Il 22 aprile del 1915, nei pressi di Ypres, una cittadina belga, le truppe francesi e algerine erano trincerate in attesa dell’arrivo di quelle tedesche. Invece dei soldati avversari, a un tratto videro una nuvola verdognola alta circa quattro metri avvicinarsi verso di loro. Si estendeva per sei chilometri e al suo passaggio distrusse ogni cosa. Uccelli, topi e conigli morirono stecchiti; le foglie di tutti gli alberi appassirono, l’erba e il terreno cambiarono colore. Quando la nube li raggiunse, i soldati caddero a terra in preda alle convulsioni, con la bava alla bocca. Morirono per soffocamento pressoché immediato. 5mila uomini in dieci minuti. I tedeschi, una volta finito l’effetto della “nebbia”, avanzarono per perlustrare l’area. Trovarono i cadaveri dei francesi e degli algerini con il volto graffiato come ultimo tentativo di incamerare ossigeno. Molti di loro si erano sparati un colpo prima di venire uccisi da quella strana sostanza. Nel terriccio, migliaia di insetti morti, così come i cavalli, le vacche e i polli nelle stalle. Quello fu il primo attacco chimico compiuto dall’essere umano durante una guerra, il battesimo delle armi di distruzione di massa, ma questa è la storia della donna che fino all’ultimo tentò di impedire al marito che tutto ciò avvenisse.
Clara Immerwahr era una ragazza con la passione per la scienza. Figlia di un chimico, nacque nel 1870 a Polkendorff, un piccolo paese prussiano dove non esisteva nemmeno una scuola femminile. Studiò così con un insegnante privato, fino a quando la famiglia non si trasferì in città, a Breslau. Lì prese il diploma e tentò di accedere all’università, che però all’epoca non prevedeva l’iscrizione delle donne. A loro erano riservati corsi di ricamo e cucito o un’educazione tesa a sviluppare le qualità ritenute utili per rivestire in maniera socialmente soddisfacente il ruolo di moglie e di madre. In quei giorni, in una sala da ballo, incontrò un ragazzo di nome Fritz Haber, che si invaghì perdutamente di lei e le chiese subito di sposarlo. Lei rifiutò, voleva prima studiare e diventare indipendente. Non potendo frequentare i corsi accademici in qualità di studente, partecipò allora come uditrice. Chiese diversi permessi ai professori e al ministero per potersi laureare e dopo diversi anni ottenne una risposta positiva, nel 1898. Due anni dopo fu la prima donna a conseguire un dottorato in chimica in Germania. Realizzò con la supervisione del professore Richard Abegg, chimico famoso per aver posto le basi della “regola dell’ottetto”, una tesi dal titolo “Contributi sulla solubilità dei sali poco solubili di mercurio, rame, piombo, cadmio e zinco” e durante il discorso di ringraziamento alla cerimonia per il dottorato disse: “Non insegnerò mai, né oralmente né per iscritto, qualcosa che sia contrario a ciò in cui credo. Perseguirò la verità e lavorerò sempre per far avanzare la dignità della scienza”. Abegg stimava Immerwahr e la scelse non solo come sua assistente, ma come coautrice di alcuni articoli scientifici. Insieme pubblicarono uno studio sulla dissociazione del fluoruro d’argento e un altro sulle emulsioni di bromuro d’argento.
Nel 1901, durante un congresso della Società Tedesca di Elettrochimica, incontrò di nuovo Fritz Haber e stavolta accettò la sua proposta: si sposarono lo stesso anno. Immerwahr non sapeva che in quell’esatto momento la sua carriera sarebbe giunta al termine. Haber, infatti, dapprima la illuse facendole intendere di lavorare in tandem, un po’ come stavano facendo nello stesso periodo Marie e Pierre Curie, o Albert Einstein e Mileva Marić. Non andò così. Ben presto Haber le assegnò compiti di secondo piano, trasformandola in una sorta di segretaria. Quando nel 1902 nacque il loro primo e unico figlio, Hermann, gli spazi di Immerwahr si ridussero ulteriormente, con Haber che le intimò di mollare le sue ricerche per dedicarsi esclusivamente alle faccende domestiche e alla crescita del bambino. Immerwahr decise di non abbattersi e iniziò a creare progetti come attivista per i diritti delle donne. Tenne allora un corso chiamato “Fisica e Chimica in famiglia” in diversi istituti femminili per sensibilizzare le ragazze sulle ambizioni e sul ruolo da occupare nella società, spingendole alla passione per la scienza e alla ricerca di una propria indipendenza. Nel frattempo scriveva lettere alle sue amicizie in cui si lamentava della personalità asfissiante di Haber, rivelatasi dopo il matrimonio: “La gioia che ne ho tratto è stata breve, e la ragione principale è stata il modo opprimente di Fritz di mettersi al primo posto nella nostra casa e nel nostro matrimonio, così che una personalità meno spietata e sicura di sé fosse semplicemente distrutta”.
Immerwahr riuscì soltanto in un’occasione a collaborare con il marito, per la realizzazione del volume Thermodynamics of Technical Gas Reactions, in cui si occupò attivamente delle ricerche e della stesura finale. Uscito nel 1905, il libro però non solo non vide Immerwahr citata come coautrice, ma venne menzionata solo nei ringraziamenti per la “silenziosa collaborazione”. Il marito ottenne intanto prestigiosi successi, grazie soprattutto alla collaborazione con Carl Bosch per gli studi sulla sintesi dell’ammoniaca, arrivando a diventare nel 1911 direttore della Società Kaiser Wilhelm. La salute cagionevole del figlio fece precipitare ancor di più Immerwahr nel baratro della depressione, privata del suo lavoro e intrappolata in un matrimonio disfunzionale.
Quando esplose la prima guerra mondiale, si instaurò in Haber un sentimento patriottico che lo portò ad arruolarsi e a collaborare attivamente nelle scelte sulle strategie belliche da adottare. Cercò di convincere i generali a strutturare le operazioni sulla base di una guerra chimica, considerando gli ultimi suoi esperimenti sull’uso dei gas cloro e fosgene come armi letali. Immerwahr assistette personalmente a tutte le fasi. La prima, quella sugli animali, la inorridì. Il gas sprigionato uccise le bestie dopo spasmi drammatici ed enormi sofferenze. La seconda prova fu sul campo. Un giorno Haber radunò alcuni soldati su una collina per mostrare il gas e spiegare come schivarlo. Soltanto che il vento cambiò direzione e andò verso di lui, in sella al suo cavallo. Haber riuscì a evitare la nube per miracolo, ma non ci riuscì un suo aiutante, che morì sotto gli occhi di Immerwahr come riportato nel superbo saggio di Benjamin Labatut Quando abbiamo smesso di capire il mondo: “Lo vide morire per terra, contorcendosi come fosse stato invaso da un esercito di formiche affamate”.
Immerwahr supplicò il marito di non utilizzare i gas durante le battaglie, ma lui aveva ormai preso la sua decisione. Lei lo accusò di aver corrotto la scienza al fine di creare un metodo di sterminio di massa. Le sue parole non sortirono alcun effetto e Haber partì per Ypres, nelle fiandre, dove realizzò il primo caso sul fronte occidentale di attacco chimico su larga scala, durante la prima parte della famosa seconda battaglia di Ypres, a Gravenstafel, in cui morirono nel giro di dieci minuti circa 5mila soldati algerini e francesi. La prima, combattuta l’anno precedente, vide la perdita della quasi totalità delle truppe tedesche. Tra i pochi a salvarsi ci fu un ragazzo chiamato dagli altri soldati “Adi”, che ricevette una Croce di Ferro di I Classe e passò gli altri anni della guerra lontano dal fronte, giocando con il suo cane Fuchsl e dipingendo acquerelli blu. Haber fu premiato per lo sterminio dei soldati nemici e quando tornò a casa festeggiò insieme ai suoi amici e ai generali. Per tutta la serata Immerwahr cercò di parlare con lui e mostrargli il suo disgusto e il senso di orrore per quanto era avvenuto. Haber però era più interessato ai suoi ospiti. La festa durò fino all’alba. Alle prime luci del mattino Immerwahr uscì in giardino a piedi scalzi con in mano la pistola di servizio del marito. Si sparò un colpo al petto e morì tra le braccia del figlio tredicenne. Haber non partecipò al funerale, partì subito per un’altra missione. Il giorno dopo, su un quotidiano locale, la notizia venne riportata così: “La moglie del dottor Haber, che al momento è impegnato al fronte, si è sparata ponendo fine alla sua vita. Ignoti i motivi del suo gesto”. Immerwahr, che per prima ottenne un dottorato in tutta la Germania e che scrisse articoli scientifici d’alto livello, non meritò di essere chiamata per nome nemmeno in occasione della sua morte, venendo catalogata ancora una volta come “la moglie di”.
Al termine della guerra, le forze dell’Intesa dichiararono Haber come criminale di guerra. Si rifugiò in Svizzera e lì gli venne data la notizia della vittoria del Premio Nobel per la chimica per gli studi sulla produzione di ammoniaca dall’azoto e dall’idrogeno, una scoperta sensazionale che rivoluzionò l’uso dei fertilizzanti e quindi l’intero processo agricolo e alimentare del pianeta, contribuendo al boom economico e demografico del Novecento. A tutt’oggi, più della metà della popolazione mondiale mangia gli alimenti coltivati grazie alla sua intuizione, ma al tempo stesso abbiamo compromesso si direbbe irrimediabilmente il nostro ecosistema. Haber è stato uno dei principali carnefici della storia recente, non soltanto per le armi chimiche, da lui personalmente richieste e utilizzate in battaglia, ma anche per un’altra invenzione portata a termine negli anni successivi: lo Zyklon B, un gas pesticida usato all’inizio per le disinfestazioni di pidocchi, scarafaggi e topi, ma successivamente sfruttato dai nazisti nelle camere a gas.
Quel ragazzo della prima battaglia di Ypres, Adi, ormai conosciuto al mondo come Adolf Hitler, promulgò le leggi razziali e Haber, da anni tornato in Germania, fu costretto a fuggire in Gran Bretagna, dove però non lo accolsero a braccia aperte, ricordando il suo ruolo durante la grande guerra. Decise allora di pianificare un trasferimento in Palestina. Nel frattempo, il suo conoscente Max Planck, altro premio Nobel e iniziatore della fisica quantistica, riuscì a ottenere un incontro col Führer in persona per cercare di farlo riabilitare. Gli parlò delle sue invenzioni e di quanto avesse fatto per la Germania durante la prima guerra mondiale, ma Hitler tornò Adi quando sentì pronunciare la parola Ypres, si innervosì e rimproverò Planck, pronunciando la famosa frase: “Se la scienza non può fare a meno degli ebrei, noi in pochi anni faremo a meno della scienza”. Impedì così ad Haber qualsiasi ritorno in Germania e quest’ultimo morì a Basilea nel 1934 per un attacco cardiaco, mentre in viaggio verso la Palestina. Alcuni dei suoi parenti morirono nei campi di concentramento sotto una pioggia di Zyklon B.
Le ceneri di Clara Immerwahr, sepolte diciannove anni prima a Berlino, dopo la morte del marito furono trasferite a Basilea, come se il suo destino, anche post mortem, fosse quello di stare accanto a quell’uomo che le aveva distrutto la vita, senza alcuna libertà di scelta. A causa sua Immerwahr si trovò costretta a sacrificare la carriera, fino al limite estremo di fronte alla sua tanto amata scienza, calpestata in nome della guerra, della sopraffazione e della morte. Le catene di quel marito le impedirono di diventare una chimica di successo, nonostante il suo conquistato e brillante inizio di carriera. Nonostante tutto resterà impresso il suo esempio per tutte le donne che dopo di lei entreranno nelle fila della scienza. Il figlio Hermann si trasferì negli Stati Uniti, dove si suicidò nel 1946, a quarantaquattro anni, la stessa età che aveva la madre quando si tolse la vita.
In cover: una scena dal film “Clara Immerwahr”, (2014)