La natura è uno dei temi centrali ne Il signore degli anelli. Il libro è talmente impregnato dell’ambiente in cui i personaggi si muovono che alcune pagine sembrano profumare di muschio, mentre altre scivolano tra le dita, delicate come fossero i petali dei fiori di Lothlórien. Foglie e rami sembrano allungarsi fuori dalle pagine, per catturarci e trascinarci in un paesaggio rigoglioso. Ne Il signore degli anelli ci sono 64 piante selvatiche realmente esistenti e molte altre inventate dall’autore. La flora è parte del racconto in un modo vivo e pulsante, senza scadere mai in un noioso elenco botanico.
Tolkien non ci dice cosa è la natura, ce la mostra. Una sensazione comune per molti dei suoi lettori è quella di aver camminato davvero nei luoghi descritti dallo scrittore, tanto che quando ne parlano sembrano attingere alla loro memoria personale più che all’immaginazione. Ne Il signore degli anelli la ciclicità dei giorni e delle stagioni segue quella del nostro mondo e ogni ora è caratterizzata da una diversa luce e calore, così come le fasi lunari corrispondono ai codici astrologici. Nella Terra di Mezzo, reale e irreale si mischiano in rapporti coerenti, tanto che le piante inventate non ci sembrano aliene, ma familiari, in perfetta armonia con l’ecosistema dove vivono.
Quando Sam, Merry, Pipino e Frodo si allontanano dalla Contea, lasciandosi alle spalle la tranquillità domestica, scoprono un mondo selvaggio con cui confrontarsi. Gli altri hobbit che li vedono allontanarsi disapprovano scuotendo la testa, perché gli abitanti della Contea sono notoriamente sedentari e amanti delle cose semplici che vivono con terrore l’idea di avventurarsi oltre i confini sicuri della loro terra. Le “tane” che abitano sono comode e accoglienti, ma come tutte le comfort zone tendono ad assopire e indebolire chi vi si trattiene troppo a lungo. Sam, Merry, Pipino e Frodo sono hobbit singolari destinati a lasciarsele alle spalle e a vivere esperienze al di fuori della società rassicurante in cui sono cresciuti.
Il viaggio dei quattro hobbit ci permette di conoscere la geografia della Terra di Mezzo: se la Contea con i suoi giardini e gli orti curati è la rappresentazione della visione bucolica della natura, oltre il suo confine segnato dal fiume Brandivino si estende un mondo di foreste, paludi e montagne. I sentieri che attraversano questi luoghi sono spesso faticosi e inospitali, ma solo percorrendoli i viaggiatori scoprono un nuovo tipo di bellezza. È quella che gli anglosassoni chiamano wilderness, parola che non indica soltanto un luogo dove la natura segue libera il suo corso, ma anche l’attrazione spirituale verso la natura autentica nel suo stato selvaggio.
Leggendo Il signore degli anelli siamo condotti all’interno di un ambiente governato da forze primordiali: albe e tramonti hanno una luce più intensa, si respira a pieni polmoni un’aria pura e i sensi si espandono riconnettendoci con una parte di noi che spesso abbiamo dimenticato di avere. All’improvviso il superfluo si mostra nella sua vera natura di spreco e ingombro. Colin Wilson, nel suo libro Tree by Tolkien, ha scritto che “Il signore degli anelli è una critica alla civiltà tecnologica. Afferma i propri valori e cerca di persuadere il lettore che sono preferibili a quelli correnti. È al tempo stesso un attacco al mondo moderno, un credo e un manifesto”.
Quando nel 1954 fu pubblicato il primo volume de Il signore degli anelli fu bollato da molti critici come un libro troppo lontano dal sentire comune di un’epoca dominata dal consumismo del boom economico. Nell’immaginario collettivo il mondo delle foreste e della natura incontaminata doveva farsi da parte per le strade e le città in espansione. Tolkien non si riconosceva in quella mentalità, così si defilò dal suo presente e suggerì un’alternativa: se tutti desideravano possedere un automobile, lui avrebbe scritto una storia ambientata in un mondo senza autostrade, un mondo dove uno stregone poteva cavalcare su intatti prati verdi a dorso di un destriero di nome Ombromanto. I critici più importanti lo derisero per questo, mossi dalla convinzione che i lettori moderni volessero leggere storie realistiche e non avventure ambientate in universi di finzione. Il successo che l’opera di Tolkien conosce ormai da tre generazioni ha smentito le loro previsioni.
I lettori de Il signore degli anelli riescono a sentire il profumo della resina fresca che emana dalle pagine. Migliaia di alberi e forme di vita diventano protagonisti attraverso lo sguardo di Frodo che, appoggiando la mano sulla corteccia di un albero, avverte “la vita che scorre. Il legno in se stesso, ed il suo contatto, gli procurano una gioia diversa da quella del falegname o della guardia forestale: è il piacere dell’albero stesso che vive e che penetra in lui”. Quando lui e Sam entreranno nel regno di Mordor per distruggere l’anello, vagheranno per giorni in terre maledette, sfruttate, impoverite e rese malvagie dall’opera di corruzione di Sauron. La lontananza dagli alberi procura sofferenza fisica negli hobbit che, a ogni passo nella terra devastata dal Signore Oscuro, provano grande tristezza e oppressione. Frodo, sempre più vittima del potere dell’anello, trova sollievo nel ricordo dei ruscelli, dei colli erbosi e delle grandi querce, mentre il loro viaggio prosegue faticosamente in una “terra contaminata e malata oltre ogni cura”.
Si può vedere un parallelo inquietante tra le regioni della Terra di Mezzo sottoposte dalla volontà di Sauron e la desolazione dei paesaggi prodotti dalla civiltà industriale. I fumi neri di Mordor ricordano le ciminiere delle acciaierie pesanti, così come la sua aria metallica è quella delle metropoli contemporanee. Gli alberi malati deperiscono tanto a Mordor quanto nel nostro pianeta, lasciando la terra spoglia e arida e condannando gli abitanti a una lenta decadenza fisica e morale.
“Mordor è Wigan, o Sheffield,” ha scritto Tolkien in una lettera, facendo riferimento a una delle tante città britanniche che in epoca vittoriana erano state snaturate in nome del progresso industriale. Sheffield era, ed è, un insieme disordinato di complessi industriali e quartieri operai sovrappopolati, un esempio concreto di fallimento urbanistico. Il fiume Sheaf, che la attraversa e a cui la città deve il suo nome, è reso putrido da decenni di sversamenti. Durante le alluvioni del 2007 le strade di Sheffield furono invase dal fango, oltre che dai detriti e dai rifiuti che richiesero settimane per essere raccolti. Molti edifici di rilievo, come il centro commerciale di Meadowhall e lo stadio dello Sheffield Wednesday, si riempirono come cassoni affondati nel fango. L’alluvione dimostrò in modo incontrovertibile che si era costruito troppo e male. Questo avvenimento avrebbe dovuto servire da monito, ma non insegnò nulla. Come spesso accade, l’emotività collettiva dura qualche giorno, poi tutto viene velocemente dimenticato senza che la catastrofe ambientale abbia prodotto cambiamenti drastici nell’azione umana.
Come nel mondo contemporaneo, anche nella Terra di Mezzo i sovrani sono guidati dall’inerzia e dalla volontà di rimandare il più a lungo possibile la soluzione di minacce percepite come lontane. Chi lancia l’allarme e si impegna a smuovere le coscienze è spesso allontanato come un seccatura o, nel peggiore dei casi, un folle. Lo stregone Gandalf, che viaggia di corte in corte per lanciare l’allarme sull’azione di Sauron e scuotere le persone alla mobilitazione per la difesa della Terra di Mezzo, è considerato dall’establishment un disturbatore di quiete, un “uccello del malaugurio”. I suoi appelli cadono nel vuoto per anni e solo quando la minaccia del regno di Mordor sarà a un passo dal distruggere tutti i popoli liberi, questi si uniranno per combattere Sauron e il male che incarna.
Come nell’universo nato dalla fantasia di Tolkien, anche il nostro Pianeta ha bisogno di un’alleanza di popoli e generazioni per salvare il futuro dell’uomo. La voce dello stregone Gandalf sembra parlare direttamente al nostro presente quando ci ricorda che “il nostro compito è fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo di noi terra sana e pulita da coltivare”.