Lo scorso anno alcuni montaggi di film e serie tv diventarono virali su TikTok. I video non avevano niente di speciale, se non l’essere suggestivi e un po’ malinconici. Ma il motivo per cui diventarono così famosi, in alcuni casi raccogliendo milioni di visualizzazioni, non risiedeva tanto nella qualità dei video o nei loro contenuti, quanto più nell’intenzione dichiarata: i video, infatti, erano Corecore. La parola “core”, che in inglese significa nucleo, sulle piattaforme, in particolare TikTok, viene usata come suffisso per riferirsi a una serie di principi estetici: la Cottagecore, per esempio, celebra la vita preindustriale in armonia con la natura. Aesthetic Wiki, l’enciclopedia delle estetiche di Internet, conta più di duemila core, dalla Clowncore (l’estetica di pagliacci e giullari) alla Dark Academia (che ricorda le atmosfere da college inglese), passando per core più di nicchia, come la Blokecore (che ricalca l’abbigliamento degli hooligans inglesi) alla Soft Victorian Wanderlust (ispirata a Jules Verne).
La Corecore, nata nel 2022, doveva essere la core che avrebbe posto fine a tutte le altre core. Se ogni aesthetic si rifà infatti a un immaginario particolare, la Corecore è la celebrazione dell’estetizzazione fine a se stessa, la core della core. Come scrisse il collettivo di critici Y7 su Flash Art, con la sua malinconia e i suoi richiami apocalittici, la Corecore era espressione dell’“aporia di una sensibilità post-ironica, che spesso si trova in chi è cronicamente online, in cui una velatura onnipresente di potenziale intento ironico viene gettata su ogni forma di sincerità”. Non essendoci via d’uscita alla sovrastimolazione della vita contemporanea, tanto vale estetizzare il disagio che essa causa, producendo a propria volta una nuova forma di sovrastimolazione. Nonostante il suo intento critico (e l’attenzione che riuscì a catturare), come ogni altra estetica di Internet, però, la Corecore non ha soppiantato nessuna core, ma anzi è finita in quel limbo a metà tra irrilevanza e potenziale recupero nostalgico in un prossimo futuro.
L’ossessione della cultura di Internet per le aesthetic, parcellizzate in categorie sempre più specifiche, ha a che fare con quella che è stata ormai riconosciuta come la morte delle sottoculture. Con la massificazione del mercato e la fast fashion, le sottoculture hanno perso la loro funzione di aggregazione sociale e di sfida allo status quo e ciò che ne è rimasto è soltanto l’espressione più immediatamente riconoscibile, l’estetica appunto. Secondo il filosofo tedesco Gernot Böhme, il capitalismo avanzato si caratterizza per una sua componente eminentemente estetica. Poiché oggi l’economia di mercato è capace di soddisfare tutti i bisogni primari della società, per garantire la sua sussistenza necessita di trasformare questi bisogni in desideri. Secondo Böhme, la crescita economica è oggi possibile solo “attraverso il potenziamento della vita, attraverso la produzione di mezzi per mettere in scena se stessi, ovvero attraverso la produzione di valori estetici”. Questo capitalismo estetico ha bisogno di estetizzare anche gli aspetti più mondani delle nostre vite per sopravvivere. Non si tratta semplicemente di rendere “belli” degli oggetti di uso comune, ma trasformare quegli oggetti in valore estetico (che si traduce in valore di scambio).
Nel passaggio da sottoculture ad aesthetic, si è verificato poi un altro spostamento importante: le sottoculture sono state storicamente considerate una cosa “da maschi”. Anche gli studi, dai primi che le vedevano come forme di delinquenza giovanile, ai più recenti che le considerano forme d’arte ed espressione di sé culturalmente rilevanti, si sono concentrate soprattutto sui giovani uomini, dai Mod degli anni Sessanta, agli Emo di inizio Duemila. Le aesthetic e le core di Internet, e in particolare di TikTok, al contrario riguardano soprattutto le giovani donne, tanto che la maggior parte degli articoli che ne parlano sono pubblicati da testate di moda con un pubblico femminile. Con l’esplosione delle aesthetic su TikTok, l’identità di ciascuno di noi, e più nello specifico delle donne, si condensa in un’estetica: non si hanno gusti eccentrici, si è Weird Girl; non si hanno più abitudini sane, si è That Girl; non si ci si cura più del proprio corpo, si è Clean Girl.
Questa metamorfosi da corpo a core si realizza necessariamente nel capitalismo: per abbracciare una aesthetic non basta esistere, ma bisogna anche consumare tutto ciò che è legato a quella specifica core, acquistare l’abbigliamento adatto, leggere i libri giusti, persino sottoporsi a interventi di chirurgia plastica per avere il naso alla Barbiecore. Anche estetiche di stampo anticapitalista, come la Cottagecore, finiscono col piegarsi alle necessità di consumo, prevendendo l’acquisto dei beni necessari per raggiungere quello stile di vita. Il fatto che le core siano adottate prevalentemente da donne è solo l’ennesima dimostrazione delle ingiunzioni che il genere femminile ha ricevuto nel corso della storia a rispondere a una certa idea di femminilità. Il problema è che queste certe idee, oggi, non solo sono migliaia, ma sempre più specifiche.
La possibilità di scelta tra Mob Wife Aesthetic e Weird Girl non è una forma di libertà, ma soltanto la scelta tra modelli che, per quanto possano essere differenti, sono comunque estremamente normativi. Portandosi dietro una serie di regole e parametri molto stringenti, ogni aesthetic configura un nuovo modo di controllare e sorvegliare se stesse, per rispondere a un’immagine idealizzata di donna che è soltanto una costruzione immaginaria. C’è infatti una stretta connessione tra molte aesthetic e forme di feticismo e sessualizzazione che ricalcano lo sguardo maschile. Ning Chang, sulla rivista Shado, fa notare come molte delle aesthetic dominanti celebrino donne sottomesse: l’archetipo della Mob Wife, ispirata alla moglie di un gangster, è quello di una vittima di abusi domestici; la Office Siren altro non è che l’idea stereotipata della segretaria sexy, riproposta come corporate girly.
Spesso, inoltre, le aesthetic non sono soltanto aesthetic, ma portano con sé un’ideologia ben precisa. È il caso delle Tradwife, donne che celebrano la femminilità tradizionale e la vita domestica, spesso richiamandosi a ideologie di estrema destra e di suprematismo bianco. Dietro ai video in cui preparano manicaretti e spolverano mensole in attesa che i loro mariti tornino dal lavoro, le Tradwife si prodigano in un’opera incessante di propaganda politica, denigrando l’emancipazione femminile e rievocando un passato ideale, che dalle loro vite personali si estende a un’intera visione del mondo come una società ordinata, ubbidiente e soprattutto bianca. L’utente @lex.delarosa, che nei suoi video virali in cui si prende cura della casa e dei figli assume un’espressione costantemente sognante e sorridente, ha fatto parlare di Lobotomy Core, alludendo alla pratica ormai in disuso, usata in prevalenza contro le donne, che le lasciava catatoniche. Proprio per il carattere perturbante dei video idilliaci di @lex.delarosa, qualcuno si chiede se si tratti di un account satirico.
La critica femminista da sempre ha denunciato la pervasività e l’onnipresenza dello sguardo maschile, che trasforma le donne in oggetti del desiderio e le tipizza in forme precostituite e immutabili. Oggi l’oggettivazione femminile convive però con la capacità delle donne di diventare soggetti desideranti conquistata grazie alle lotte per l’emancipazione, ma nell’economia della visibilità di Internet spesso è difficile distinguere le due cose. Secondo Sarah Banet-Weiser si crea l’effetto distorcente di una “casa degli specchi”: “La misoginia popolare usa il concetto delle donne come soggetti sessuali desideranti, come agenti del desiderio, proprio per giustificare quelle pratiche che consolidano la misoginia”.
Sarebbe bello se le core e le aesthetic di TikTok fossero soltanto un catalogo di moda con cui divertirsi senza pensieri o un modo per “romanticizzare la propria vita”, ma la realtà è che nella casa degli specchi ogni tentativo di unicità ed espressione di sé si piega alle regole della società che sta al di fuori della casa. “Il mio superiore chiamerebbe le risorse umane se andassi al lavoro vestita così”, scrive un’utente sotto il video di un outfit in stile Office Siren. Forse l’aderenza religiosa a un’aesthetic funzionerà su Internet, dove è necessario costruire una versione di sé che può anche non avere alcun legame con la realtà, ma nel mondo di fuori questa costruzione si scontra inevitabilmente con le regole, i pregiudizi e i comandi della normatività sociale, specialmente se sei una donna.