Il libro che raccoglie le lettere che Alberto Moravia inviò alla moglie Elsa Morante ha un titolo che riassume la sostanza del loro amore: Quando verrai sarò quasi felice. In quel “quasi” è racchiusa tutta l’incertezza che accompagnò la loro storia tormentata, caratterizzata da una “disperata dedizione”, come disse lo scrittore stesso.
L’amore tra questi due illustri autori ha acquistato nel tempo un valore storico e culturale perché entrambi lo trasformarono in letteratura. Moravia, dal carattere più mondano e comunicativo, conservò le missive che inviava alla moglie ed ebbe modo di parlare della loro relazione anche in pubblico; Morante, molto più riservata, affidò i suoi pensieri alle poche lettere indirizzate ad alcune amiche e al Diario 1938, brevissima documentazione del suo personale punto di vista – si riferisce ai pochi mesi tra gennaio e luglio 1938 – su questa relazione complicata e discontinua.
Tutto comincia una sera di novembre del lontano 1936, Alberto Moravia e Elsa Morante si incontrano a Roma, in una birreria a Piazza Santi Apostoli per merito di Giuseppe Capogrossi. Moravia è molto amico del noto pittore astrattista Capogrossi, da giovani hanno frequentato assieme la Casa d’Arte Bragaglia e la comune passione per le arti figurative alimenta la loro amicizia. Il pittore romano è amico anche della giovane Elsa Morante. È lei, aspirante scrittrice, ad avergli chiesto di organizzare un incontro con il “divo” Moravia, l’enfant prodige della letteratura italiana che a soli diciannove anni, con il grande successo del romanzo Gli indifferenti, è entrato a far parte del gotha degli intellettuali italiani. Da quella notte appassionata, che trascorrono subito insieme, inizia la loro lunga relazione. I due si sposano il 14 aprile 1941, ma la guerra non permette loro di indugiare nei festeggiamenti, anche perché lo scrittore è una figura sgradita al regime. Di quel periodo Moravia parlerà nell’omonimo libro sulla sua vita, curato da Oreste del Buono, con queste parole: “Poco dopo [il matrimonio] mi fu proibito di scrivere affatto sui giornali con o senza pseudonimo. Fu anche dato l’ordine di non farmi lavorare nel cinema”.
La situazione precipita nel 1943. La coppia viene informata che Moravia è sulla lista delle persone da arrestare: “La scelta è tra diventare un adulatore stipendiato oppure avvicinarsi ogni giorno di più al silenzio completo e magari alla prigione,” ricorda l’autore nella biografia Moravia, “Tutto il resto sono chiacchiere e sofismi”. Così, lui e la moglie decidono di scappare verso Napoli, ma non riuscendo a varcare il fronte, si rifugiano nei pressi di Fondi in provincia di Latina, nascondendosi per circa nove mesi in una stalla. I due scrittori parleranno della seconda guerra mondiale e dell’orrore di tutte le guerre molti anni dopo, nei loro romanzi: Morante scrive La Storia, con il sottotitolo “Uno scandalo che dura da diecimila anni”. Moravia affronta i fantasmi del conflitto mondiale raccontando l’agghiacciante episodio vissuto da Cesira e da sua figlia Rosetta in La Ciociara, che nel 1960 viene rappresentato sul grande schermo da Vittorio De Sica.
Nel 1944 l’avanzata della seconda armata americana libera i coniugi Moravia dal loro rifugio di fortuna e, dopo un breve soggiorno a Napoli, tornano a Roma dove riprendono a lavorare e a vivere normalmente. Il ritorno, dal punto di vista professionale, è il migliore possibile: Morante nel 1948 vince il Premio Viareggio per il suo primo romanzo, Menzogna e sortilegio, giudicato dal grande critico ungherese György Lukács “il più grande romanzo italiano moderno” e che lo porta a dire che lei “è più dotata di suo marito”. Moravia è inarrestabile e prolifico, nel 1945 pubblica Agostino, vincendo il premio del Corriere Lombardo, nel 1947 il romanzo La romana eguaglia il successo de Gli indifferenti. Quando Morante, nel 1957, arriva a pubblicare uno dei suoi capolavori, L’isola di Arturo, lui intanto ha scritto altri sei romanzi, tra cui Il conformista, che poi diverrà un film di Bertolucci. La rivalità si insinua tra di loro. In una lettera all’amica Maria Valli, Morante scrive: “Sono contenta che a te e a [Sandro] Penna sia piaciuto un racconto di Alberto […], detto racconto è un plagio (mediocremente riuscito) di un mio breve racconto […]. Lo dico non per rivendicare nulla (ché una milionaria d’idee come me può anche permettersi il lusso di regalare un’idea) – ma semplicemente perché altrimenti fra qualche anno, quando si saran confuse le date, voi estimatori di Alberto e razzisti antifemminili sareste capaci di dire che sono stata io, in quel mio racconto, a plagiare lui!”
I fasti della mondanità che celebrano Morante e Moravia tra i più grandi autori del Novecento non leniscono le incomprensioni che si annidano nel loro rapporto. “Le coppie di letterati sono una peste,” scrive Morante all’amica Valli. Una relazione che fa soffrire entrambi: in una lettera inserita nella raccolta Quando verrai sarò quasi felice, Moravia scrive alla moglie: “Cara Elsa, io ti amo ancora tanto, che basta una tua parola sgarbata per farmi soffrire. Purtroppo c’è in te come un demone che ti spinge a dirmi sempre delle cose spiacevoli. Perché non sarebbe possibile cambiare tutto ciò?”. Ma, come documentato nel libro della giornalista Anna Folli MoranteMoravia, lui la tradisce continuamente, viaggia per allontanarsi dal tetto coniugale, e lei, scrive all’amica Valli, inizia a soffrire di esaurimenti pischici: “Tu mi domandi dell’amore… Esso va male, nel senso che mi pare impossibile d’averlo mai provato e di poterlo provare ancora. Com’era? Che cos’era? Eppure mi sembrava d’esser tanto versata in questa materia, invece ho dimenticato tutto. In compenso il mio libro [Menzogna e sortilegio] è pieno d’amore”.
Ben presto le loro sofferenze si trasformano in prosa e versi. Moravia – che dichiara: “il mio Dio è la letteratura” – concentra il suo dolore in L’amore coniugale e Il disprezzo, Morante dissemina le sue riflessioni nei romanzi e nelle poesie. La nota di copertina di L’amore coniugale recita: “La storia di un duplice fallimento: letterario e erotico” sintetizzando in questo modo il filo rosso che unisce le due storie dello scrittore romano sul rapporto di coppia, caratterizzate da incomprensioni, incomunicabilità, noia, rassegnazione e dalla presenza sullo sfondo del lavoro culturale. Moravia è uomo del suo tempo e come tale è profondamente influenzato dalle teorie di Karl Marx e di Sigmund Freud: il pensiero marxista lo aiuta a esaminare le dinamiche sociali, mentre la psicoanalisi è funzionale alla comprensione del rapporto dell’uomo con la sua interiorità. I suoi studi e il suo talento fanno sì che le sofferenze personali diventino letteratura dal carattere universale, fruibile a tutti. Il giornalista Oreste del Buono nella biografia Moravia, analizzando il rapporto dei protagonisti dei suoi romanzi con le donne, scrive: “L’uomo di Moravia lotta con la donna per arrivare a essere uomo: ma questa lotta è veramente difficile, scabrosa, accanita e il più delle volte si conclude con la sconfitta”.
Le incomprensioni sono laceranti, Morante e Moravia si separano dopo 26 anni, senza mai divorziare. I nuovi amori, troppo ingombranti, non vengono più nascosti. Entrambi si accompagnano a persone spesso più giovani di loro, senza trovare la tanto agognata serenità. Morante si innamora perdutamente del regista Luchino Visconti e a lui dedica i versi dolorosi della poesia Avventura: “A difficili amori io nacqui”. Successivamente, il suo affetto è dedicato al pittore newyorkese Bill Morrow, che muore suicida nel 1962, scatenando la disperazione della scrittrice. Il lutto di Morante per la morte dell’uomo amato, coinvolge anche Moravia che nel 1963 scrive questa struggente lettera contenuta nella raccolta Quando verrai sarò quasi felice: “Da qualche tempo la mia vita ha perduto come si dice il baricentro e se ne va di qua e di là come una trottola impazzita. Spero solo di poter dire in un romanzo che genere di vita è”. Lui intanto conosce la giovanissima Dacia Maraini, che sarà sua compagna fino al 1976.
Elsa Morante muore nel 1985 mentre lui è in Germania per lavoro. Lo scrittore ricorderà così quel momento: “Tornai a Roma in tempo per il funerale […] Nella corsa del carro funebre i fiori, probabilmente male assicurati alla corona, volarono via uno dopo l’altro e andarono a schiacciarsi sull’asfalto: quei fiori che volavano via tra il carro funebre di Elsa e la mia macchina mi fecero un’impressione delirante e simbolica: così era volata via Elsa dalla mia vita”. Moravia morirà 5 anni dopo.
Chi li ha conosciuti personalmente ha detto che, nonostante le incomprensioni, il loro rapporto non si esaurì mai: la stima professionale e un’inconsueta forma d’amore non abbandonò mai questi due grandi e tormentati autori. C’è un periodo del romanzo L’isola di Arturo, il capolavoro della Morante, che riassume il destino di questi amori grandi e sofferenti come il loro: “L’amore vero è così: non ha nessuno scopo e nessuna ragione, e non si sottomette a nessun potere fuorché alla grazia umana”.