Chi può affermare di conoscere il lavoro artistico di Dora Maar è senza dubbio una minoranza rispetto a chi conosce il nome di Pablo Picasso. Eppure i due, oltre a essere stati amanti, facevano parte degli stessi ambienti artistici e hanno collaborato attivamente su molte opere, inclusa la famosa Guernica. Il nome di Picasso continua a rievocare l’immagine di un grande maestro dell’arte contemporanea, mentre di Dora Maar a malapena si conosce la professione, quando non la si ricorda unicamente come la “musa” del pittore spagnolo, la protagonista piangente di molti suoi dipinti.
Come confermano le biografie a opera di Victoria Combalia e Alicia Dujovne, la loro relazione era tossica e non equilibrata e, protraendosi per circa dieci anni, finì col compromettere la carriera di lei nella fotografia. Per Picasso le donne, come è noto, erano un “punto debole”: alla costante ricerca di nuove conquiste, il pittore si circondò di numerose amanti, mantenendo più relazioni aperte alla volta ma al tempo stesso esercitando un controllo costante su chi lo accompagnava. Le relazioni amorose di Picasso, come purtroppo di molti esseri umani, infatti, erano tutte basate su squilibri di potere. E il pittore manipolava il consenso delle proprie amanti, ad esempio prima lusingandole, poi sottraendo la propria attenzione, sminuendo la loro credibilità, o molto spesso mettendole le une contro le altre e in ogni caso frustrando sistematicamente il loro desiderio di esclusività. Con Dora Maar non fece eccezione. E non sorprende che la fama attorno a lei ancora oggi sia ricondotta sistematicamente alla figura ingombrante del compagno. Di questa artista, invece, ci sarebbe molto di più da riscoprire.
Nata a Parigi nel 1907 e cresciuta a Buenos Aires, Henriette Theodora Markovitch era figlia unica di un architetto croato e di un’imprenditrice di moda parigina: un’unione che diede spazio alla crescita di una giovane donna ambiziosa e determinata a diventare un’artista. Dorina (come la chiamavano in famiglia), però, non era tanto interessata alle arti applicate, ai tempi ritenuto l’ambito artistico più congeniale a una donna, ma alla pittura. A vent’anni tornò quindi insieme alla madre a Parigi, per portare avanti gli studi pittorici all’École et Ateliers d’Arts Décoratifs a Parigi, e affermare passo dopo passo il suo talento, di cui si diceva fosse sempre molto consapevole.
Nel corso degli anni Venti, guadagnandosi l’indipendenza da una madre a suo avviso troppo “borghese” e giudicante nei confronti della sua attitudine anticonformista, riuscì a farsi largo in un mondo artistico ancora piuttosto ostile alla presenza femminile. Fu però l’incontro con la fotografia a liberare il suo potenziale espressivo: cominciò a frequentare i primi studi e le prime camere oscure in condivisione con altri fotografi, ottenendo numerose commesse da parte di varie riviste di moda. Adottò quindi il nome d’arte Dora Maar, con cui si fece conoscere in tutta Parigi. A lato dei suoi lavori commerciali, Maar si specializzò nella fotografia di strada, rappresentando la sofferenza di mendicanti e vagabondi che riempivano le città come esito della Grande depressione, e cominciando a elaborare artisticamente – attraverso montaggi e le manipolazioni della pellicola – i soggetti delle foto. Inoltre viaggiò molto attraverso l’Europa, realizzando numerosi scatti in Costa Brava e a Barcellona, oltre a proseguire in studio l’analisi sull’erotismo, un suo grande tema. Ma la svolta avvenne quando, al culmine della notorietà, iniziò a frequentare i circoli dei surrealisti, ottenendo le grazie di Henri Cartier-Bresson, André Breton e Brassaï. Venne quindi ammessa nel gruppo e le sue opere furono esposte nelle mostre dei surrealisti.
Iniziò poi a lavorare a stretto contatto con Man Ray, prestando spesso e volentieri il suo volto per i suoi progetti artistici. Il surrealismo, applicato alla fotografia, permise a Maar di esprimere le proprie visioni, alterando la pellicola per creare fotomontaggi evocativi: con questa tecnica, la fotografia non si limitava più a essere un mezzo per documentare la realtà come era stata considerata fino a quel momento, ma entrava nella dimensione dell’arte.
Nel bel mezzo del fermento di una stagione di successo, nel 1935, Picasso fece il suo ingresso nella sua vita. Il mito vuole che Maar, per attirare l’attenzione del celebre pittore cubista, seduta nel dehor di un café parigino, si fosse esibita in un gioco che consiste nel far passare la lama del coltello velocemente tra le dita. Ciò che è accreditato, invece, è che in quel periodo i due cominciarono a frequentarsi con grande passione. Nonostante l’amore e il rispetto che Picasso millantava nei confronti di Maar, durante quel periodo insieme a lei non acconsentì al divorzio richiesto dalla moglie Ol’ga Chochlov e al tempo stesso continuò a frequentare anche la modella Marie-Thérèse Walter, dividendo il proprio tempo tra le tre donne.
Picasso con Maar condivideva grandi slanci artistici e una notevole intesa intellettuale: si racconta infatti che l’idea per l’opera Guernica fosse arrivata proprio da lei, in quanto politicamente più impegnata. Come ben raccontato nel romanzo Dora e il Minotauro della scrittrice croata Slavenka Drakulić, che ha attinto ai documenti e alle biografie, dopo una fase di cosiddetto “love bombing”, il rapporto prese prestissimo una china discendente che trascinò Maar in un gorgo di continue umiliazioni. A partire da uno dei primi, inquietanti quadri del compagno che la ritraggono, quello che dà il titolo al romanzo: su uno sfondo desolato, una donna soggiace, arresa, sotto il peso di un minotauro, mentre il suo sguardo si perde altrove, al di sopra della scena. Il quadro simboleggia, meglio di tanti altri, il tipo di dinamica che viene a innescarsi all’interno di un rapporto di potere tra una donna e il suo amante prevaricatore: quello che nasce come un amplesso consenziente, innescato dalla passione e dalla gioia, lentamente si trasforma in una violenza, in cui il peso dell’uomo grava sul corpo della donna, la quale si rende improvvisamente conto di aver scoperto il fianco al suo carnefice, e peggio ancora, di essersene innamorata.
A differenza delle biografie, che devono osservare una stretta fedeltà a documenti e fatti, l’opera letteraria di Drakulic restituisce, grazie alla libertà della fiction narrativa, tutta l’ambiguità e al tempo stesso la sofferenza che costella le azioni quotidiane di lento logoramento. Nella sua narrazione, Dora Maar, dietro le continue pressioni di Picasso, fu scoraggiata dal continuare a fotografare, e da artista si trasformò in musa silente: Picasso la dipinse ancora in numerosi ritratti, da quello noto esposto al Museo Picasso di Parigi, fino ad altri che la vedono in lacrime e dolente (“l’incarnazione stessa del dolore” la definì Picasso). I quadri rappresentano tutti una figura femminile snaturata, privata della sua identità e spersonalizzata. Le umiliazioni che Dora Maar subì ne indebolirono la tempra e la determinazione, ferendola nel proprio orgoglio e facendo sì che si privasse della sua stessa voce: la classica dinamica della relazione tossica.
Maar aveva molto da raccontare, ma uscì annientata dall’amore insoddisfatto che provava per Picasso. Solo con l’arrivo di una nuova amante più giovane, Françoise Gilot, la relazione finalmente si interruppe nel 1944. Dora Maar attraversò un lungo periodo di depressione che superò solo grazie a un percorso terapeutico. Riuscì a rimettersi in piedi, ma quella relazione l’aveva ormai prosciugata di qualsiasi estro creativo: abbandonata la macchina fotografica, che non riprese mai più in mano, cominciò a dipingere unicamente per se stessa. Per lei non ci furono più esposizioni e morì nel 1997 a Parigi. I giornali diffusero la notizia in sordina, a volte addirittura in ritardo e tutti i titoli mettevano in evidenza il nome di Picasso, sottolineando la loro relazione, il rapporto tra la musa e l’artista, come se fosse stato questo il maggior merito della vita di Maar.
Oggi come allora le donne continuano a cadere vittime di narcisisti patologici. La storia esemplare di Picasso e Dora Maar ce lo ricorda, e l’evidente differenza di fama che ha poi consacrato il primo e relegato nell’ombra la seconda è solo l’ennesimo torto alla sua memoria. Solo raccontando la storia di Dora Maar e quanto ha subito possiamo provare a offrirle un risarcimento postumo e al tempo stesso mettere in luce i rischi di certe relazioni sbilanciate.