Nel 2016 le tubature di Acquedotto pugliese, società che si occupa dell’approvvigionamento idrico-potabile di parte del Mezzogiorno, hanno disperso il 48% dell’acqua. Nei rubinetti dei cittadini non è dunque arrivata quasi la metà dell’acqua fatta confluire nel sistema, uno spreco ancor maggiore della media nazionale del 35%. Questa inefficienza è dovuta a un’infrastruttura vecchia, caratterizzata da una scarsa manutenzione e da bassi livelli di investimento per il rinnovamento. Alcuni paesi hanno lamentato la fuoriuscita di acqua rossastra, mentre in altre aree l’erogazione avviene a singhiozzo e la popolazione locale ha iniziato a mobilitarsi. In un contesto negativo di questo tipo, presto le cose dovrebbero, quanto meno in parte, migliorare: la Banca europea per gli investimenti ha messo a budget 200 milioni di euro per intervenire sulla rete di distribuzione, per ridurre le perdite e per aumentare la qualità dell’acqua fornita da Acquedotto pugliese. L’investimento nel sistema idrico pugliese è solo uno dei tanti progetti italiani che compaiono nel budget della Bei del 2017. L’Italia è infatti il Paese membro che riceve più risorse in assoluto dalla banca: dal 2008 a oggi, il flusso di denaro verso Roma ha raggiunto i 100 miliardi di euro. L’anno scorso sono stati finanziati 119 progetti, per un totale di 12,3 miliardi di euro (+10% rispetto al 2016) – una quota che corrisponde allo 0,6% del Pil italiano. Questi investimenti hanno riguardato le piccole e medie imprese, le zone dell’Italia centrale colpite dai terremoti, il dissesto idrogeologico e le calamità naturali, l’edilizia scolastica, le infrastrutture sanitarie, l’energia e l’ambiente, la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione, la previdenza e il sociale. Tra i progetti finanziati più importanti, oltre all’Acquedotto Pugliese, compaiono così, tra gli altri, i 68 milioni stanziati per la nuova Cittadella della Salute di Treviso, il miliardo per l’installazione di 42 milioni di contatori energetici digitali di nuova generazione, o ancora i 5,3 miliardi di prestiti e garanzie con cui sono state sostenute 39.700 Pmi e 542.500 posti di lavoro. È grazie a questi fondi Ue, ad esempio, che oltre cento operai licenziati dalla Whirlpool nel 2014 hanno oggi ritrovato lavoro nell’azienda Vetri Speciali, o che oltre mille persone, licenziate dall’Almaviva Contact, verranno aiutate nel reinserimento lavorativo, attraverso lo stanziamento di 3,3 milioni di euro. Nel 2016, invece, degli 11,2 miliardi di euro stanziati per l’Italia, il 42% è stato destinato alle Pmi, il 21% ai trasporti, il 12% all’energia e l’8% all’industria.
È un vero e proprio fiume di risorse finanziarie quello che ogni anno dal Lussemburgo – sede della Banca europea per gli investimenti – scorre verso Roma. Questo è però solo uno dei tanti canali attraverso cui le istituzioni europee versano fondi al nostro Paese. L’Italia è infatti seconda nell’Unione Europea per fondi strutturali ricevuti da Bruxelles, come rivela la prima relazione della Commissione Ue sull’utilizzo del Fondo agricolo per lo sviluppo rurale, per la coesione, per lo sviluppo regionale, per la pesca e fondo sociale. Tra il 2014 e il 2020 è previsto uno stanziamento di 73,67 miliardi per Roma, di cui 42,67 provenienti dal bilancio Ue. Uno degli esempi più importanti di progetti che hanno beneficiato di queste risorse è quello della banda ultra larga, con l’Italia che è da sempre tra le cenerentole d’Europa nel settore, ma che grazie ai finanziamenti UE sta recuperando decisamente terreno. L’anno scorso la banda ultra larga arrivava al 42,6% delle unità immobiliari italiane, quest’anno si salirà al 62,5% mentre nel 2020 sarà coperto il 100% delle case con una velocità di connessione di almeno 30 megabit al secondo. L’Unione Europea, tramite il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, ha stanziato 2 miliardi di euro perché possano essere raggiunti questi obiettivi. 38 milioni di euro sono invece i fondi di provenienza europea che hanno permesso di cancellare una delle vergogne più grandi dell’ultimo decennio, l’incendio doloso che ha distrutto quel gioiellino che era la Città della Scienza di Napoli. Grazie ai nuovi finanziamenti Ue, il centro è oggi in fase di ricostruzione e si prevede possa aprire nel 2020.
Accanto ai casi positivi, ci sono poi le storie di somme ingenti di denaro europeo che finiscono nel dimenticatoio per il semplice fatto che non vengono utilizzate. L’Italia è sestultima nell’Ue per l’utilizzo di questi fondi, con una percentuale di utilizzazione del 37%. Da un lato l’incapacità di mettere in atto progetti per cui si è ottenuto il finanziamento, dall’altro truffe deliberate con società fantasma nate con il solo fine di ottenere i fondi europei, per poi sparire nel nulla, o con banche che certificano la solidità finanziaria di aziende che falliscono il mattino dopo aver ricevuto i fondi. Un’inefficienza nazionale che oscura la manica larga dell’Unione Europea, ridimensionando drasticamente quella che potrebbe essere una grande e costante leva di sviluppo economico. Tra le spiegazioni che si sono date a discolpa dell’Italia, il fatto che il grande ritardo nell’utilizzazione dei fondi ricevuti sia dovuto all’ampia massa di risorse da gestire, rispetto agli altri Paesi. In poche parole, l’Italia riceve talmente tanti soldi dall’Ue che è normale impieghi più tempo a impegnarli concretamente nelle migliaia di progetti finanziati. In altri casi l’Unione Europea predispone veri e proprio bandi, a cui possono partecipare i Comuni dei suoi stati di appartenenza. È di pochi mesi fa la notizia che la Commissione europea garantirà un finanziamento di 120 milioni fino al 2020 per installare hotspot che forniscano wi-fi gratuito ai cittadini. Sempre restando nel settore bandi, poi, l’Italia è al terzo posto per richieste di finanziamento del programma europeo su ricerca e innovazione Horizon, che diventa un secondo posto se si considera il volume di contributi sul tema dell’energia “sicura, pulita ed efficiente”. Dal 2014 sono state fatte richieste di finanziamento per 24,6 miliardi di euro e questi fondi sono andati a supportare centinaia di progetti sparsi in giro per il paese. Altri fondi vengono poi da numerosi altri programmi dell’Unione Europea, come Erasmus +, che nella sola Campania ha finanziato progetti per 10 milioni di euro dal 2014 a oggi, o Life, dove l’Italia è prima beneficiaria europea con 83 milioni di euro di fondi per 31 progetti. Tra questi Life Vimine, un’iniziativa di ingegneria naturalistica per la cura e la tutela dell’ecosistema della laguna di Venezia, in particolare il sistema delle barene e i rischi di erosione che le caratterizzano. Proprio in questi giorni la Commissione europea ha poi proposto di creare un “fondo di stabilizzazione” da 30 miliardi di euro, per sostenere i Paesi in crisi attraverso dei prestiti. L’obiettivo è quello di aiutare gli Stati in difficoltà a mantenere in piedi i loro investimenti pubblici, così da non ostacolare il percorso della crescita economica. Al di là dei finanziamenti a progetto, c’è poi un altro settore nel quale l’Italia primeggia in termini di fondi ricevuti, ed è quello emergenziale della gestione della crisi dei migranti nel Mediterraneo. Come sottolinea L’Espresso in un’inchiesta di pochi mesi fa, “i fondi che l’Italia ha ricevuto per la gestione dei flussi migratori sono stati ingenti”. In particolare, 38,2 milioni di euro messi a disposizione dalla Commissione Ue come fondi di emergenza per sostenere progetti volti a rafforzare il controllo delle frontiere, i servizi sanitari, i percorsi di mediazione linguistica e interculturale, gli interventi rivolti ai minori non accompagnati e quelli per migliorare le operazioni di controllo e salvataggio. A questo si aggiungono i 592,6 milioni di euro assegnati all’Italia tramite i programmi nazionali supportati dall’Isf e dall’Amif, i 280 milioni di euro per attività di trattenimento, accoglienza, inclusione e integrazione degli immigrati e i 320 milioni di euro stanziati nella legge di bilancio per il 2017. Ci sono poi i circa 15 miliardi di euro per il periodo 2014-2020, assegnati al Programma di finanziamento per i progetti nell’ambito della politica europea di vicinato, i 19 miliardi di euro assegnati allo Strumento per la cooperazione allo sviluppo e i 58,21 milioni di euro assegnati a fine 2017 per finanziare progetti nell’ambito dell’accoglienza e dell’assistenza sanitaria, legale e materiale dei migranti. Grazie a questi fondi è stato possibile avviare progetti come quello del Cus di Palermo, per favorire l’integrazione attraverso lo sport dei minori stranieri e dei ragazzi che vivono nei centri di accoglienza e sono stati predisposti corridoi umanitari che hanno permesso a centinaia di migranti provenienti da zone di guerra di arrivare in Italia in modo legale e sicuro.
Un flusso di risorse molto importante, ragionevole vista la posizione vulnerabile del nostro Paese nel pieno centro della rotta dei migranti, ma che in parte smentisce quella dialettica dell’“Europa che ha abbandonato l’Italia al suo destino”. Anche perché quella stessa Europa che annualmente sostiene gli sforzi emergenziali italiani con decine di miliardi di euro, ha di recente respinto attraverso la sua Corte di giustizia il ricorso di Slovacchia e Ungheria, che si opponevano al piano di relocation dei richiedenti asilo presenti in Grecia e in Italia. Davanti a questo scenario, la visione che più domina l’opinione pubblica – soprattutto nell’attuale fase politica in cui l’euroscettismo è diventata la principale religione di stato – è quella di un’Europa che spreme il Paese fino al midollo, offrendo in cambio premier non eletti, tecnocrati e valigie piene di spread. Un ragionamento che riguarda quei partiti i cui leader si sono fatti di recente vedere in pubblico con uno special outfit fatto di € barrate, ma che coinvolge tutto lo spettro politico italiano. “Siamo un Paese contributore e diamo tutte le volte 20 miliardi e ne recuperiamo solo 12,” ha detto Matteo Renzi durante la campagna elettorale, lamentando il bilancio passivo che caratterizza il rapporto tra Italia e Unione Europea. Una critica ripresa da un post del Blog a Cinque Stelle, che tra punti esclamativi in fila indiana degli utenti, grassetti selvaggi e accuse a Renzi, finisce per ribadire i suoi stessi concetti: l’Italia dà 20 miliardi di euro all’Unione Europea, ne riceve molto meno, e questo non va bene. Un recente lavoro di fact checking de La Stampa ha però ridimensionato queste cifre: “Secondo la relazione della Corte dei Conti del 2017, il nostro Paese ha versato all’Unione, a titolo di risorse proprie, 15,7 miliardi di euro (-4,7% rispetto all’anno precedente). E, soprattutto, 4,3 miliardi in meno rispetto a quanto dichiarato da Renzi (21,5% in meno).” Nonostante questo, è oggettivo come il saldo negativo resti, seppur in misura minore di quanto urlato ai megafoni. Il divario tra entrate e uscite si sta però assottigliando sempre più e nei prossimi anni l’Italia potrebbe trasformarsi in “percepitore netto”. Prendendo infatti i dati del 2010, l’Italia contribuiva per 14 miliardi e 336 milioni all’UE, un valore molto simile a quello attuale, ma riceveva circa 9 miliardi e mezzo, oltre due miliardi in meno di oggi. Se poi il budget totale europeo è cresciuto del 42,06% tra il 2004 e il 2014, la percentuale relativa ai versamenti dell’Italia è cresciuta in proporzione minore, del 21,8%. Quello che però non viene preso in considerazione da chi analizza il costo dell’Europa esclusivamente dal punto di vista dei numeri, sono le conseguenze che questi stessi numeri si portano dietro. Le decine di miliardi di euro stanziati dalla Banca Europea per gli investimenti mettono in moto Pil e occupazione, e lo stesso discorso vale per i benefici legati all’appartenenza a un mercato unico. Combinando questi elementi, emerge che paesi come l’Italia o la Germania incassino in prospettiva più soldi di quanto ne spendano per far parte dell’Unione. “I benefici derivanti dalla stabilità, dalla pace, dai valori comuni, dalla parità di condizioni nel mercato unico europeo o da una capacità negoziale che rivaleggia con le maggiori potenze mondiali, non si manifestano nei calcoli del saldo netto,” spiega la Commissione Europea. “Il mercato unico ha un impatto positivo significativo e diretto sull’occupazione e la crescita. Permette alle aziende di operare in modo più efficiente, crea lavoro e offre prezzi più bassi per i consumatori. Dà alle persone la libertà di vivere, studiare e lavorare dove vogliono.” L’Ifo Institute ha quantificato tutti questi elementi, arrivando a definire i saldi effettivi di alcuni paese dell’Ue. Tra entrate e uscite, la Germania spende in media 13,6 miliardi per l’Ue ogni anno, ma grazie al mercato unico le sue imprese ne ricavano 118,” si legge. “L’Italia ha invece un saldo negativo di 3,5 miliardi di euro, ma l’incasso delle aziende del paese raggiunge i 40 miliardi di euro.” Alla luce di questa lettura, i ricercatori sono giunti alla conclusione che più si investe nell’Unione Europea, più si guadagna in prospettiva. Due anni fa, proprio in queste settimane, il referendum sulla Brexit vedeva un inaspettato successo dei “Sì”. Proprio alla luce di quel “Sì”, oggi l’Unione Europea deve rivedere il suo bilancio 2021-2027, visto lo stop ai contributi provenienti da Londra. A subirne le maggiori conseguenza sarà l’Italia, con un rischio di tagli che potrebbe arrivare a 5 miliardi di euro. “Ci preoccupano le dichiarazioni sul possibile 5% di taglio alla politica di coesione,” ha affermato il vicepresidente M5S del Parlamento Ue, Fabio Massimo Castaldo, “a Strasburgo faremo di tutto per negoziare ed emendare la proposta sul nuovo quadro finanziario ed evitare una stangata per il Sud Italia.” Per il Mezzogiorno la prospettiva di uno stop dei finanziamenti Ue sarebbe una catastrofe, il messaggio del Movimento è chiaro. Altrettanto chiare sono le immagini dell’esultanza del partito dopo il voto sulla Brexit, i cartelli anti-euro mostrati in pubblico e le dichiarazioni euro-scettiche prima fatte e poi negate. C’è solo una cosa che non è chiara in tutta questa situazione: a quante giravolte politiche dovremo ancora assistere, prima che ci venga la nausea?