“Scrivo dalla sponda delle brutte, per le brutte, le vecchie, le camioniste, le frigide, le malscopate, le inscopabili, le isteriche, le tarate, per tutte le escluse dal grande mercato della gnocca”. Basterebbe leggere l’introduzione di King Kong Théorie – intitolata Cattive tenenti – per rendersi conto della potenza del testo che si ha davanti. A metà tra il memoir e un saggio di teoria femminista questo libro unisce la forza di entrambi i generi e racchiude i temi più cari della sua autrice, Virginie Despentes, scrittrice, attivista e agitatrice culturale.
Uscito in Francia nel 2006 e recentemente ripubblicato in Italia, è il manifesto di un nuovo femminismo che può apparire estremo, sia nella forma che nei modi, perché decisamente meno allineato rispetto a quello diffuso in particolar modo in Francia, ancora radicato sulla seconda ondata. King Kong Theory (Fandango ha optato per la versione inglese del titolo) è diviso in diversi capitoli-confessione e approfondisce idee ancora oggi difficili da conciliare per molte correnti del femminismo, come la fluidità di genere, i concetti di femminilità e mascolinità, lo stupro, la pornografia, il sex work e non da ultimo l’intersezione con le questioni di classe e razza. Individuando nella sessualità l’elemento di maggiore problematicità per il genere femminile, King Kong Theory è un testo che può risultare difficile da digerire, non solo per chi è digiuno di discorsi sul femminismo, o lo ripudia in generale, ma anche da chi sposa le sue correnti più radicali. A risultare tanto respingente sono soprattutto la volontà di eliminare il binarismo di genere (inteso come appartenenza ai due ruoli socialmente costruiti di femminilità e mascolinità) e l’apertura alla prostituzione e alla pornografia come rottura all’ipocrita morale borghese, altro elemento fortemente divisivo. Eppure questa iniziale repulsione è una soglia necessaria da attraversare per poterne assimilare i contenuti liberatori e, come sembra suggerire l’autrice stessa attraverso il suo testo sovversivo, la comprensione di un pensiero del genere non può prescindere dalla conoscenza dell’esperienza diretta di chi se ne fa testimone.
In Francia Virginie Despentes è considerata un punto di riferimento da molte giovani donne e una sorta di rockstar del femminismo, impressione che sorge spontanea dai suoi numerosi ritratti con le magliette dei Motorhead, il chiodo di pelle e la sigaretta appesa alle labbra. A renderla così famosa in patria e a farla conoscere nel resto del mondo, è stato il suo romanzo d’esordio in pieno stile pulp Scopami (Baise-moi), scritto quando aveva 23 anni e uscito nel 1993. Nel libro racconta l’amicizia viscerale che lega due ragazze, Manu e Nadine. Una lavora come prostituta e l’altra nel porno, e per vendicare lo stupro subito da una gang di uomini decidono di partire per un road-trip sanguinario, in una versione spietata di Thelma e Louise, con molto più sesso e omicidi. Accolto tra censura e polemiche, questo libro è diventato un cult ancor prima di essere pubblicato, ma mai quanto il film che ne è stato tratto nel 2000, co-diretto dalla stessa Despentes insieme a Coralie Trinh Thi, che come le due attrici protagoniste veniva dall’industria pornografica. Smontando la percezione comune delle donne come vittime passive e incapaci di atti violenti “per natura”, le protagoniste vendicative e sanguinarie di Scopami infrangono – con dovizia di effetti splatter – il tabù della violenza femminile. Romanzo e film sono serviti per aprire la strada ai temi cari a Despentes. Grazie a questo libro e all’adattamento che ne è seguito, Despentes ha avuto aperta la strada ai temi che le erano più cari e così ha scritto molti altri romanzi che hanno come protagoniste giovani donne ribelli che usano il sesso per trovare la propria identità, scardinando i luoghi comuni sul femminile. Ma è solo con l’uscita di King Kong Theory che l’autrice è riuscita a mettere a pieno in luce e in maniera sistematica la propria visione, partendo dalla sua stessa storia biografica.
Sopravvissuta a uno stupro di gruppo a 17 anni mentre faceva l’autostop con un’amica tornando da un viaggio a Londra, Despentes non tollera la narrazione che considera la violenza sessuale come un trauma irreparabile nella vita di una donna. Nel libro dichiara di non aver mai permesso che quello stupro la definisse come una donna ferita, incapace di godere della sua sessualità per il resto dei suoi giorni. Al contrario, l’autrice fa appello al proprio orgoglio e a quello delle lettrici, dichiarando che questa narrativa invalida il sistema di valori patriarcali che affibbia alla donna un valore in base alla sua disponibilità sessuale e alla sua capacità di essere compiacente al desiderio degli uomini. Pur convinta di ciò, Despentes non nega che quell’evento l’abbia profondamente segnata: “È [un evento] fondatore. Di quello che sono in quanto scrittrice […]. È insieme ciò che mi sfigura e ciò che mi costituisce”. Ma questo non è che il primo passo verso un cammino di emancipazione lontano dai consueti canoni raccontati dal femminismo bianco e liberale (che si può appunto identificare in quello della seconda ondata). Despentes racconta infatti di come la decisione di prostituirsi sia stata innanzitutto una tappa fondamentale per la sua ricostruzione dopo lo stupro e abbia cambiato non solo la sua percezione della sessualità, ma del concetto stesso di lavoro nella società capitalista in cui viviamo. E a proposito della pornografia afferma che è uno strumento che non serve ad altro che a sedare uomini e donne e tenerli sotto controllo, una sorta di ansiolitico.
La nostra esperienza dei ruoli di genere, del potere e del controllo (a cui appartengono sia lo stupro che in qualche modo anche la prostituzione) sono infatti legate a doppio filo alla pervasiva ideologia del tardo capitalismo, così come le vite delle donne sono organizzate intorno all’unico scopo di soddisfare – o deludere – lo sguardo maschile. A questo proposito Despentes scrive: “La figura della sfigata della femminilità non solo mi è simpatica, ma mi è necessaria”. E poco dopo dichiara: “Sono molto più King Kong che Kate Moss”. Descrivendo la lista delle donne che perdono la gara della femminilità è chiaro che Despentes scrive di tutte le donne, dal momento che tutte partecipano a questo sistema. Non c’è più alcuna distinzione tra chi si rade la testa e chi si acconcia con estrema attenzione i capelli, appariamo tutte ugualmente grottesche e allora è di quello stesso concetto di grottesco che ci si deve riappropriare, abbracciandolo come si abbraccerebbe un enorme, ma alla fin fine innocuo King Kong.
La teoria esposta da Despentes è una denuncia che finisce per trasformarsi in una richiesta di giustizia impossibile da ignorare, in una proposta sociale, in una vera e propria visione rispetto cui dare forma al futuro. King Kong, spiega l’autrice, è “metafora di una sessualità che oltrepassa i generi politicamente imposti dalla fine del diciannovesimo secolo. King Kong è oltre la femminilità e la virilità; esso è a metà tra uomo e animale, tra adulto e bambino, buono e cattivo, primitivo e civilizzato, bianco e nero. Ibrido, oltre l’obbligo del binarismo di genere”. La necessità di scardinare i concetti di femminilità e di conseguenza di mascolinità prende le mosse sia da un bisogno intimo di non aderire a canoni preimpostati, sia da un altro tipo di esperienza personale, non esplicitata nel testo. L’incontro e la relazione amorosa con il filosofo Paul B. Preciado riveste per l’autrice una notevole importanza letteraria, e non solo perché il lavoro di entrambi è stato influenzato reciprocamente. Grazie a questo legame, infatti, allacciato quando ancora Preciado non aveva iniziato il percorso di transizione di genere e ancora si definiva come lesbica “butch”, Despentes rivendica la propria decisione di “abbandonare l’eterosessualità” come una presa di posizione politica.
Despentes si occupa anche degli uomini. Nel saggio, infatti, parla di tutti coloro che non rientrano nelle maglie esigenti della mascolinità, quelli “che non sanno fare a botte, che piangono con facilità, che non sono ambiziosi, competitivi, che sono impauriti, timidi e vulnerabili”, ma non si ferma a questa rappresentazione. Con Trilogia della città di Parigi. Vernon Subutex indaga ulteriormente il tema della mascolinità, costruendo una sorta di comédie humaine attorno alla figura di un uomo di mezza età, un tempo proprietario di un negozio di dischi di successo che poi finisce per diventare un senza fissa dimora. Quest’opera narrativa di Despentes mira a identificare nella mascolinità – e nella sua associazione con il potere, il denaro, controllo e la violenza – il vero problema della società in cui viviamo. Nella sua visione, infatti, il sistema economico capitalista si serve di leader dai caratteri machisti per prosperare.
I libri di Despentes mettono in luce il cuore della questione del genere. Alle protagoniste di Scopami così come all’autrice stessa e agli altri personaggi che racconta – individui lasciati ai margini della società e condannati a un destino univoco – non resta altro da fare se non assumere il controllo della propria narrazione e storia per esistere. “Voler essere un uomo?”, si chiede in chiusura a King Kong Theory, “Io sono meglio di così”: ma non è la mascolinità in assoluto che viene rifiutata, quanto il desiderio di potere che caratterizza l’idea dominante di mascolinità. Despentes provoca così le insicurezze della nostra società, che ci toccano in modo più o meno pesante, mette in crisi le certezze su cosa vada fatto e cosa no per farsi accettare, perché dimostra quanto poco sia importante per la felicità personale. Il modo più autentico di praticare la libertà è quello di seguire ciascuno la propria strada. Per questo, provocando le nostre insicurezze, Despentes mette a dura prova chiunque provi ad avvicinarsi ai suoi libri.
Da giovane punk di strada, Virginie Despentes è oggi entrata a far parte della prestigiosa Académie Goncourt, la più importante organizzazione culturale francese: il suo approccio anarchico alla teoria femminista, che mescola diverse forme d’arte, come musica, arte e letteratura. Questo è approccio molto valorizzato all’estero e in particolar modo in Francia, ma ancora abbastanza ignorato in Italia, dove andrebbe riscoperto per arricchire il dibattito di tutti i movimenti femministi.