In Italia si legge poco: solo quattro italiani su dieci hanno letto un libro nell’ultimo anno. Un dato che ci dovrebbe far riflettere su quanto ai più sembri alieno l’oggetto libro. Ogni anno si lanciano campagne social per avvicinare i giovani alla lettura, iniziative che non sono poi così utili, perché dotate di scarso appeal. Forse basterebbe raccontare storie accattivanti, narrare non solo di chi scrive i libri, ma anche di chi li produce. L’editoria è piena di storie degne di essere raccontate, che testimoniano la passione di grandi uomini. Senza dubbio quella più interessante riguarda il maggior editore italiano del Novecento: Angelo Rizzoli, partito orfano e arrivato a costruire un’impresa in grado di modellare i consumi culturali dell’intero Paese.
Pochi sanno che l’impero di Rizzoli è stato messo in piedi dal nulla, dopo una vita di lavoro e costanza. Angelo Rizzoli ha origini molto umili: figlio di un ciabattino analfabeta, rimane ben presto orfano e vive la sua infanzia nel collegio Martinitt, un’istituzione storica di Milano che ha soccorso generazioni di orfani e meno abbienti. In questo contesto umile ma virtuoso cresce Angelo, che ben presto si appassiona all’artigianato e apprende il mestiere di stampatore. Appena diventato maggiorenne, nel 1912, apre la prima impresa con un altro compagno dell’orfanotrofio, ma è solo dopo la prima guerra mondiale che Rizzoli inizierà a lavorare a pieno regime come tipografo. La svolta avviene infatti nel 1917, anno in cui Rizzoli, tornato a Milano dalla trincea, decide di investire i pochi guadagni di guerra nel campo editoriale.
Rizzoli capisce che, ben prima del mercato dei libri, è conveniente puntare sull’ascesa dei periodici. Decide di rilevare dalla Mondadori, casa editrice già affermata, quattro riviste sull’orlo del fallimento. Mondadori, volendosene disfare, li cede al giovane Rizzoli per 40mila lire, una cifra considerevole per l’epoca, ma comunque contenuta per ben quattro testate. Rizzoli, avvalendosi della consulenza dell’amico Calogero Tumminelli – che allora lavorava alla Treccani – trasforma i periodici Donna e Novella nelle riviste di punta nel mercato dei femminili. La sua intenzione è di modellare i consumi della classe media, senza dimenticare la missione culturale del lavoro editoriale. Le riviste femminili dell’epoca, infatti, avevano anche uno scopo pedagogico: alle donne della classe borghese veniva fornita una sorta di educazione, e un immaginario a cui attingere, attraverso gli articoli. Il successo dell’operazione permette a Rizzoli di espandersi: nel 1929 nasce la Rizzoli come la conosciamo, una casa editrice pronta a monopolizzare anche il mercato librario.
Grazie all’intercessione di Tumminelli, la Rizzoli stampa l’enciclopedia Treccani dal 1929 al 1937. Parallelamente, la casa editrice si impegna nella ristampa di molti classici italiani, nonché nella ricerca delle migliori opere letterarie contemporanee, curata da Leo Longanesi, che fonderà poi Omnibus, il più moderno settimanale di informazione politica fra le due guerre. Rizzoli, a suo agio con la vita in comune sperimentata in collegio, ama circondarsi di collaboratori validi e fidati, che sopperiscono ai deficit della sua formazione culturale poco ordinaria. In casa editrice viene chiamato “Il patron” perché riesce a dosare la capacità di lasciare spazio ai propri collaboratori con il polso fermo del dirigente d’azienda. Rizzoli è avveduto: soppesa i costi e i benefici di ogni idea che gli viene proposta, e non si lancia mai in progetti accattivanti ma dall’incerto ritorno economico.La Rizzoli cresce grazie alla bussola fornita dal suo fiuto per gli affari e supportata dall’estro dei suoi collaboratori: Tumminelli e Longanesi sono due elementi importanti, insieme a un terzo che fa la fortuna della casa editrice, Luigi Rusca.
Rusca è un uomo di cultura, già alla guida del Touring Club che, passato alla consulenza di Rizzoli, ha l’idea di replicare il successo delle Meduse Mondadori, ma dandogli un taglio più popolare. Le proposte arrivano sulla scrivania di Rizzoli il lunedì mattina, l’editore le vaglia attentamente e, se approvate, ne scrive le specifiche o il budget stanziato a margine. Sono solo brevi indicazioni, ma tanto basta per avviare nuovi progetti in un meccanismo ben oliato come quello costruito da Rizzoli. L’editore ascolta tutti e poi decide seguendo il suo intuito. Nasce così la Biblioteca Universale Rizzoli – o semplicemente BUR – che si prefigge di pubblicare classici della letteratura mondiale a un prezzo accessibile a tutti. I primi autori pubblicati sono Manzoni, Leopardi, Foscolo, che nel secondo dopoguerra non posso mancare nelle case degli italiani. Ogni volume della BUR vende circa 30mila copie, la Rizzoli diviene un colosso europeo.
L’orfano del Martinitt era un uomo d’affari d’altri tempi: si dice che ogni giorno calcolasse a matita gli introiti delle sue molteplici attività, avendo sempre a mente la portata dei propri guadagni. La leggenda vuole che Angelo Rizzoli, che aveva il gusto per la battuta fulminante e amava recitare la parte del parvenu, alla vista dei dati di vendita della nuova collana, abbia detto a Rusca: “Caro Luigi lei mi ha imbrogliato: altro che cultura, con questi libri si fanno un sacco di soldi”. Un aneddoto che mette in luce l’affabilità e la brillantezza di un uomo dell’etica del lavoro incrollabile e dalla visione fuori dal comune. Giornali e libri non sono abbastanza per Angelo, nell’Italia post-fascista l’immaginario nazionale passa dalle fascinazioni del cinema. Rizzoli fonda nel ’56 la Cineriz, una casa di produzione che farà la storia della cinematografia italiana. I primi successi del Rizzoli produttore sono i film su Don Camillo, che riprendono il fortunato filone dei libri di Guareschi, autore di punta della Rizzoli libri. Ma dagli studi della Cineriz passano anche Pasolini, Visconti, De Sica, Germi e Fellini. Anche come produttore Rizzoli riesce a raggiungere senza contraddizione successo commerciale e grande qualità.
L’ultimo desiderio di Rizzoli fu l’acquisizione del Corriere della Sera, il più importante quotidiano italiano che non poteva mancare all’impero di Angelo. Un sogno inseguito per molti anni ma mai realizzato, almeno non da lui. Rizzoli muore nel 1970, lasciando un’azienda fondamentale per l’economia e la cultura italiana. Proprio sul Corriere viene data la notizia con un necrologio di due pagine, un tributo che si concede solo ai più grandi. L’acquisizione del giornale da parte della famiglia Rizzoli sarà formalizzata quattro anni dopo, nel 1974, coronando il sogno di quell’orfano di umili origini e arrivato a portare la cultura nelle case degli italiani, quotidianamente.
Rizzoli è stato protagonista di un cinquantennio di storia italiana, attraversando il difficile periodo fra le due guerre e contribuendo a rifondare l’immaginario nazionale dell’Italia post-fascista. L’insegnamento di Rizzoli non riguarda solo la sua vita, ma anche il suo modello di business. Un modo di agire che unisce la volontà del successo commerciale all’imprescindibile dogma della qualità. Rizzoli ha creato uno spazio solido in cui potessero operare i più brillanti intellettuali del suo tempo, ha selezionato con cura i collaboratori e dato loro modo di sviluppare le proprie idee, portandole sotto gli occhi di tutti. La sua dedizione ha portato un reale beneficio a tutta la società e per questo il suo nome rimarrà indelebile nella storia della nostra cultura: la dimostrazione che, nonostante tutto, l’etica del lavoro può ripagare.