E se smettessimo di confondere il caos con l’anarchia?
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Il termine anarchia deriva dal greco antico “ἀν, + ἀρχή”, e significa mancanza, rifiuto o assenza del potere. Anarchia, e il suo derivato anarchismo (il movimento che sostiene e auspica l’anarchia) sono dunque sinonimi, nella loro accezione storica, dell’opposizione all’autorità e al potere.

Sebbene la teoria anarchica si conosca molto poco, è continuamente bistrattata e disprezzata, criticata e adoperata impropriamente ignorando il contributo che ha dato nell’affermazione, anche se solo in parte, di principi e valori come libertà e uguaglianza. In realtà bisogna mettere in chiaro che non esiste un vero e proprio corpus codificato e condiviso dal punto di vista teorico, e che quindi è molto più facile definirla per contrasto con le altre ideologie politiche o considerarla di volta in volta sotto un punto di vista eminentemente storico. L’anarchismo è complesso, proteiforme, in alcuni casi contraddittorio, e ha diverse anime, ma sono ugualmente individuabili dogmi e principi che rispetta e tutela in modo assoluto. È essenziale chiarire questo punto, perché al contrario del pregiudizio diffuso, l’anarchismo non lascia nulla al caso ma si adopera attraverso i suoi principi nella costruzione di una società nuova ed etica, retta da valori libertari ed egualitari, e basata, questo è importante, sull’autodeterminazione e sull’autogestione dei singoli. Per questo motivo l’anarchia non ha niente a che fare con il caos ma è anzi la sua antitesi, un metodo preciso e rigoroso.  La “A” inscritta nella “O” – il simbolo dell’anarchia – può essere considerata come un’ulteriore conferma di questa astrazione di fondo. Deriva infatti da una frase, pronunciata dal politico francese Pierre-Joseph Proudhon, (il primo ad autodichiararsi anarchico) che già nella prima metà del Diciannovesimo secolo, nell’opera Che cos’è la proprietà? (in originale What is Property? An Inquiry into the Principle of Right and of Government), affermava: “L’anarchie c’est l’ordre sans le pouvoir”, ovvero “L’anarchia è ordine senza potere”. Il senso dell’anarchia è quello di ritrovare l’ordine normale delle cose e della vita che si è perduto, o meglio, che è stato stravolto, nel tempo a causa dei soprusi e dell’oppressione dei più forti sui più deboli. Il suo fine è la produzione di un cambiamento sociale attraverso pratiche che rendano il mondo più giusto e armonico, senza che vi siano un alto e un basso, un ricco e un povero, un dominante e un dominato.

Pierre-Joseph Proudhon

Per quel che concerne l’organizzazione sociale, l’anarchia prevede che individui e collettività scelgano di relazionarsi tra loro in modo non gerarchico e non-autoritario, combattendo le gerarchie verticali di sfruttamento, nelle quali Proudhon individua l’origine dei mali, delle guerre, e delle sofferenze e delle morti ingiustificate, e alle quali oppone un modello societario armonico e orizzontale. Per l’anarchia lo stato è un’aberrazione in quanto non ha nulla di “sociale” perché mira a preservare solo se stesso utilizzando i suoi cittadini in funzione del proprio mantenimento. A differenza di altre forme di organizzazione sociale, quella anarchica ha uno spettro valoriale molto ampio, e prende in oggetto non solo la gestione economica e politica della società ma l’intera vita umana e gli individui, dei quali esalta la singolarità e le peculiarità. In effetti, quando si parla di egualitarismo anarchico non bisogna confonderlo con l’egualitarismo così come lo abbiamo conosciuto attraverso la predicazione marxista, in cui l’uguaglianza è appiattimento e rende impossibile distinguere il singolo dalla massa. Possiamo considerare l’egualitarismo anarchico come una sorta di uguaglianza dei diversi che mira ad esaltare la diversità e la specificità di ciascuno. Altri capisaldi del pensiero anarchico sono la libertà dallo sfruttamento, il rifiuto dello stato e delle frontiere (“Senza frontiere non ci sono stranieri”, è un altro slogan anarchico) e del potere in ogni sua forma istituzionale e in ogni sua struttura repressiva.

Una prima definizione in chiave politica del termine anarchia la si deve al filosofo inglese William Godwin (padre di Mary Shelley) che la espone nella sua opera Giustizia politica (Enquiry Concerning Political Justice), in cui contrappone i due modelli della società naturale e dello stato. Il primo movimento anarchico della storia, invece, è quasi coevo, dal momento che risale al 1792 con i cosiddetti Enragés (“gli arrabbiati”), nel corso della Rivoluzione Francese. Si trattava di un gruppo di rivoluzionari radicali e intellettuali popolari della classe dei piccoli proprietari terrieri che sostenevano l’uguaglianza civile, politica e sociale, richiedendo la tassazione delle materie prime, la requisizione degli approvvigionamenti di grano e le tasse per i ricchi. Inoltre il loro scopo era quello di sostenere una seconda rivoluzione a carattere sociale e per questa loro attitudine anti governativa e anti autoritaria si guadagnarono l’appellativo di anarchici.

William Godwin

Tra il 1890 e il 1894 un gruppo di anarchici e socialisti, perlopiù italiani, partirono alla volta del Brasile dove fondarono una comune nel tentativo di dare vita a una convivenza che si reggesse secondo i principi del comunismo anarchico. Colonia Cecilia arrivò ad accogliere fino a duecentocinquanta persone e, a differenza di quello che si penserebbe oggi, non era un coacervo di disordine e trasgressione tout-court, ma un luogo in cui venivano praticati la parità di genere, l’abolizione della proprietà privata e il libero amore. Costituita da poche case di legno, magazzini, stalle, e un refettorio comune, si reggeva unicamente sull’autoproduzione. I suoi abitanti coltivavano la terra, oppure erano impiegati nella fabbrica di calzature o nella falegnameria che avevano fondato. La comune aveva anche una scuola, ovviamente ispirata ai precetti della pedagogia libertaria. Purtroppo, le cose cominciarono a precipitare per via dei rapporti della comunità con gli immigrati polacchi cattolici, per un’epidemia che uccise anche dei bambini e per via della miseria e della povertà materiale. Sicuramente non aiutò anche la fuga del tesoriere con la cassa della comunità.

In Italia, a diffondere l’anarchismo, che inizialmente prese piede soprattutto tra gli ex garibaldini e gli ex mazziniani, sono stati principalmente Errico Malatesta e Carlo Pisacane. Il primo fu protagonista di diverse insurrezioni, a partire dai moti beneventani del 1877. Più volte incarcerato per associazione sovversiva, trascorse gran parte della sua vita in carcere o in esilio. Il secondo sostenne la priorità della questione sociale su quella politica. In realtà, esistono diversi tipi di anarchismo: da quello individualista di Max Stirner a quello sociale cui fanno capo, oltre al già citato Proudhon, Michail Bakunin e Petr Kropotkin. Sono stati definiti anarchici anche gli scrittori Lev Tolstoj e Henry David Thoreau, quest’ultimo considerato il padre della disobbedienza civile.

Centuria Errico Malatesta (Batallón de la Muerte), Barcellona, 1937
Henry David Thoreau

Esistono poi gli anarco-sindacalisti, che fanno capo a quel filone che nell’arco della sua storia ha dato origine alle sfumature più diverse e che si è battuto affinché fossero i lavoratori a gestire le strutture politiche, economiche e sociali in modo egualitario e non-gerarchico. Un esempio applicato di come il metodo organizzativo sostenuto dalla teoria anarchica possa essere non solo realizzabile ma anche produrre qualcosa di veramente vicino alla giustizia sociale è quello che è accaduto 25 anni fa nello Stato messicano del Chiapas, quando L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale fece irruzione nel panorama nazionale e internazionale occupando alcuni comuni. Era l’inizio della rivoluzione zapatista che vide questi ultimi ribellarsi a un Paese in cui i popoli indigeni non avevano nessuna voce in capitolo nelle scelte che riguardavano le loro terre, le loro vite e il loro futuro. Dopo più di dieci giorni di combattimenti il governo ordinò un cessate il fuoco e fu proprio in quel momento che avvenne la svolta. L’esercito zapatista si trasformò in un movimento politico, inevitabilmente dotato di una struttura gerarchica, ma attivo ancora oggi nello spingere indigeni e contadini a sollevarsi contro il governo centrale, a fondare villaggi che si reggono su processi decisionali collettivi e orizzontali in cui si applicano principi non capitalistici e in cui ogni ogni aspetto della vita civile è gestito da giunte civili rinnovate costantemente.

Quello che è a tutti gli effetti tra gli esperimenti più longevi di autogestione collettiva, oltre che un laboratorio rivoluzionario a cielo aperto, continua a espandere ancora oggi le comunità autonome, restando una pietra miliare di gestione anarchica che promuove la democrazia, l’uguaglianza e la responsabilizzazione dei singoli individui. L’Ezln, infatti, non ha mai combattuto per guadagnare l’indipendenza, ma per riappropriarsi di un territorio e avere riconosciuti i diritti civili, sociali e di autodeterminazione delle popolazioni indigene che vi abitano. D’altronde l’anarchismo, a differenza di tutte le altre ideologie, non vuole conquistare il potere, ma eliminarlo. Sbriciolarlo e ridistribuirlo tra le persone. Anche l’esperienza curda interrotta lo scorso 9 ottobre dell’esercito turco nella Siria del Nord può essere considerato un altro esempio di sperimentazione sociale e politica di stampo anarchico. Il Rojava ha promosso e portato avanti una rivoluzione politica e sociale complessa e resa ancora più difficile dal momento di assedio e di guerra. Inizialmente la sfida anarchica nel Rojava è cominciata come rivolta contro il regime di Assad, ma la guerra civile si è poi estesa con l’intervento di potenze regionali e internazionali. I cantoni curdi in territorio siriano hanno cominciato ad adoperarsi per il confederalismo democratico, una nuova forma di governo libertaria, orizzontale, antiautoritaria, laica, femminista e anche ecologista. Per cinque anni i curdi hanno portato avanti una delle più moderne rivoluzioni contro il capitalismo attraverso la lotta popolare e quella delle donne contro il patriarcato.

Subcomandante Marcos
Assemblea zapatista

L’anarchia dunque non è soltanto l’antitesi del caos e della mancanza di regole ma meriterebbe di essere conosciuta meglio e di avere più spazio. Il modo più semplice per definirla è probabilmente quello di dottrina della libertà, un modello societario che propugna la rivoluzione nella misura in cui abbatte il potere costituito per garantire e tutelare i diritti di ogni individuo. È un pensiero legato a doppio filo all’azione. È concretezza radicata, nella nostra storia e nel mondo, un modo di essere e di vivere che capovolge quanto è stabilito e lo trasforma. A prescindere da come alcuni di questi esperimenti sono andati a finire, o di ciò che saranno quelli che stanno nascendo adesso, segnano una tappa fondamentale verso l’emancipazione di intere collettività.

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