L’istinto del gregge è il motore che storicamente muove le dinamiche della società. Un collettivo sentimento di approvazione, come ad esempio un’ovazione, deriva da codici psicologici che indirizzano la massa. D’altronde, Plutarco diceva che “l’hanno chiamata ovazione dal latino ovis (pecora)”. Spesso la gente segue una tendenza solo perché lo fa la maggioranza, crede in qualcosa perché tutti gli altri ci credono. Questo fenomeno si chiama effetto bandwagon, e condiziona la nostra civiltà.
Chiamato anche effetto carrozzone, per la caratteristica tendenza della massa a salire sul carro dei vincitori, l’effetto bandwagon è una sottilissima forma di manipolazione in grado di spostare gli equilibri politici, economici e sociali. Nel campo della politica, il fenomeno si manifesta quando gli elettori associano erroneamente un ampio consenso a un’elevata qualità del partito o del leader in questione. L’esempio più lampante è quello dei sondaggi: quando la percentuale di gradimento di un politico è in crescita, nuovi papabili elettori vengono attirati in quella cerchia. Una tendenza diventa una valanga difficile da arginare, basti pensare al successo del partito di Matteo Salvini nell’ultimo anno. Partito dal 17% delle elezioni del 2018, i dati dei sondaggi (che pure sono aleatori e non ufficiali) hanno gonfiato il suo consenso fino a rendere la Lega potenzialmente il primo partito italiano. Questo anche perché la gente si trova più a suo agio in una schiera vincente ed è confortata da una fittizia sensazione di appartenenza a una maggioranza.
L’Italia è il Paese la cui popolazione è stata fascista per un ventennio, per poi svegliarsi antifascista il giorno della Liberazione, semplicemente perché i vincenti erano diventati vinti, e conveniva stare dall’altra parte. Il consenso odierno di Salvini è frutto di un esodo di voti giunto da altri partiti del centrodestra (Forza Italia e Fratelli d’Italia in primis) e dal M5S: gli elettori di destra hanno abbandonato gli altri gruppi parlamentari per arroccarsi sulle posizioni della Lega, facendo numero, mentre quelli del M5S con tendenze destrorse hanno seguito la direzione del vento, da qualche tempo non più troppo favorevole alla fazione grillina. Questo discorso si riconduce al concetto di argumentum ad populum, ovvero credere che una cosa sia giusta solo perché sostenuta da un gran numero di persone. Ad esempio, gli italiani non si sono svegliati intolleranti da un giorno all’altro, quel sentimento aleggia da sempre nel nostro Paese, ma adesso la gente semplicemente ha percepito il successo delle teorie salviniane sull’immigrazione, rivendicandole come proprie. È dunque una legittimazione velata: “tutti pensano che gli immigrati siano il problema dell’Italia, dunque lo sono anche per me”.
Per sfruttare questo fenomeno, i politici non fanno altro che relazionarsi con il Paese comunicando quello che la gente vuol sentirsi dire. In questo il M5S è un alfiere: non ha una netta posizione su argomenti delicati, ma la cambia a seconda degli umori del popolo. Se conviene elettoralmente dire no allo Ius Soli, allora la direzione sarà quella; se il mondo vira a destra, le politiche dovranno seguire quel percorso; se è anacronistico urlare di uscire dall’euro, quella battaglia sarà accantonata. Anche il Pd non è immune a queste dinamiche. Quando il partito si è accorto del pensiero dominante degli italiani sul tema dell’immigrazione, ha sentito l’esigenza di invertire la rotta e adottare, con il ministro Minniti, politiche più vicine agli ideali di destra che ai suoi. Il cittadino è però volubile, incline a mutare le proprie convinzioni in base a parametri legati alla convenienza. L’effetto bandwagon può issarti sulla cima più alta dell’Olimpo, e poco dopo farti precipitare negli abissi dell’Ade. Bisogna stare attenti a seguire i movimenti a fisarmonica della massa, e assecondarli.
Fuori dalla politica, è il marketing a sfruttare maggiormente l’effetto bandwagon. Spesso capita che le sottomarche siano qualitativamente migliori dei brand più famosi, che però restano più venduti proprio perché il consumatore accetta la scelta collettiva, percependoli come migliori. Il marchio conosciuto e il riconoscimento che a esso è associato danno la percezione di una garanzia, come una sorta di approvazione degli “altri”. È una fidelizzazione che tende a intrappolare il cliente in una rete prestabilita, impedendogli magari di conoscere nuovi prodotti, migliori o più convenienti. Lo stesso vale in altri campi, come nella musica. Se una radio trasmette in continuazione le stesse canzoni, la gente inizierà ad apprezzarle perché arrivano alle orecchie di tutti. Gli artisti sono giudicati da molti in base alla quantità di dischi venduti, non dal valore delle loro opere.
L’effetto bandwagon rientra prepotentemente nell’ambito della psicologia sociale. In tal senso, lo psicologo polacco Solomon Asch ha condotto un particolare esperimento nel 1951. Su otto soggetti presenti in un laboratorio, sette erano complici, all’insaputa dell’unica cavia, e sono stati sottoposti a un esercizio visivo. Su una scheda era stata disegnata una linea, e su un’altra tre linee di diversa dimensione, di cui una uguale a quella della prima scheda. I sette complici erano addestrati per rispondere in maniera errata, influenzando la scelta della cavia. Come risultato, nel 76% dei casi, il soggetto si è conformato alla scelta palesemente sbagliata degli altri sette, mostrando in pieno la tendenza dell’individuo a seguire il gruppo e assecondare la maggioranza.
Negli anni Settanta la sociologa tedesca Elisabeth Noelle-Neumann ha sviluppato una teoria chiamata Spirale del silenzio. In particolare, si concentra sul potere dei mass media di distorcere l’opinione pubblica attraverso un’enfasi eccessiva per le opinioni prevalenti e, al contrario, il potere di zittire quelle minoritarie. Secondo questa teoria, il singolo individuo è disincentivato a mostrare un’opinione contraria a quella della maggioranza per paura dell’isolamento. In questo modo, si crea un’opinione dominante che si estende attraverso una percezione a effetto domino, dove il timore dei singoli soggetti di restare “esclusi” dalla massa contribuisse esso stesso a generare e rafforzare il “sentimento della massa” di cui si vuol far parte.
Questi comportamenti determinano una “mentalità di branco” che può avere conseguenze anche sull’economia. Parlando degli investimenti, il bias è ciò che può generare le bolle speculative. Quando il mercato adocchia una ghiotta opportunità di guadagno, gli investitori si buttano a capofitto in quell’investimento, che in quel momento è “di moda”. Questo fa gonfiare il valore di un’azione o di un bene, fino a quando questo valore non è più sostenibile dal mercato stesso, e quindi la bolla esplode. Basti pensare al fenomeno delle criptovalute, con il Bitcoin che negli ultimi mesi ha avuto un crollo repentino dopo aver raggiunto vette inimmaginabili. Permane dunque, anche nel campo degli investimenti, l’idea che seguire la maggioranza sia una garanzia di successo.
La verità è che non è sempre così: è solo una forma di deferenza nei confronti della massa, un conformismo che non si concretizza in un vantaggio personale. Trattandosi di un meccanismo di adesione a catena, l’effetto bandwagon è ben visibile nello scenario dei social. Spesso la popolarità di un personaggio viene determinata dai movimenti della maggioranza. In questo caso il paradosso è che non si diventa follower del personaggio in sé, ma follower del gregge. Si segue chi è più seguito, in un sistema che si autoalimenta in un circuito chiuso. La gente segue Chiara Ferragni perché è seguita dalla gente, creando un effetto uroboro di cui non si vedono né l’inizio e né la fine. Non a caso i politici di oggi sono una versione estremizzata degli influencer, e il loro obiettivo primario non sembra presentare un programma ma generare una scia di consenso per sfruttare l’effetto carrozzone. D’altronde, come scriveva Marie-Henrie Stendhal ne Il rosso e il nero, “Il pastore cerca sempre di convincere il gregge che gli interessi del bestiame e i suoi sono gli stessi”.