Nel 2017 sul magazine The New Yorker fu pubblicato un articolo di Jill Lepore, professoressa di storia americana dell’Università di Harvard, intitolato Un’età d’oro per la narrativa distopica. La professoressa spiegava che i romanzi distopici nacquero in contrapposizione alla narrativa utopica: “Un’utopia è un paradiso, una distopia un paradiso perduto”, ha scritto Lepore per poi evidenziare quanto gli attuali scenari politici mondiali abbiano favorito la rinascita di questo genere, sia con la scrittura di nuovi romanzi, film e serie tv, che con la riscoperta dei grandi classici. Un dato esemplificativo: nel primo mese dell’amministrazione di Donald Trump, durante il quale il suo staff faceva continuo riferimento ai “fatti alternativi”, il romanzo cult di George Orwell, 1984, registrò unrecord di vendite su Amazon.
È difficile non cogliere l’attualità delle opere di George Orwell, pseudonimo di Eric Arthur Blair, e delle sue riflessioni su temi come la corruzione, il tradimento e più in generale gli orrori che può generare una società capitalista e individualista come quella in cui viviamo. L’odierno scenario della politica e della società civile, italiana e di altre democrazie occidentali, può trovare sufficienti corrispondenze, e trarre insegnamenti, in quanto raccontato da Orwell nel romanzo breve La fattoria degli animali del 1945.
La genesi di questo racconto allegorico deve molto al vissuto personale dello scrittore britannico. Orwell, nato in India nel 1903, era figlio di un funzionario coloniale e sin da adolescente entrò in contatto con le profonde ingiustizie che l’amministrazione britannica imponeva alle popolazioni indigene, empatizzando con la loro condizione. Tornò in Europa nel 1927, deciso a seguire la sua vocazione di scrittore, scelta che gli fece patire la fame per anni, ma che lo mise in contatto con quella parte della popolazione, povera e senza speranza, che rafforzò le sue idee socialiste e lo convinse a combattere contro le ingiustizie sociali. Nel 1937 Orwell combatteva dalla parte dei repubblicani nella guerra civile spagnola come volontario nelle file del Poum (Partito obrero de unificaciòn marxista), un partito marxista di ispirazione trotzkista della Catalogna. L’esperienza di guerra durò poco meno di un anno: a maggio il Poum venne dichiarato illegale, costringendo lo scrittore a fuggire in Francia. L’esperienza spagnola ispirò il libro Omaggio alla Catalogna, pubblicato nel 1938, dove già si intravedevano le idee di fondo che lo condussero alla stesura de La fattoria degli animali: l’elogio della rivoluzione, l’avversione nei confronti di coloro che si lasciano corrompere dal potere e l’aspra critica al comunismo nella sua derivazione stalinista.
La fattoria degli animali racconta la ribellione di un gruppo di animali stanchi di essere vessati e sfruttati dall’uomo, il terribile signor Jones, per autogovernarsi. Il padre morale della rivolta è il Vecchio Maggiore, il maiale più anziano e saggio della fattoria, che poco prima di morire incita gli altri a insorgere contro la tirannia degli esseri umani: “Tutto il prodotto del nostro lavoro ci viene rubato dall’uomo. […] L’uomo è il solo, vero nemico che abbiamo. Si tolga l’uomo dalla scena e sarà tolta per sempre la causa della fame e della fatica”. Guidati da queste parole, e approfittando delle continue ubriacature del signor Jones , gli animali riescono a liberarsi, cacciando gli umani e diventando padroni della fattoria. Fin da subito, l’operato di tre di loro spicca su quello di tutti gli altri: i maiali Palla di Neve, Napoleon e Clarinetto. I primi due si rivelano essere abili strateghi mentre il terzo, capace di “far vedere bianco per nero”, lavora per influenzare l’opinione degli altri animali coinvolti nella rivoluzione, in un’allegoria non troppo velata alla propaganda dei regimi e al servilismo di alcuni media.
I maiali ritenendosi più intelligenti degli altri animali, si autoproclamano capi: imparano a leggere e a scrivere ed elaborano sette comandamenti, plasmati sui principi della rivoluzione, a cui la comunità deve sottostare. Ben presto, però, il mondo di uguaglianza e libertà dai lavori più umili, in cui avevano tutti riposto fiducia, si rivela un orizzonte irraggiungibile. I suini cambiano le regole continuamente e siccome pochi animali sanno leggere e scrivere, i principi della rivoluzione vengono dimenticati e nessuno ha la forza o la conoscenza necessaria per opporsi a chi è al potere. Nell’epilogo i capi arrivano a riunirsi allo stesso tavolo per cenare e riappacificarsi con l’uomo, di cui ormai hanno assunto i comportamenti e la postura eretta, rendendo impossibile distinguere i maiali dai fattori, un tempo dipinti come nemici. C’è un momento del romanzo, in cui le sette regole che il gruppo di ribelli si era dato per organizzare la vita all’interno della fattoria vengono soppiantate dall’unico motto “Tutti gli animali sono uguali” a cui viene aggiunto “ma alcuni sono più uguali degli altri”. Questa fu la sintesi trovata da Orwell per spiegare i meccanismi che possono corrompere gli ideali rivoluzionari, seppur mossi dalla volontà di creare società più giuste ed egualitarie. Il messaggio, come accade in ogni grande opera che resiste al passare del tempo, ha dunque una portata universale che arriva fino ai giorni nostri.
In Italia abbiamo al governo del Paese un partito nato come antisistema: il Movimento 5 Stelle è nato per combattere la vecchia politica, ma ora che gioca con le sue stesse regole sembra essersi dimenticato le ragioni della sua rivoluzione. Il motto che Orwell fa scrivere sui muri della fattoria ricorda l’originario “Ognuno vale uno” declamato nel 2010 dagli attuali capi del Movimento, primo tra tutti Beppe Grillo, che l’anno della fondazione scriveva “La massa non è più stupida, la massa diventa intelligente, si autogoverna […] Per la prima volta nasce un movimento dove ognuno vale uno, un movimento che non ha bisogno di sovvenzioni e di partiti”. Come nel libro di Orwell, oggi appaiono evidenti le contraddizioni tra i vecchi principi e i provvedimenti presi dal M5S una volta arrivato al governo.
Il M5S sta pagando a livello elettorale le incoerenze tra il suo programma e l’azione legislativa, come dimostra il caso dell’Ilva di Taranto. Il Movimento ha chiesto per anni, anche per bocca dell’attuale vicepremier Luigi Di Maio, la chiusura, la bonifica del territorio e la formazione dei lavoratori per reimpiegarli nel settore della green economy. Con queste promesse alle elezioni politiche il M5S si è guadagnato quasi la metà dei voti della provincia, ma nel settembre 2018, Di Maio, in qualità di ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, ha firmato un accordo con i nuovi proprietari dell’ex Ilva, in base al quale il complesso siderurgico continuerà a lavorare con impianti obsoleti, senza aver disposto nessun piano di bonifica. Evoluzione simile ha avuto anche il dibattito sul progetto della Tap, il gasdotto Trans-Adriatico, ferocemente contestato da quella classe politica che oggi dice di essersi resa conto di non poterlo bloccare. La lista di promesse non mantenute si allunga di giorno in giorno, come l’acquisto dei caccia da combattimento di ultima generazione F-35, considerato una spesa da tagliare con priorità prima di arrivare al governo del Paese e che oggi è stata confermata perché secondo il sottosegretario alla Difesa del M5S, , “Resta ovvio che non possiamo rinunciare a quella che è una grande capacità aerea della nostra aeronautica”.
L’incoerenza del M5S è evidente anche nelle sue linee di condotta, come ad esempio il divieto del doppio mandato. Se Grillo nel 2009 scriveva: “Riduzione a due mandati per i parlamentari, per qualunque carica pubblica e eliminazione di ogni privilegio per i parlamentari”, dieci anni dopo i pentastellati hanno deciso di abolire la regola del doppio mandato. Anche sul tema dell’immunità parlamentare, demonizzata quando si trovava all’opposizione, il M5S ha rivisto la sua posizione al Tribunale dei Ministri di Catania l’autorizzazione a procedere contro il vicepremier e alleato di governo Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona aggravato per il caso della nave Diciotti.
Orwell lascia intendere nel suo romanzo che la rivoluzione è stata tradita anche per due motivi: la maggior parte degli animali non ha conservato la memoria dei vecchi principi e chi l’aveva, come l’asino Benjamin, ha scelto di non tacere. I primi si sono lasciati rabbonire dalle parole di Clarinetto, il maiale servo del potere che distorce la realtà alle ragioni della propaganda. Mentre Benjamin, cinico e disilluso, non ha messo al servizio della comunità la sua istruzione e le sue conoscenze, proprio come quella schiera di intellettuali colpevoli nel corso della storia di non essersi schierati contro le dittature. Oggi più che mai bisogna leggere, fare proprie e riflettere sulle parole che Orwell scrisse nella nota che precedeva La fattoria degli animali: “La libertà intellettuale è una tradizione profondamente radicata, senza la quale è assai dubbio che la nostra tipica cultura occidentale possa esistere. Molti nostri intellettuali si sono visibilmente allontanati da questa tradizione. […] Se libertà vuol dire veramente qualcosa, significa il diritto di dire alla gente quello che la gente non vuol sentir dire”.