientali. Ma se queste consigliano ai loro seguaci di cercare un equilibrio da raggiungere lasciando alle spalle il maggior numero di pulsioni terrene, compresi i beni materiali, Gesù dice esplicitamente di donare le proprie ricchezze, non di eliminarle. Viene contrastata la pratica dell’accumulazione dei beni, non il concetto in sé. Non a caso, come è scritto nel Vangelo di Giovanni, “Se uno ha ricchezze in questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli chiude il proprio cuore, come dimorerà in lui l’amore di Dio?”. Non è una forma di ascetismo, ma un monito concreto che promuove la redistribuzione della ricchezza e la salvaguardia degli ultimi.

Non è un caso se alcuni dei migliori ritratti di Gesù nel Novecento italiano sono arrivati da due personalità dichiaratamente atee, un anarchico e un comunista: Fabrizio De Andrè e Pier Paolo Pasolini. Il cantautore genovese pubblicò nel 1970 il disco La buona novella, con la sua interpretazione della figura di Gesù attraverso la rilettura dei Vangeli apocrifi. “Non ho il dono della fede, ma nella mia vita non posso prescindere da Cristo”, dichiarò De Andrè, che si concentrò sulla figura terrena di Gesù, sull’uomo e sulla sua potenza rivoluzionaria. “Ho scritto La buona novella nel 1968, ho voluto dire ai miei coetanei: guardate che le nostre stesse lotte sono già state sostenute da un grande rivoluzionario, il più grande rivoluzionario della Storia. Molti ritennero il mio disco anacronistico perché parlavo di Gesù Cristo nel pieno della rivolta studentesca, ma tutti coloro che pretendono di fare rivoluzioni devono guardare all’insegnamento di Cristo, lui ha combattuto per una libertà integrale, piena di perdono”.

Nel caso di Pasolini la descrizione di Gesù è ancora più controversa. Intanto perché il film in questione, Il vangelo secondo Matteo, arrivò un anno dopo il lungometraggio corale Ro.Go.Pa.G. del 1963, che conteneva l’episodio La ricotta, per cui Pasolini fu condannato per vilipendio della religione a causa di alcune scene considerate blasfeme. Il mondo clericale temeva dunque l’uscita di un film sulla vita di Gesù, per giunta interpretato dal catalano Enrique Irazoqui, sindacalista allora diciannovenne oppositore del regime di Francisco Franco. L’opera si rivelò invece fedele al testo originale, ma con la forza evocativa senza abbellimenti tipica di Pasolini, che conferiva ai volti e ai luoghi un’umanità terrena e viscerale. Il Cristo di Pasolini è dunque un rivoluzionario, un demagogo nell’accezione positiva di una figura in grado di nutrire il popolo di idee e concetti. La Chiesa lo accolse tiepidamente, ma 50 anni dopo l’uscita lo riabilitò attraverso il quotidiano L’osservatore romano, definendolo addirittura “Il miglior film su Gesù mai girato”.

A prescindere dal proprio credo religioso o politico, la figura di Gesù merita un’analisi che vada oltre i limiti tracciati dai dogmi e dalla liturgia. Il suo messaggio non può che essere il preludio di una rivoluzione, che ha molti aspetti in comune con quella immaginata dal pensiero socialista. Questo non significa tracciare un parallelismo con la dittatura del proletariato o con simboli ed evoluzioni propri del comunismo, ma rispecchia un sentimento universale di uguaglianza e fratellanza. Non è un’appropriazione forzata di un pensiero, ma un sillogismo che scorpora una figura dal contesto religioso per donarle un carattere ancora più universale, nella speranza che quanto professava più di duemila anni fa possa presto realizzarsi in un cambiamento radicale dell’intera società.

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