Con “Fuori orario” Enrico Ghezzi ha trasformato le notti insonni di un Paese in amore per il cinema - THE VISION

Nel settembre del 1991, esattamente trent’anni fa, Non è la Rai trasmetteva il suo primo episodio, aprendo la pista a quattro stagioni fortunate di intrattenimento adolescenziale talmente accattivante e innovativo da diventare un punto di riferimento non solo per il target prestabilito, ma anche per il resto del Paese, abbagliato dalle luci di uno studio televisivo pieno di adolescenti che ballavano e cantavano senza sosta. Può sembrare un’esagerazione ritenere quella di Ambra Angiolini e del suo demiurgo in cuffia Gianni Boncompagni una piccola rivoluzione culturale che ha ancora il suo impatto sul presente, ma non lo è. Da quel momento in poi, infatti, la televisione italiana ha accolto al suo interno il concetto di normalità, di ragazze acqua e sapone – come erano le protagoniste di Non è la Rai, quintessenza dello stereotipo della “ragazza della porta accanto” – e soprattutto di ascensore sociale: per essere protagonisti della tv non serve più saper fare qualcosa, basta essere se stessi per diventare delle piccole star. Questo modello si continuerà a replicare in mille declinazioni, presenti tutt’oggi, seppur con mezzi di comunicazione diversi e di cui qualcuno già all’epoca aveva intuito la gigantesca portata. Enrico Ghezzi, uno dei personaggi più geniali della storia della nostra tv, aveva infatti ben chiaro non solo il potere che aveva acquisito il mezzo televisivo tra la seconda metà degli anni Ottanta e i primi anni Novanta – non a caso, gli anni della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi – ma anche il potenziale che questo spazio poteva dare anche a qualcosa di molto più profondo e interessante del palinsesto commerciale, qualcosa di unico e audace come il suo storico programma Fuori Orario. Cose (mai) viste.

Enrico Ghezzi in una puntata di Fuori Orario

In un episodio di Non è la Rai, Enrico Ghezzi viene intervistato da Ambra Angiolini mentre tiene in mano una grossa cinepresa attraverso cui documenta quell’incontro molto strano. Ambra, infatti, è una quindicenne che si è ritrovata dal nulla all’essere un idolo delle masse grazie al suo personaggio goffo e stralunato; Ghezzi, di fronte a lei, in quel momento è uno dei rappresentanti – se non il rappresentante per eccellenza – di tutto ciò che sta agli antipodi della televisione Mediaset, in rampa di lancio verso il predominio totale degli ascolti nazionali. Di questa coppia bizzarra, che si ritrova insieme per la prima volta, si potrebbe pensare che quello fuori posto sia il secondo, raffinato cinefilo, intellettuale di estrema sinistra, abituato a confronti ben più complessi ed elitari di quello che ha luogo negli studi del Palatino delle reti Fininvest, mentre l’inquadratura lascia intravedere le sue scarpe consumate, tipico simbolo di sciatteria radical chic. Al contrario, Enrico Ghezzi capisce perfettamente ciò che ha davanti, e si è spinto con grande attenzione nella tana del lupo orchestrata da un altro genio televisivo come Gianni Boncompagni. Dice infatti ad Ambra, che in modo impacciato prova a metterlo in difficoltà con domande suggerite all’orecchio dalla regia, che quel luogo è come un grande musical e che Non è la Rai è “il vuoto” televisivo. Lo dice con fare di ammirazione, non di sfida né con intento denigratorio.

Ghezzi, e così tutto ciò che porta il suo nome in televisione, è infatti un esploratore di mondi sommersi televisivi e cinematografici, universi di immagini e contenuti che hanno luogo esattamente in quei posti apparentemente lontani da tutto ciò che potrebbe essere definito colto, profondo, serio. Non è la Rai, così come tutta la televisione commerciale, iper-colorata e piena di stimoli che portano lo spettatore quasi a un’intossicazione di immagini e suoni, sono il pane quotidiano con cui il volto simbolo della notte di Rai 3 mette in piedi il suo spettacolo di détournement di ispirazione situazionista. Una pratica, quella di Ghezzi, che prende ispirazione dal movimento novecentesco francese – in particolare da Guy Debord e dalla sua Società dello spettacolo – e che ribalta il significato delle immagini di cui si serve la comunicazione di massa – come la pubblicità e i frammenti di programmi televisivi generalisti – rimettendoli insieme, mescolandoli, e attribuendo loro un nuovo senso; in poche parole, tutto ciò che fa Blob.

Marco giusti e Enrico Ghezzi, autori di Blob, 1991

Blob è infatti il contenitore critico e artistico più interessante e sorprendente di meta-televisione che Enrico Ghezzi, insieme ad altri esperti del settore come lui, mette in piedi in parallelo con la crescita sempre più esponenziale dei programmi commerciali e dell’exploit dei contratti pubblicitari in televisioni private. Ma prima ancora di Blob, dentro cui Ghezzi muove il messaggio politico di stravolgimento delle immagini mainstream, è con programmi dedicati al cinema che il critico stravolge il palinsesto televisivo italiano di quel periodo. Proprio grazie a questo intuito combinatorio, fondato tutto sulla commistione di linguaggi altissimi come quelli cinematografici d’essai e quello televisivo, molto più immediato, generalista e popolare, nasce un filone di programmi che, sorprendentemente, resistono ancora dopo trent’anni nella nostra tv, nonostante gli enormi cambiamenti mediatici degli ultimi dieci anni. Sono infatti ormai tre decenni che Fuori orario. Cose (mai) viste – così come lo stesso Blob va in onda nelle ore notturne di Rai 3, dopo aver esordito grazie alla grande rivoluzione di Angelo Guglielmi, storico direttore della rete che diede spazio a programmi tanto innovativi e sperimentali.

“Un contenitore anarchico di immagini” è la definizione che Fuori Orario dà di sé, presentandosi al pubblico partendo proprio da quel principio politico e artistico di rimescolamento di contenuti. Il senso di Fuori Orario era, ed è tutt’ora, quello di portare all’interno di un medium tradizionalmente popolare un contenuto cinematografico che fosse in completa controtendenza rispetto ai tempi, ai temi e agli intenti degli altri canali tv. Una missione che, grazie anche allo spazio di un canale come Rai 3, unico vero baluardo della cultura in televisione, è stata portata a termine diventando uno spazio di culto e di coesione tra gli spettatori del programma. Prima ancora di essere Fuori Orario, il format prendeva il nome di La magnifica ossessione: una maratona di svariate ore fatta di pezzi di cinema d’autore, film mai visti, cortometraggi, interviste a registi – celebre per esempio quella piuttosto goffa e imbarazzata tra Ghezzi e Nanni Moretti. Successivamente, la forma del programma assunse una direzione più definita, dando vita anche ad alcuni elementi ricorsivi ormai diventati iconici, come per esempio gli interventi con audio in fuori sincro di Ghezzi, o gli spezzoni di Cinico Tv, il programma sperimentale e grottesco dei due registi palermitani Ciprì e Maresco.

Totò che visse due volte, Ciprì e Maresco (1998)

Il “contenitore anarchico” diventa così un momento di condivisione che fa da archivio iconografico per la memoria del Paese,che sfrutta le ore notturne per prendere uno spazio molto più lento e quasi nascosto dai confini e dagli obblighi dei palinsesti diurni, un rituale che rimane in piedi anche a distanza di anni tra tante persone che si ritrovano, per esempio, in gruppi Facebook dedicati al programma dove si continua a commentare e trasmettere pezzi del programma. A fare da cornice gli interventi di Enrico Ghezzi, quelli famosi per l’audio fuori-sync, che introduce il tema della lunga puntata notturna utilizzando anche altre immagini, pezzi di vecchi caroselli pubblicitari, scene da cortometraggi di nicchia e materiale che prende direttamente dalle famose teche Rai, un magazzino di repertorio prezioso che, proprio negli ultimi anni, è tornato alla ribalta sulla televisione generalista grazie al successo del programma Techetechetè

Enrico Ghezzi intervista Nanni Moretti in una puntata di Fuori Orario

Fuori orario, in un certo senso, riesce a portare in una dimensione collettiva molto più ampia il concetto di cineforum in cui, grazie all’aiuto di esperti, ci si affida alla programmazione. Ed è interessante notare che, in totale controtendenza con il modo in cui oggi fruiamo del cinema – sempre più impostato sul concetto di catalogo, algoritmo e scelta basata sui propri gusti – Fuori orario rimanga in piedi proprio grazie alla sua natura originaria, quella che si basa non su ciò che vogliamo vedere in quel momento, ma sulla fiducia e sulla curiosità di mondi cinematografici e iconografici ben distanti dal nostro desiderio immediato o dal nostro raggio di conoscenza.

Nel corso delle sue edizioni, Fuori orario ospita critici come Tatti Sanguineti, filosofi, psicanalisti, artisti, musicisti e creativi di vario tipo che, raccolti in questo bizzarro salotto, danno vita a un esperimento culturale che rende possibile un progetto nobile e democratico: rendere la televisione uno spazio non solo di intrattenimento frivolo e commerciale ma anche di approfondimento e analisi, il tutto senza trascurarne gli aspetti più pop e distanti dalla cultura seria del mondo dei cinefili. In una logica televisiva che non si sottomette alla dittatura dello share e della popolarità, Fuori orario ha costruito lentamente e con costanza un pubblico affezionato alla dimensione intima e ricercata della qualità cinematografica, attraverso rassegne che spaziano nel cinema di tutte le provenienze, da Bergman ai documentari di De Seta, dalle retrospettive sul festival di Venezia alla proposta di film cinesi. 

Il settimo sigillo, Ingmar Bergman, (1958)

Così come Blob, che nasce quasi come una costola di Fuori orario, anche questo programma rimane oggi una colonna portante della nostra recente storia culturale, grazie soprattutto al suo atteggiamento – che da molti è stato recepito ingiustamente come snob ed elitario, ma che invece passa attraverso una grande conoscenza di tutte quelle realtà mediatiche che fanno da sostanza principale del mondo della comunicazione di massa. Fuori orario, e in generale la proposta televisiva di Enrico Ghezzi, è l’antidoto – nonché la lente di ingrandimento accessibile a tutti – a tutto ciò che di frenetico e consumistico troviamo in quella che Umberto Eco definiva “neotelevisione”, ossia quella tv che supera il concetto di mezzo di comunicazione pedagogico con cui era nata negli anni Sessanta e diventa un turbinio di immagini spietatamente veloci e affastellate, spesso senza un senso se non quello consumistico e commerciale. Con i suoi appuntamenti notturni, Fuori orario rimane una piccola oasi di lentezza, calma e riflessione, oltre che di esplorazione e apertura al mondo fuori dalla nostra cornice nazionale, in un universo mediatico in cui il flusso costante impedisce sempre più di godere della qualità in favore della quantità.

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