Anna è una bambina olandese di quattro anni. Sa già che gli adulti fanno sesso e che il sesso serve a fare figli. L’ha imparato all’asilo, come tutti i bambini olandesi. Sa anche cosa significa dare un bacio o un abbraccio, sentire le farfalle nello stomaco quando ti piace qualcuno e che cosa la differenzia, dal punto di vista anatomico, dal suo compagno di banco Lucas. In Olanda l’educazione sessuale si comincia così, alla scuola materna, durante la “Febbre di primavera”, una settimana a frequenza obbligatoria organizzata in tutti gli istituti e focalizzata sull’educazione alla sessualità e all’affettività. Il programma prosegue lungo tutto il percorso di scuola dell’obbligo, evolvendo gli argomenti in base all’età degli alunni. Si chiama “Educazione sessuale onnicomprensiva” (Cse) e fa parte delle iniziative dell’Unfpa, l’Agenzia di salute sessuale e riproduttiva delle Nazioni Unite. L’accesso a questo tipo di educazione sessuale è riconosciuto dall’Onu nel novero dei diritti umani ed è stato ratificato da diversi trattati internazionali, dal Comitato sui Diritti del Fanciullo, dalla Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna e dal Comitato sui diritti economici, sociali e culturali. La Cse ha un approccio scientificamente corretto, scevro da ogni giudizio, appropriato all’età del bambino e sensibile alle questioni di genere.
Mettere anche solo lontanamente vicine la parola “sesso” e la parola “bambino” è, per moltissimi, un tabù insuperabile. L’ingenuità e la purezza dei fanciulli sembra essere un valore assoluto da preservare intatto il più a lungo possibile. I bambini saranno anche candidi, ma non sono affatto stupidi. A un certo punto cominciano a farsi delle domande. “Perché quella signora ha la pancia così grossa? Cosa fate tu e la mamma quando chiudete a chiave la porta? Perché mio fratello ha una cosa che gli sporge in mezzo alle gambe e io no?” Sono domande normali, che prima o poi tutti ci siamo fatti. Ma raccontare di angurie nella pancia, cicogne e genitori che giocano alla lotta, serve davvero a qualcosa, oltre a ritardare di qualche tempo l’insorgenza della curiosità dei nostri figli e confonderli ulteriormente? Secondo il rapporto del 2013 “Policies for Sexuality Education in the European Union”, no. Anzi, bugie e oscurantismo hanno soltanto un effetto negativo: “Gli esperti hanno affermato in numerosi studi e rapporti che un’educazione sessuale insufficiente porta a un aumento del tasso di gravidanze in età adolescenziale e a una maggiore quantità di persone che soffrono di Aids e malattie sessualmente trasmissibili.” L’Olanda, ad esempio, dove l’attenzione per l’educazione alla sessualità è viva sin dagli anni Sessanta, ha il più basso tasso di gravidanze in età adolescenziale in Europa. Sempre nello stesso rapporto, si legge che l’Italia ha invece dovuto e deve tuttora fare i conti con l’opposizione della Chiesa. Il nostro Paese è infatti uno dei pochi Stati membri in cui l’educazione sessuale non è obbligatoria, accanto a Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania. All’epoca della stesura del Rapporto, nell’elenco figurava anche il Regno Unito, che però nel 2017 ha provveduto a renderla materia inderogabile in tutte le scuole.
Nel nostro Paese sin dagli anni Settanta sono state avanzate diverse proposte di legge, che però non hanno mai trovato esito favorevole. Nel 2011 Papa Benedetto XVI ha definito la partecipazione a corsi di educazione sessuale e civile “Un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie”. Nonostante Papa Francesco si sia dimostrato cautamente più aperto, intitolando “Sì all’educazione sessuale”un intero paragrafo dell’Esortazione Apostolica “Amoris Laetitia”, ancora oggi i gruppi ultracattolici sono fermamente contrari a ogni tipo di lezione sulla sessualità e sull’affettività nelle scuole, nella convinzione che i bambini vadano tenuti lontani da questo tipo di presunte porcherie. I genitori rivendicano il diritto di poter educare i figli a questi temi come meglio credono, principalmente perché reputano la sessualità una questione privata e un tema troppo delicato per poterlo delegare ad altri. Questa convinzione è estremamente fuorviante. Pensare che la sessualità sia una questione privata non ha alcun fondamento: il sesso non si fa da soli e le scelte educative oscurantiste hanno ripercussioni significative sulla relazione con l’altro. Inoltre, se ogni genitore pretendesse di poter educare i propri figli come gli pare e piace, il sistema scolastico non avrebbe senso di esistere. L’educazione alla sessualità non insegna altro che l’innegabile verità: le persone fanno sesso, si riproducono, hanno peni, vagine, orgasmi, erezioni, esistono le malattie a trasmissione sessuale, esistono i contraccettivi, esiste l’aborto, si può fare sesso con persone dello stesso genere. Tenere nascoste queste cose non serve a nulla, ma anzi, conduce solo al disastro educativo. Dove c’è, l’educazione alla sessualità e all’affettività è spesso affidata a enti esterni, come associazioni culturali e consultori. Questo non significa affatto che venga fatta nel modo corretto, dato che non esistono linee guida precise su come affrontare il tema del sesso in classe e ognuno lo fa come vuole. Tali enti sono liberissimi di predicare l’astinenza, di mortificare gli adolescenti sessualmente attivi, di fare campagne antiabortiste oppure di escludere dai loro discorsi la questione LGBTQ+.
Forse qualcuno ricorderà con un brivido il vergognoso “reportage” Sex & Teens pubblicato nel 2014 sul Fatto Quotidiano. Con un linguaggio piuttosto singolare per delle ragazze di quattordici anni, delle liceali si confidarono sulle loro esperienze sessuali con una Beatrice Borromeo seduta sul pavimento della palestra della scuola. Ne uscì un articolo avvilente, in cui le adolescenti italiane –ovviamente solo femmine, perché il sesso a quanto pare lo fanno da sole – erano dipinte come delle assatanate prive di cervello che la davano al primo che incontravano, ancor meglio se completamente ubriache. Il pezzo ebbe vasta eco e scatenò i soliti “Ma dove andremo a finire, signora mia” e “Io alla loro età io giocavo ancora con le bambole.” Forse la Borromeo – ammesso che tutto sia stato riportato in modo assolutamente fedele, dato che mi risulta difficile credere che la piccola Margherita possa aver urlato “Sì, sì: mi hanno sturata ieri sera” davanti all’intera classe per celebrare la perdita della verginità – prima di fare slut shaming avrebbe potuto chiedersi perché nei giovani ci sia questo vuoto cosmico di affettività e capacità di relazionarsi con il proprio corpo e con quello degli altri. Di certo non è colpa loro se nessuno ha spiegato loro come vivere una vita sessuale sana e serena e come usare un preservativo. L’assenza di educazione sessuale non è priva di conseguenze. In Italia, dal 2007, le vendite di profilattici sono calate del 13%. Le infezioni sessualmente trasmesse, in aumento in tutto il mondo, colpiscono molto duramente anche nel nostro Paese. Dal 2000 a oggi, i casi di sifilide – malattia che fa più pensare a qualche poeta bohèmien ottocentesco che al 2018 – sono cresciuti del 400%, e quelli di gonorrea sono raddoppiati dal 2008 al 2013.
Alla confusione e disinformazione sessuale negli adolescenti si aggiunge il fatto che il porno, che è materiale prodotto da e per gli adulti, è ormai tranquillamente fruibile e fruito persino da bambini delle medie che non hanno nessuna difficoltà ad accedervi tramite uno smartphone. Secondo una ricerca di Alberto Pellai, il 70% dei quattordicenni è già entrato in contatto con materiale pornografico online. Senza nemmeno sapere che cosa sia il glande o l’utero o addirittura da che buco escano i neonati, ragazzini sempre più giovani guardano filmati di gangbang o sesso anale estremo senza alcuna capacità di filtrare ciò che vedono sullo schermo e distinguerlo dalla realtà. Nel porno non c’è niente di male se a guardarlo è un adulto in grado di capire che quella non è la normalità, che quelli sono attori pagati per fare sesso davanti a una telecamera, che tra loro ci sono accordi firmati su quali pratiche mettere in atto e che la realtà è tutta un’altra cosa. Secondo uno studio, l’88% dei filmati pornografici contiene immagini di aggressione fisica, come soffocamento, strozzamento e sculacciate. Non è così assurdo pensare che un bambino di quattordici anni che non ha accesso ad alcuna informazione sul sesso che non sia PornHub, cresca con la convinzione che durante un rapporto sessuale colpire la partner sia la norma. Per questo è fondamentale educare i bambini alla sessualità e all’affettività con programmi che si sforzino di più di qualche frettolosa lezione di biologia, ed è fondamentale farlo il prima possibile. L’Unesco ha sottolineato più volte l’importanza di rendere l’Educazione Sessuale Onnicomprensiva obbligatoria in tutti i Paesi del mondo. È stato dimostrato come la Cse abbia contribuito alla prevenzione dell’Hiv, alla diminuzione delle gravidanze in età adolescenziale e alla parità di genere in molti Stati, compresi quelli africani dove l’Aids è ancora diffusissimo. Conoscere è potere. Potere di non scoprire di essere sieropositivi a diciotto anni senza sapere nemmeno cosa significhi, potere di amare chi si vuole e come si vuole, potere di distinguere il consenso dalla violenza, potere di non restare incinte prima di aver finito il liceo. L’oscurantismo e le pruderie non servono a niente.