“Le donne non dicono ‘noi’” scrive Simone de Beauvoir ne Il secondo sesso. Il problema, secondo l’autrice, è che le donne non hanno una base comune su cui costruire un movimento forte: non hanno “un passato, una storia, una religione” che le unisca e “vivono disperse in mezzo agli uomini” senza un collante. De Beauvoir, nel 1949, tocca quello che è un problema centrale del femminismo inteso come movimento almeno astrattamente universale: trovare un punto di unione tra le donne, nonostante diversità e divisioni. Il concetto di sorellanza arriva, infatti, piuttosto recentemente nel discorso pubblico. Fino al 1955 in Italia si discuteva ancora su che termine usare per intendere i “doveri di ‘amore’ fra le donne”, uno “spirito di corpo femminile, come se fossero tutte sorelle” e Vittorio Ceroni, direttore dell’Unter College di New York, proponeva a tal proposto in una lettera all’Accademia della Crusca di usare appunto la parola “sorellanza” e di trovare anche un corrispettivo per il termine “confraternita”. Da allora sono passati sessantacinque anni ma le cose non sono cambiate granché, non c’è da stupirsi che l’idea delle donne divise, in competizione e incapaci di andare d’accordo sia molto radicata. In questo, poi, i media sono responsabili di aver proposto insistentemente versioni più o meno rielaborate del topos della “catfight”, la guerra tra gatte dove due o più donne si azzuffano per la gioia dello sguardo maschile.
Perché il termine sorellanza entri nel linguaggio mainstream bisogna aspettare gli anni Settanta. Sono infatti le femministe della cosiddetta seconda ondata a introdurre il motto “Sisterhood is powerful”, “La sorellanza è potente”, e a portare il concetto alla ribalta come motivo di unione per la lotta. Per alcuni anni la parola sorellanza assume un significato politico posto alla base stessa del movimento. La popolarità, però, è breve perché lo sfortunato termine finisce presto nel mirino di chi critica il femminismo degli anni Settanta come poco inclusivo. Negli anni, infatti, specie grazie al contributo delle femministe nere (come bell hooks, Audre Lorde e Kimberlé Crenshaw) e lesbiche, il concetto viene problematizzato ed emerge come spesso la sorellanza proclamata dalle femministe valesse, in realtà, solo per le donne bianche cisgender. Di come il termine risulti escludente, parla anche Elizabeth Evans nel suo libro The Politics of Third Wave Feminism. “Le nozioni di sorellanza,” scrive, “vengono maggiormente contestate all’interno della Terza Ondata a causa dell’enfasi sull’intersezionalità, che espone le dinamiche di potere in atto tra le donne, ma anche a causa della misura in cui gli uomini sono ora considerati importanti per il movimento femminista”. Il rischio, secondo Evans, è ignorare diversità e privilegi esistenti tra le donne, oltre a escludere le persone transgender e, in certa misura, anche gli uomini. Eppure, come scrive la stessa bell hooks, “abbandonare l’idea di sorellanza come espressione di solidarietà politica indebolisce e sminuisce il movimento femminista”. Il punto, secondo hooks, è recuperare il valore politico e inclusivo del termine, rendendolo luogo di incontro tra le diversità.
Focalizzare l’esatto significato di “sorellanza” a differenza di quanto si potrebbe pensare non è scontato. È possibile iniziare a interrogarsi sulla sorellanza a partire da una componente emotiva, legata all’empatia. A me, in quanto donna, è successo spesso di soffermarmi sull’unicità del rapporto con mia mamma o mia nonna, di percepire una forza positiva che scaturisce dal legame tra sorelle o amiche, o di sentire – potrei dire “a pelle” – un collegamento con un’altra ragazza sulla base di esperienze comuni dettate dal genere. Il punto, però, è che ciò che si percepisce è soggettivo e i legami tra donne possono esserci come no e possono basarsi su elementi contingenti che non hanno nulla a che vedere con i valori del femminismo o che addirittura favoriscono il perpetrarsi di dinamiche patriarcali. Amicizie come quelle descritte in Sex And The City, Quattro amiche e un paio di jeans o Lipstick Jungle, ad esempio, ci mostrano l’importanza di fare squadra tra donne al di là di competizione e rivalità, ma difficilmente possono costituire un punto di partenza per una solidarietà femminile universale e politica. La difficoltà è capire quali elementi possono essere posti alla base della sorellanza e allo stesso tempo non renderla mezzo di discriminazione ed esclusione.
Alcune autrici, come Mary Daly o Adrienne Rich, sostengono che il legame tra le donne sia da ritrovarsi nel loro corpo femminile, “nell’energia femminile” che questo emana e nelle presunte esperienze condivise a esso legate come le mestruazioni, la maternità, l’allattamento. Questi elementi dovrebbero costituire un motivo di unione, ma se in certi casi effettivamente lo sono, il problema è, però, che finiscono per identificare la donna con la propria fisicità, oltre a escludere tutte quelle persone che, pur definendosi donne, non vivono questo tipo di esperienze. Per questo, una diversa risposta è fornita da chi, invece, vede a base della sorellanza il sistema di oppressione a cui le donne sono socialmente sottoposte. In una delle puntate della seconda stagione di Sex Education un gruppo di ragazze viene messo in punizione dalla loro insegnante con il compito di preparare una presentazione su cosa le lega in quanto donne. Dopo aver escluso a uno a uno gli aspetti più svariati, le ragazze cominciano a parlare di episodi di discriminazioni e molestie, della paura di rientrare a casa la sera e delle attenzioni indesiderate da parte dei ragazzi. Escono dalla classe unite dalla rabbia verso un sistema patriarcale che – come hanno scoperto – in modi diversi le penalizza tutte indiscriminatamente. L’idea che le donne siano unite da una comune oppressione è proprio quella che sosteneva la sorellanza promossa dalle femministe della seconda ondata. Nel suo libro Sisterhood is Powerful, pubblicato nel 1970 e diventato un simbolo della lotta di quegli anni, Robin Morgan raccoglie infatti contributi da varie autrici femministe che raccontano l’oppressione femminile da diversi punti di vista.
Che la società patriarcale condizioni in un modo o nell’altro tutte le donne ponendole in una situazione di svantaggio è, in effetti, un assunto di base del femminismo. Eppure, secondo la femminista statunitense bell hooks che si è occupata dell’idea di sorellanza e della sua evoluzione nel suo saggio Sisterhood: Political Solidarity between Women (1986) e in altri suoi libri come Feminism is for Everybody (2000), questa non può basarsi sull’idea delle donne come vittime. “L’idea di oppressione comune,” scrive, “era un’unione falsa e corrotta che mascherava e mistificava la vera natura della realtà sociale varia e complessa delle donne”. Secondo hooks l’equazione “donna = vittima” oltre a essere un riflesso della cultura patriarcale e sessista sostenuto da femministe bianche e borghesi spesso privilegiate, rischia di allontanare dal movimento (come spesso è accaduto) quelle donne che non si sentono rappresentate dal ruolo di oppresse. Hooks vede l’idea della comune oppressione come l’ennesimo tentativo di creare l’utopia di una falsa e facile comunanza, livellando e appiattendo le molteplici esperienze femminili.
Se da un lato quindi “non ci può essere un movimento femminista di massa per porre fine all’oppressione sessista senza un fronte unito”, dall’altro “il legame duraturo tra le donne può verificarsi solo quando si affrontano le divisioni e vengono prese le misure necessarie per eliminarle”. Il focus va quindi posto proprio su quelle differenze che per anni si è cercato di eliminare o ignorare e che, secondo l’autrice si ritrovano nell’etnia, nella classe sociale, e in generale in tutte le forme di privilegio che creano gerarchie di potere tra le donne. Scegliere il confronto tra donne, anche quando è destabilizzante e sembra minare l’idea romanticizzata di unione è, in realtà, l’unico modo per andare a fondo e costruire una solida sorellanza basata su rispetto e intersezionalità. In questo modo, discutere, essere in disaccordo, mettere in dubbio la propria posizione smantellando gli stereotipi sessisti interiorizzati, diventa una pratica politica e un modo per costruire la vera solidarietà. Secondo bell hooks, infatti, a nutrire la sorellanza dev’essere la “solidarietà politica” che, a differenza del “supporto”, non è occasionale, ma frutto di una scelta di unione, di valori e obiettivi condivisi e di un profondo e difficile lavoro di introspezione e confronto.
La sorellanza proposta da bell hooks, quindi, promuove il recupero del femminile che, nella solidarietà politica, viene valorizzato, ma allo stesso tempo problematizzato per privarlo di retaggi sessisti e discriminatori. Se poi si amplia lo sguardo a un’ottica in cui le caratteristiche tradizionalmente “femminili” sono svincolate dalle norme di genere, la sorellanza può risultare una pratica politica e relazionale inclusiva in grado di coinvolgere le persone al di là di vincoli e costruzioni sociali. In Piccole donne il romanzo di Louisa May Alcott che forse più di ogni altro ha saputo mostrare a generazioni di donne il potere della sorellanza, il rapporto tra le quattro sorelle protagoniste è spesso visto con gli occhi del loro vicino di casa e amico Theodore Laurence, un ragazzo, bianco, ricco e privilegiato. Laurie non ha la mamma e vive circondato da uomini. Pur non conoscendolo, è affascinato e attratto dal mondo femminile e lo sente evidentemente affine a una certa parte di sé che, stringendo amicizia con le sorelle, sceglie di coltivare diventando in un certo senso anch’egli partecipe della sorellanza. In una società portata a presentare le caratteristiche tradizionalmente femminili come inferiori rispetto a quelle maschili, tanto da penalizzarle nelle donne e a negarle negli uomini, la sorellanza può risultare un mezzo per riscoprirle sotto una nuova luce. In un mondo che collega il femminile a rapporti di competizione e rivalità, la sorellanza, così come intesa da hooks, può mostrare una strada alternativa. Se costruita come esplorazione, problematizzazione e impegno, la sorellanza può davvero diventare un punto di forza e una base di partenza per sviluppare un pensiero femminista sfaccettato, approfondito e inclusivo.