In occasione delle prossime elezioni europee, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha concesso una lunga intervista ai media vaticani in cui, tra vari argomenti, si è soffermato sul ruolo che deve ricoprire l’Unione europea affinché sia assicurato un futuro di pace e collaborazione tra gli Stati. Il Presidente si è focalizzato sui numerosi episodi di “intolleranza, di aggressività, di chiusura alle esigenze altrui” che caratterizzano non solo la vita del popolo italiano, ma anche quella di tutti gli altri popoli europei. Ha dichiarato: “L’Europa deve recuperare lo spirito degli inizi. Deve curarsi di più della sorte delle persone”, ricordando che essa non nacque come un comitato di interessi economici ma come una comunità di valori condivisi.
L’Europa, come la conosciamo oggi, ha avuto diversi fondatori: è il risultato dell’incontro di idee di donne e uomini che avevano vissuto in prima persona gli effetti devastanti della costante lotta tra le nazioni. Le origini che spinsero alcuni europei a proporre una comunità sono ben rappresentate dalla figura di Altiero Spinelli, universalmente riconosciuto come uno dei padri fondatori dell’Unione, autore del Manifesto per un’Europa libera e unita, un testo considerato una pietra miliare nel lungo percorso che ha condotto alla nascita delle istituzioni europee, ma il cui contenuto sembra troppo spesso dimenticato o volutamente disatteso. Spinelli nasce a Roma nel 1907 in una famiglia della piccola borghesia capitolina, originaria del Sud d’Italia. Dopo il liceo, il giovane, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma e nell’ambiente dell’ateneo sviluppa le sue simpatie per le idee propugnate dal neonato Partito comunista italiano, fin quando nel 1924 decide di aderire alla causa e di iscriversi al partito.
Il 1926 è un anno cruciale che vede l’evolversi di una serie di eventi che determineranno significativamente i futuri assetti politici del continente europeo. In Russia il segretario generale del Partito comunista, Iosif Stalin, vede trionfare la sua teoria del “socialismo in un paese solo” contro quella sostenuta da Lev Trotzkij della “rivoluzione permanente”, accrescendo così a dismisura il suo potere e la sua influenza all’interno del comitato centrale e dell’Urss. In quello stesso anno, la Germania è sempre più provata dalla sconfitta della prima guerra mondiale e dalle pesanti condizioni del Trattato di Versailles, un clima di cui approfitta Adolf Hitler – da poco uscito di prigione dopo il fallito colpo di Stato da lui architettato – per ricostruire il partito nazista con l’aiuto dei fedelissimi Joseph Goebbels e Heinrich Himmler. In Italia, nel 1926, il governo guidato da Benito Mussolini ha da poco assunto i tratti inequivocabili di una dittatura: vengono emanate le cosiddette “Leggi fascistissime” che dichiarano illegale lo sciopero e che determinano la soppressione totale della libertà di stampa, della libertà della persona, del pensiero, dell’espressione e della parola. È in quel momento che il giovane Altiero Spinelli interrompe gli studi universitari e sceglie di diventare un rivoluzionario antifascista. Il Pci lo manda a Milano, con l’incarico di seguire le organizzazioni giovanili della Lombardia, del Piemonte e della Liguria, ma nel giugno del 1927 viene arrestato e poi condannato a 16 anni e 8 mesi di reclusione con l’accusa di antifascismo.
Spinelli trascorre quasi dieci anni in carcere, fin quando nel 1937 è mandato a scontare il resto della pena al confino, sull’isola di Ventotene. Nel frattempo si è conclusa, per insanabili divergenze, la sua esperienza con il Partito comunista che lo espelle accusandolo “di deviazione ideologica e presunzione piccolo-borghese”. Sull’isola pontina, Spinelli conosce altri tre confinati: Ernesto Rossi – tra i fondatori del Partito radicale – Eugenio Colorni, medaglia d’oro al valore militare, e la tedesca Ursula Hirschmann, oppositrice dei regimi nazista e fascista. Tanto i disastri causati dal nazifascismo, quanto quelli causati dal Partito comunista in Russia, convincono Spinelli che la soluzione per ricostruire un’Europa più forte e pacifica sia quella di creare un sistema politico in grado di disinnescare le dottrine nazionaliste, la causa primaria dei secoli di guerre fratricide tra i popoli europei. Rossi, Colorni e Hirschmann, accomunati da uno spiccato europeismo e da ideali antifascisti, collaborano con Altiero Spinelli – nel pieno della seconda guerra mondiale e senza sapere quale sarà l’esito del conflitto – per la stesura del Manifesto per un’Europa libera e unita, meglio noto come Manifesto di Ventotene, oggi considerato uno dei testi fondanti dell’Unione europea.
Nel primo paragrafo intitolato “La crisi della civiltà moderna”, l’autore analizza le cause che hanno portato i suoi contemporanei a vivere l’orrore della guerra: “Gli uomini non sono più soggetti di diritto, ma gerarchicamente disposti, sono tenuti ad ubbidire senza discutere alle gerarchie superiori che culminano in un capo debitamente divinizzato”. Spinelli descrive la pericolosità di un messaggio politico basato sulla retorica della sovranità assoluta, anche perché esso travisa lo scopo a cui è preposta una nazione, essa “non è più ora considerata come lo storico prodotto della convivenza degli uomini, che […] trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la società umana. È invece divenuta un’entità divina, un organismo che deve pensare solo alla propria esistenza e al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri possono risentirne” e ricorda: “La sovranità assoluta degli Stati nazionali ha portato alla volontà di dominio sugli altri”.
La seconda parte del testo, “I compiti del dopoguerra – l’Europa unita”, si apre con una dichiarazione tanto semplice quanto significativa “La sconfitta della Germania non porterebbe automaticamente al riordinamento dell’Europa secondo il nostro ideale di civiltà”. Spinelli guarda oltre la disfatta del nemico, guarda al momento in cui dalle macerie della guerra sarebbe dovuta rinascere una società nuova e in discontinuità con il passato, ed è qui che elabora un concetto dall’allarmante attualità: “La federazione europea è l’unica garanzia concepibile che i rapporti con i popoli asiatici e americani possano svolgersi su una base di pacifica cooperazione”.
Spinelli avverte i posteri che per avere un’Europa al servizio dei popoli bisogna tener ben presente la differenza tra i partiti progressisti e quelli reazionari, e cioè “coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale […] lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale”.
Il Manifesto per un’Europa libera e unita dichiara quale sia il mezzo democratico per vivere in pace: “Dare alla vita politica una consolidata impronta di libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale”. Spinelli, Rossi, Colorni sono chiari: per loro la soluzione è un’Europa federalista e socialista, ma non insensibile alle diversità. “Lasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli”.
Il Manifesto di Ventotene negli anni è stato usato impropriamente e con scadente retorica da parte di chi ha contribuito ad allontanare l’Unione europea dai suoi principi fondanti. Non c’è bisogno di essere ampollosi ricordando il testo di Spinelli e dei suoi colleghi, la forza di quelle idee le rende ancora valide e attuali. Piuttosto, possiamo rammaricarci del fatto che un’Unione europea incompleta, a cominciare dalla mai approvata Costituzione europea tanto auspicata da Spinelli, abbia contribuito a renderla inadatta ai cambiamenti geopolitici che viviamo e che hanno aiutato l’ascesa di partiti populisti e sovranisti, ossia proprio ciò che temevano i firmatari del testo.
Altiero Spinelli, dopo la guerra continuò a lavorare per creare quell’idea moderna di Europa che aveva condiviso durante il confino con i suoi amici Rossi, Coltorni e Hirschmann – poi diventata sua moglie. Fu membro della Commissione europea dal 1970 al 1976 e successivamente commissario europeo per gli Affari industriali, per la ricerca generale e la tecnologia. Nel 1979 venne anche eletto come indipendente nella lista del Pci al primo Parlamento europeo a elezione diretta. Spinelli lottò, assieme a tanti della sua generazione, perché gli uomini e le donne dell’“Europa dei popoli” non subissero le atroci conseguenze di dottrine sovraniste.
In occasione delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, il Manifesto di Ventotene va riletto per non dimenticare, come suggerito dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, le radici dell’Europa unita nata dalle ceneri dei totalitarismi. Come scrisse Altiero Spinelli nell’apertura del Manifesto: “La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita”.