Lo scorso 30 agosto Repubblica ha raccontato la storia di un giovane scrittore trentino di nome Mattia Zadra che ha scelto di utilizzare l’estensione di Google Chrome spoiler protection 2.0 per non incappare più in contenuti riguardanti il ministro degli Interni Matteo Salvini. “Ogni giorno accedi a Facebook o apri Twitter e lui è lì che professa odio in modo così viscerale e martellante. Non ce la facevo più.” Adesso Zadra dice di vivere più serenamente e, soprattutto, di essere felice di non alimentare l’ondata di reazioni e contro-reazioni che normalmente generano ogni uscita pubblica del ministro. Tuttavia penso che poche persone siano esenti dalla tentazione di seguire spasmodicamente Matteo Salvini, qualsiasi cosa dica. Ovviamente adesso che è vice-premier e ministro degli Interni le sue parole hanno un peso ben diverso rispetto a prima ed è giusta l’osservazione di chi nota come sia sbagliato ignorarlo, visto il potere e la carica che ricopre.
E tuttavia perché ci dovrebbe importare qualcosa di quello che pensa di Asia Argento, o di Michele Riondino? Sospetto che la risposta stia nel nome di una delle pagine Facebook più seguite negli anni passati e che oggi, a quanto ne so, vive un po’ di crisi, essendo i post del ministro presenti ovunque: “Leggere i post di Salvini per sentirsi una persona migliore”. Obiettivamente il mondo è davvero complicato e seguire ogni cosa, avere un’opinione su tutto, è una fatica immane. Definirsi per opposizione a una persona che disprezziamo è molto più facile, no?
Il problema è che, con i social network, la situazione ci è sfuggita di mano: Mario Adinolfi, presidente del misconosciuto partito del Popolo della Famiglia, è ormai ignorato persino dal suo pubblico di riferimento, i cattolici del Family Day, ma conosco decine di gay che frequentano compulsivamente il suo profilo social, pronti a scandalizzarsi e a dare eco a ogni sua nuova sparata. Gli screenshot di Fabrizio Bracconieri fanno capolino con una frequenza inquietante sulle nostre timeline con frasi che fanno sospettare forme di disagio psicologico che forse dovremmo evitare di irridere. A scendere: c’è chi si diverte a rilanciare le opinioni dei terrapiattisti, gli appassionati delle mamme pancine e delle loro avventurose idee su concepimento e anticoncezionali, i seguaci del dottor Burioni che va a pescare il peggio degli antivaccinisti, i tifosi di Mentana che blasta la gente.
Viviamo in bolle di comunicazione chiuse alle opinioni degli altri, è vero. Ma con una importante postilla: le nostre bolle ricomprendono anche i peggiori di chi non la pensa come noi, incluso un esercito di analfabeti di cui mai, nella vita reale, ci saremmo mai sognati di attardarci ad ascoltare le opinioni. Eppure lo facciamo.
Il 23 maggio del 2009 il New York Times pubblicò un articolo critico nei confronti di Barack Obama in cui la giornalista Helene Cooper sosteneva che il presidente non fosse esente dall’uso di tutti quegli artifici retorici che i democratici normalmente attribuivano al suo predecessore George W. Bush. In particolare l’accento era sullo straw man argument, un termine che in Italia non esiste ma che si può tradurre come “argomento fantoccio”. Usiamo questo artificio retorico quando, per affermare la bontà di una nostra opinione, la accostiamo per contrapposizione a quella dei nostri oppositori falsandola, ponendola sotto una luce ridicola. Nel caso di Obama questa era la frase incriminata: “Ci sono certi che dicono che i nostri piani sono troppo ambiziosi, che dovremmo tentare di far di meno, non di più. Bene, io dico che le sfide che dobbiamo affrontare sono troppo grandi per essere ignorate.” A un’attenta lettura è evidente che non esistono oppositori nel campo dei repubblicani che veramente sostengono quello che attribuisce loro Obama. Il presidente si è creato un interlocutore di comodo la cui assurdità delle tesi è tanto palese da rendere le affermazioni che gli si contrappongono assolutamente condivisibili. I social network sono una pacchia per gli amanti dello straw man argument: ci dispensano dalla necessità di creare fantocci. Nel mucchio degli utenti Facebook o Twitter, statisticamente c’è sempre qualcuno tanto scemo da rimpiazzarlo.
I danni politici e culturali di questa deriva sono immensi. Navighiamo tra mari di letame dove imperversano screenshot di persone sconosciute che prendono sul serio pagine satiriche con commenti improbabili, tanto assurdi da sembrare falsi, e talvolta pure lo sono perché in questo continuo denigrarci abbiamo iniziato a trollare gli altri con fake che rimbalzano da una parte l’altra, confermandoci vicendevolmente sulle nostre posizioni, visto che gli scemi sono sempre gli altri.
Questo meccanismo perverso che non è nato dentro i social network, ma che certamente ha lì trovato il territorio migliore dove prosperare, ha finito per invadere le piazze del Paese e, mi spiace dirlo, alimentare improbabili carriere politiche dentro quel che è rimasto della sinistra di questo Paese. Laura Boldrini merita tutta la solidarietà possibile per gli attacchi che subisce in quanto donna ed esponente di una sinistra che difende giustamente i diritti dei migranti. Tuttavia, oltre certi limiti, la denuncia degli attacchi subiti sui social network, con la riproposizione ossessiva di post di persone che non sono in grado di andare oltre all’invettiva, alla reazione scomposta della massa che insulta – salvo pentirsene subito dopo, quando la massa non c’è più e dimostrando così tutta l’inconsistenza delle loro posizioni (basta leggere questa intervista per capirlo) – diventa una precisa scelta politica e di comunicazione: definire se stessi e la propria proposta sempre e solo in opposizione a una barbarie contro cui noi tutti ci battiamo, ma che non vorremmo diventasse l’unico e solo argomento di discussione – anche perché altrimenti ci costringerebbe a un abbassamento drammatico del livello del dibattito.
Mi sono sentito a disagio quando, durante l’ultima campagna elettorale, Laura Boldrini ha deciso di andare a Busto Arsizio, dove un gruppo di giovani padani avevano bruciato un fantoccio che la raffigurava, concentrando così il già per altro orrido dibattito pre-voto su una domanda ricattatoria che più o meno suonava così: stai con me o con chi mi vorrebbe bruciare? Sto con Laura Boldrini, ovviamente. Le persone non si bruciano. Ma adesso, per piacere, possiamo parlare d’altro?