L’immagine dei musei e delle istituzioni culturali è notevolmente cambiata nell’ultimo decennio. A dimostrarlo non sono solo la nascita di nuovi spazi espositivi o l’introduzione delle installazioni multimediali ma anche le scelte nella programmazione delle mostre. In particolare c’è stata una riscoperta di opere realizzate da donne in epoca rinascimentale e barocca, diventate sempre più presenti nei musei. Per molto tempo ignorate, non menzionate e messe in secondo piano rispetto ai loro colleghi uomini, i grandi maestri dell’arte, le artiste stanno ottenendo solo negli ultimi anni il loro meritato riconoscimento. Un cambiamento in linea con il crescente interesse dimostrato dagli storici dell’arte e dai visitatori per la pittura a firma femminile del XVI e XVII secolo.
Il Museo del Prado di Madrid per celebrare i suoi 200 anni ha organizzato una serie eventi speciali tra cui una mostra dedicata a due artiste italiane dal titolo: “Historia de dos pintoras: Sofonisba Anguissola y Lavinia Fontana”. La curatrice Leticia Ruiz ha spiegato che le sessantacinque opere che compongono il percorso espositivo mettono in luce il grande talento di due pittrici dimenticate del Cinquecento italiano. Entrambe specializzate nel ritratto, Sofonisba Anguissola – che fu elogiata ne Le vite dal Vasari – e Lavinia Fontana ebbero una carriera artistica ricca e ottennero fama e riconoscimento tra i loro contemporanei. Sfidando i pregiudizi di un’epoca in cui lo studio dell’arte per le donne non era finalizzato a diventare un mestiere, le due pittrici sono riuscite a imporsi su panorama artistico prettamente maschile per la qualità e l’originalità delle loro opere.
Sofonisba Anguissola nacque nel 1532 in una numerosa famiglia di nobili origini di Cremona e iniziò giovanissima a ritrarre i suoi familiari e a dipingere i suoi primi autoritratti, un genere quest’ultimo non così in voga tra i suoi contemporanei e che contribuì a riportare in auge. L’artista cremonese si ritrasse anche nell’atto di dipingere un’opera devozionale (“Autoritratto al cavalletto”, 1556-1565 ca.) con uno sguardo vivo e consapevole: un atto di autoaffermazione e che mostra il grande amore per il suo lavoro. La sua carriera artistica ebbe una svolta nel 1559 quando lasciò l’Italia e divenne la dama di compagnia di Elisabetta de Valois, terza moglie del re Filippo II di Spagna; questo ruolo le permise di realizzare diversi ritratti della famiglia reale e di farsi conoscere all’estero.
Il museo spagnolo ha scelto di raccontare anche il percorso artistico di Lavinia Fontana – nata a Bologna nel 1552 e figlia del pittore manierista Prospero Fontana, da cui ricevette i primi insegnamenti – che si distinse per i suoi ritratti di personaggi noti e l’estrema cura dei dettagli. Ribellandosi ai costumi e alle convenzioni sociali della sua epoca ha trattato temi religiosi e mitologici – di cui prima di allora si erano occupati solo i suoi colleghi uomini – ed è stata la prima donna ad aver dipinto nudi femminili e maschili. Nella sua opera simbolo, “Minerva in atto di abbigliarsi” (1613), che fu anche il suo ultimo dipinto, la dea appare elegante, tenera e sensuale nello stesso tempo. Le due artiste scelte dal Prado si somigliano perché per entrambe la pittura ha rappresentato uno strumento fondamentale per affermare se stesse.
Per raccontare la storia dell’arte a firma femminile nell’età barocca il National Museum of Women in the Arts di Washington DC ha allestito una mostra collettiva in cui sono esposte, tra le altre, le opere di Judith Leyster, Rachel Ruysch, Clara Peeters e Maria Schalcken. Un tributo alle artiste principali dell’età dell’oro olandese che dimostra che tra i capolavori della pittura di quel periodo storico non ci sono solo le opere di Rembrandt e Vermeer. Virginia Treanor, curatrice della mostra, si augura che i visitatori possano riconoscere la rilevanza delle pittrici nel Barocco olandese e ammirare la ricchezza e la diversità dei loro percorsi artistici.
Se la Treanor per la mostra statunitense ha selezionato opere di artiste più o meno note dell’epoca barocca, la storica dell’arte Katlijne Van der Stighelen lo scorso anno è riuscita a far conoscere il lavoro di un’artista praticamente sconosciuta: Michaelina Wautier. La pittrice, nata nel 1617 in Belgio, è stata riscoperta negli anni Novanta ma solo qualche mese fa le è stata dedicata una mostra retrospettiva al Museo aan de Stroom (MAS) di Anversa. La storica dell’arte sebbene fosse convinta del valore della Wautier è rimasta sorpresa dalla risposta estremamente positiva della stampa e dei visitatori che hanno apprezzato la tecnica e la maturità del lavoro di una pittrice che fino a poco tempo fa era rimasta nell’ombra.
Tra le istituzioni che hanno scelto di dare spazio alle artiste donne del XVII e XVII c’è anche la National Gallery di Londra che la prossima primavera inaugurerà una mostra interamente dedicata ad Artemisia Gentileschi. Le 35 opere selezionate per la mostra monografica provenienti da istituzioni pubbliche e private di tutto il mondo ricostruiranno l’evoluzione del percorso artistico della pittrice – dagli anni della sua formazione, avvenuta nella bottega del padre pittore e amico di Caravaggio, al suo periodo fiorentino in cui divenne la prima donna ammessa all’Accademia delle arti del disegno di Firenze, ai suoi ultimi anni. La curatrice Letizia Treves ha spiegato che il museo intende rendere omaggio al grande talento della pittrice mostrando la sua opera a tutto tondo.
Il nome di Artemisia Gentileschi viene spesso ricordato per un drammatico episodio, avvenuto nel 1611 quando aveva solo 17 anni, che segnò profondamente la sua vita: lostupro subito da parte di Agostino Tassi, amico e collega del padre e suo maestro di prospettiva. La sua determinazione nel voler denunciare il suo aggressore nonostante le terribili torture fisiche e psicologiche a cui fu sottoposta durante il processo, ha reso nota la sua storia che fu a lungo ignorata. Negli anni Settanta la Gentileschi divenne un simbolo femminista per il coraggio di andare fino in fondo nelle proprie battaglie – sebbene non ottenne giustizia – e per la forza d’animo dimostrati. Se si abbraccia totalmente questa prospettiva il rischio però è quello di dare eccessivo risalto alla sua biografia sottovalutando i suoi meriti artistici. La curatrice della National Gallery per presentare la mostra ha dichiarato che per quanto non si possa ignorare la gravità della violenza subita dall’artista, né tanto meno l’incidenza che questa ha avuto sulla sua arte, l’intento è stato quello di far emergere che nella sua vita sono successe moltissime altre cose. In un’epoca in cui la professione che aveva scelto era appannaggio quasi esclusivo degli uomini, Artemisia Gentileschi fu infatti una donna emancipata – soprattutto se si considerano gli ultimi vent’anni della sua vita quando aprì un suo studio a Napoli e trascorse un periodo a Londra – ed ebbe una lunga e fortunata carriera come pittrice.
Lo storico dell’arte Roberto Longhi, che ha contribuito più di tutti a far conoscere l’opera di Artemisia Gentileschi, in un saggio del 1916 esaltò la sua precisione e la cura dei dettagli, riferendosi ad esempio al suo celebre dipinto “Giuditta decapita Oloferne” realizzato nel 1620 e conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze. L’opera, ispirata a un racconto dell’Antico testamento tra i più rappresentati nella storia dell’arte (il tema venne affrontato anche da Caravaggio), mostra l’uccisione di Oloferne da parte dell’eroina biblica, accompagnata da un’ancella, in modo estremamente crudo. Per lo storico dell’arte questo episodio dipinto da Gentileschi è uno dei grandi capolavori del Seicento, tanto da portarlo a sostenere che fosse una pittrice fuori dal comune, senza eguali tra le sue contemporanee.
In Inghilterra un’intera mostra dedicata ad Artemisia non era mai stata allestita prima d’ora. La National Gallery accoglierà le opere di un’artista coraggiosa, che conquistò con il tempo la sua libertà artistica e personale. Certa che questa mostra possa incuriosire e affascinare i visitatori, Letizia Treves ha affermato entusiasta che questo finalmente “è il momento di Artemisia”.
L’aspetto che accomuna i diversi progetti curatoriali dedicati alle pittrici è quello di mostrare il valore artistico di opere rimaste ingiustamente a lungo nell’oblio. La riscoperta dell’arte a firma femminile del XVI e XVII secolo rappresenta un passo necessario nella storia della critica che speriamo avrà ulteriori sviluppi. Raccontare le storie delle artiste significa non solo rendere conto di una battaglia contro i pregiudizi della loro epoca, ma anche della nostra, e contribuire a mostrare l’urgenza, da parte delle donne che si sono dedicate alla pittura quando a loro non era concesso, di esprimersi. Una conquista raggiunta grazie alla loro passione ostinata con il tempo ed enormi fatiche, ma pur sempre una battaglia vinta.