“For My Best Family” amplifica e incarna la forza che spinge a partire, ad andarsene, a esplorare - THE VISION
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Il ritmo non è solo il grado zero della musica, è il grado zero della nostra vita. Il nostro respiro va a ritmo, e con lui il nostro metabolismo, i nostri movimenti, il nostro cuore. Questo ritmo è tutto ciò che abbiamo, anche quando restiamo spogli di tutto. Ciascuno al suo. È uno strumento potente, che raramente sappiamo utilizzare, che spesso, oggi, sommersi di cose e compiti e distrazioni che ci spingono perdiamo del tutto. In inglese questo però non è il “ritmo”, rhythm, lo chiamano “pace”, dal francese antico, “pas” e dal latino “passus”, disteso, allungato, aperto, dispiegato, participio passato di “pandere”, allungare appunto, stretchare. Quindi passo, passo della corsa, del cammino, di un movimento più prolungato che alla fine è la vita, pace, identifica la velocità di quel movimento, il battito base, il basso di fondo su cui eventualmente compiere variazioni (quelle che fanno diventare una frase alla volta musica il ritmo). Non a caso continuare a muoversi sempre alla stessa velocità di crociera, magari senza una destinazione specifica, può anche essere considerato un modo di sfogare l’ansia o la noia. Siamo esseri umani e le nostre stesse parole ci ricordano che tendiamo alla variazione, allo stupore, alla meraviglia di qualsiasi cambiamento, che viene ancora una volta, soprattutto, dal ritmo.

“For My Best Family”, Meriem Bennani

È facile vedere dei ballerini e delle ballerine alle prime armi che si sforzano di andare a ritmo solo coi piedi e le gambe, a volte le braccia, come se l’intenzione del loro cervello volesse raggiungere direttamente le estremità, perché gli occhi giustamente ci fanno credere che il movimento si annidi lì. Invece il ritmo, per essere perfetto, esatto, aderente, deve prima passare dai polmoni. Il modo più semplice per sentire e cambiare il ritmo sembra avvenga attraverso i piedi, è vero, ma avviene in realtà attraverso il respiro, è dal diaframma – per semplificare molto – che i piedi iniziano a muoversi. Ed è evidente nell’installazione realizzata da Meriem Bennani nel Podium di Fondazione Prada a Milano come parte della mostra visitabile fino al 26 febbraio For My Best Family, a cui si aggiunge al piano superiore il lungometraggio di animazione For Aisha, prodotto da Fondazione Prada. Sole Crushing è composta da un’orchestra di ciabatte che battono letteralmente il tempo, e una serie di variazioni ritmiche riprese dal produttore musicale Reda Senhaji, noto come Cheb Runner, attingendo alla tradizione musicale marocchina e nordafricana, grazie a un complesso sistema di pompe idrauliche che le fanno respirare, cioè pulsare, alzarsi ed abbassarsi, generare questi vettori che nutrono il movimento stesso, grazie al rimbalzo.

Still da For Aicha, 2024

Un tema fondamentale per Bennani, insieme al respiro, e al modo in cui assorbe le esperienze di vita che ci segnano e ci influenza, in particolare nella spinta verso la relazione con gli altri, è la diaspora degli artisti dal loro luogo di origine, che emerge forte in For Aisha e che l’ha toccata in prima persona, in particolare dal Marocco a New York, che si mescola all’impronta degli anni in cui è cresciuta la nostra generazione, tra reality show e lo sviluppo delle piattaforme per la pubblicazione e lo scambio di contenuti, e ovviamente i social. Da MySpace, passando per YouTube, fino ad arrivare a Facebook, passando per quello che un tempo era Twitter, fino a Instagram, ma pure le app di messaggistica, da Whatsapp a Telegram, fino a Tinder eccetera. La nostra geografia sentimentale ed emotiva si è sviluppata in una dimensione largamente virtuale, in maniera spontanea, in cui abbiamo proiettato i rami del nostro desiderio, della nostra curiosità, della nostra speranza. Così è come se i ricettori della nostra pelle fossero disseminati in diverse parti del mondo, sensibili ad atmosfere di altre geografie, culture, influenze. Posso emozionarmi per una parola che arriva da diverse centinaia di chilometri di distanza, da un altro fuso orario, come la luce di una piccola stella. Posso farne esperienza come se fosse qui, anche se non c’è. Questa è una possibilità enorme, sia positiva che negativa, perché ovviamente rischia di disorientare, di confondere le nostre coordinate, i confini se vogliamo della nostra realtà sensibile.

Still da For Aicha, 2024

L’artista amplifica e incarna il sentimento di displacement, la forza che spinge a partire, ad andarsene, a esplorare. È una figura che rappresenta l’esilio volontario, anche se dettato dalla necessità, perché l’origine può essere arida, ostile, non abbastanza nutriente, può impedirci di respirare, di diventare ciò che vogliamo. C’è un passaggio che mi torna sempre in mente ne Lo scontro quotidiano, graphic novel di Manu Larcenet, in cui una nonnina al protagonista dice di non crucciarsi di non avere radici, che non è mica un ficus. È vero, in parte. Le nostre radici sono affettive, relazionali. Si prova molto dolore quando non ci si concede di esprimere i propri sentimenti, così sembra mostrarci For Aisha, in cui la protagonista torna a casa per una visita, la metropoli in cui vive le dà la possibilità di essere libera apparentemente, ma c’è poca luce, tutto è tetro e sembra mancarle l’ossigeno, ogni volta in cui vita ed emozioni si scontrano, alterna una sigaretta a una spruzzata di Ventolin, come se volesse riottenere artificialmente la pulsazione di quel ritmo, per ritornare a casa sì, ma in primis nel proprio corpo, ritrovarsi.

Still da For Aicha, 2024

Quello del dover soffocare il proprio desiderio è un dolore sordo, sotterraneo, che dopo un po’ si smette addirittura di riconoscere, permettendogli di minarci alle fondamenta. È quello che sperimentano quotidianamente le persone omosessuali, in particolare in un Paese come il Marocco, in cui amare persone dello stesso sesso è un reato – e già nel dirlo risuona tutta l’assurdità di questa affermazione. L’articolo 489 del codice penale marocchino criminalizza infatti quelli che chiama “atti osceni contro natura con un individuo dello stesso sesso”. L’attività sessuale con persone dello stesso sesso è illegale e i colpevoli possono essere puniti con una pena che va dai 6 mesi ai 3 anni di reclusione e a una multa da 120 a 1200 dirham. Ma ci si può sentire così anche in un Paese più libertario, soprattutto di questi tempi in cui si sta assistendo in diverse parti del mondo a una regressione reazionaria sui diritti, in cui alcuni stigmi fuori da certi ambienti restano forti e diffusi, e comunque interiorizzati attraverso la cultura e l’educazione, anche implicitamente, in maniera più o meno subdola e sottile, tanto che molte persone faticano appunto a riconoscere la propria stessa omosessualità, ignorano il proprio desiderio. Ma a pensarci bene anche molte persone eterosessuali, che in teoria appaiono come privilegiate, vivono nel profondo antinomie simili, perché comunque la sessualità – nonostante tutti i passi avanti che abbiamo fatto – resta un tabù, o comunque un territorio rischioso, in cui spesso avventurarsi, in particolare per le donne, comporta dei rischi, dalla violenza al revenge porn, ma la gamma è ampiamente sfumata. Ma il sesso, come il ritmo per la musica, per molte persone è il grado zero di qualsiasi possibile amore – se con amore vogliamo intendere semplicemente un desiderio verso un’altra persona molto intenso e persistente, è una parte fondamentale della nostra identità, legato alla nostra immagine, non solo tangibile, ma proprio alla forma in movimento che ci definisce, al Sè che percepiamo essere noi stessi, al nostro potere, alla nostra forza, alla nostra libertà.

“For My Best Family”, Meriem Bennani

Così Bennani nella sua ricerca artistica usa l’arte come strumento di critica sociale capace di porre domande politiche e al tempo stesso di parlare alla nostra intimità, alle pulsioni più profonde e soggettive che ci animano, ibridando l’arte con la tecnologia, digitale e non, dall’animazione di For Aisha – diretto da Bennani insieme a Orian Barki e realizzato con la produzione creativa di John Michael Boling e Jason Coombs – al sistema di pistoni che mette in moto Sole Crushing, e indagando mescolando ironia e sentimento, straniamento e vicinanza, i temi che da sempre sono cari a Fondazione Prada, come l’identità culturale, di genere, il corpo in quanto macchina e in quanto simulacro, immagine, il dialogo tra tradizione e futuro, scienza e mitologia, prediligendo come sottolineato da Miuccia Prada l’impollinazione incrociata al confronto, avvicinando realismo e poesia, o meglio, settacciando il reale fino a farne emergere i dettagli più intensi ed evocativi.

“For My Best Family”, Meriem Bennani

Le due opere che compongono For My Best Family creano un dittico attraversato da diversi tensori che attingendo ai suoni di diverse lingue – inglese, francese, arabo, ma anche al fraseggio musicale – ci trasportano in territori emotivi instabili, influenzati dalla luce e dalle maree, desertici e fertili, spazi in cui è sempre possibile dar voce alla vita, porre domande, cercare risposte, spinti, obbligati, dalla voglia che nonostante tutto ci resta di avvicinarci gli uni agli altri, di lasciarci attraversare, non importa da che lontananza, quanto distanti essi siano, o ci sembrino.

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