Negli ultimi giorni sta diventando sempre più chiaro che la pandemia di COVID-19 è ben lontana dalla sua conclusione: alcune aree del mondo, come gli Stati Uniti e il Brasile, sono ancora nel pieno della prima ondata, anche e soprattutto a causa di politiche confuse o volutamente assenti sul contenimento dei contagi. In Europa, invece, Spagna, Germania e Francia registrano un aumento di nuovi casi che potrebbe presagire l’inizio della seconda ondata.
Anche in Italia si registrano sviluppi preoccupanti: dopo un periodo in cui i nuovi contagi si erano stabilizzati sul centinaio di casi giornalieri, con pochi focolai subito individuati e tenuti sotto controllo, nell’ultimo mese si è verificato un nuovo aumento, tanto che dal 13 agosto, con i suoi 523 casi registrati a livello nazionale, siamo passati in meno di tre settimane ai 1397 nuovi casi giornalieri del 3 settembre.
Una delle cause è di sicuro il maggior movimento di persone in un periodo tradizionalmente legato agli spostamenti e alle ferie estive, che hanno comportato anche un progressivo rilassamento nell’utilizzo delle tre principali misure di prevenzione del contagio: il lavaggio frequente delle mani, il distanziamento e l’utilizzo dei dispositivi di protezione. Il caldo e l’atmosfera delle ferie però non bastano per giustificare questa tendenza; la vera minaccia per gli sforzi fatti nei primi mesi dell’anno si chiama negazionismo.
Qualcuno pensava di aver visto il peggio durante il convegno COVID-19 tra informazione, scienza e diritto, ospitato lo scorso 27 luglio nella sede istituzionale della biblioteca del Senato: l’appuntamento, promosso dal senatore leghista Armando Siri e da Vittorio Sgarbi, ha visto anche la partecipazione di Matteo Salvini, che si è scagliato proprio contro l’obbligo dell’uso della mascherina. Eppure il mese di agosto ha visto un ulteriore abbassamento dell’asticella della logica: mentre Sgarbi ha portato avanti la sua personale crociata contro l’utilizzo delle mascherine – minacciando di multare chiunque le indossi senza adeguata giustificazione nel comune di Sutri, dove è sindaco – è sicuramente Flavio Briatore ad averci regalato lo psicodramma più appassionante di questa fine estate. Dopo una stagione passata a negare la pericolosità del virus, aver visto diventare il suo Billionaire in un focolaio con almeno 63 casi accertati, il 24 agosto anche l’ex patron Renault è risultato positivo al test per la SARS-Cov-2. Meno di una settimana prima di essere ricoverato al San Raffaele di Milano, Briatore si era ancora scagliato contro il sindaco di Arzachena, Roberto Ragnedda, per la sua decisione di imporre misure più stringenti per il contenimento del virus. Nonostante il tentativo iniziale di spacciare la causa del ricovero per una prostatite, ora anche Briatore è costretto a passare un periodo di isolamento, ammettendo di essersi ammalato per un virus che fino a poche settimane prima sosteneva fosse poco più di un’invenzione. La triste parabola di Briatore è quella di tanti, in Italia e in tutto il mondo, vittima di una comunicazione sul virus tanto tendenziosa quanto pericolosa.
Una comunicazione supportata anche da alcuni medici, tra cui Alberto Zangrillo, primario dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Generale dell’ospedale San Raffaele di Milano e medico curante di Silvio Berlusconi – ricoverato il 4 settembre proprio all’ospedale milanese, dopo essere risultato positivo al COVID-19. Il primario aveva affermato che Berlusconi fosse asintomatico, ma è stato lo stesso ex premier a smentirlo, rivelando di aver avuto la febbre, mentre secondo il Corriere il bollettino medico parla di polmonite bilaterale. Durante una conferenza stampa del 4 settembre Zangrillo, pur ribadendo che le complicazioni per Berlusconi sono dovute all’età e patologie pregresse, ha dovuto ammettere tardivamente che “Non nego di avere usato un tono forte e stonato quando il 31 maggio dissi che il virus era clinicamente morto, probabilmente stonato, ma fotografava quello che osservavamo e continuiamo a osservare”, contraddicendo quanto già detto il 31 maggio scorso quando, ospite della trasmissione televisiva Mezz’ora in più, aveva affermato che dal punto di vista clinico il virus non esisteva più e che i contagiati non erano necessariamente malati, scatenando la polemica con il ministero della Salute, il Comitato tecnico scientifico e molti suoi colleghi e ricercatori. Alcuni, tra cui la giornalista scientifica Roberta Villa, avevano sollevato il dubbio che le dichiarazioni del primario fossero collegate ai suoi legami politici con Forza Italia e con la volontà di non mettere in cattiva luce l’operato di Giulio Gallera. D’altronde, Zangrillo è sempre stato molto legato a Berlusconi (che gli offrì il dicastero alla Sanità nel 2008), che a sua volta è da sempre vicino all’ambiente del San Raffaele, uno degli ospedali privati più grandi d’Italia, a pochi passi da Milano 2.
Ma anche quando la pressione sulla giunta lombarda è calata, il primario ha continuato a ribadire questa linea di pensiero in più occasioni, fino a quando a fine luglio ha parlato di “virus scomparso”. Anche ad agosto, in pieno aumento dei casi di contagio, ha ribadito la sua posizione sui social, dove i suoi contenuti sono diventati tra i più condivisi della galassia dei gruppi negazionisti, facendo notare i “pochi morti” ormai dovuti alla patologia. Dire che un virus clinicamente non esiste più, infatti, non significa che sia del tutto scomparso o mutato in una forma meno aggressiva: significa che, in ambito ospedaliero, la gravità dei sintomi sembra essere inferiore rispetto ad alcuni mesi fa, con una minore concentrazione del virus nell’organismo delle persone infette. A essere cambiato, quindi, secondo lo studio citato da Zangrillo, è il modo in cui si presenterebbe la COVID-19 negli infetti, un fattore che dipende anche dalla maggiore preparazione dei medici rispetto alle prime fasi della pandemia. Come realmente stanno le cose lo ha spiegato bene Luca Richeldi, presidente della società italiana di pneumologia, sottolineando che se “è vero e rassicurante il fatto che la pressione sugli ospedali si sia drasticamente ridotta nelle ultime settimane, non va però dimenticato che questo è il risultato delle altrettanto drastiche misure di contenimento della circolazione virale adottate nel nostro Paese”.
Secondo Sandra Zampa, sottosegretaria alla Salute, quello di Zangrillo “è stato un messaggio a grande rischio di essere frainteso da parte della popolazione. In attesa di evidenze scientifiche a sostegno della tesi della scomparsa del virus, della cui attendibilità saremmo tutti felici, invito invece chi ne fosse certo a non confondere le idee degli italiani, favorendo comportamenti rischiosi dal punto di vista della salute”. Anche Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e componente del Comitato tecnico scientifico, si è dichiarato sconcertato dalle dichiarazioni delle scorse settimane di Zangrillo: “Bisogna continuare sul percorso della responsabilità dei comportamenti individuali, da non disincentivare attraverso dichiarazioni pericolose che dimenticano il dramma vissuto in questo Paese. È altrettanto chiaro, anche a occhi non esperti, che la gestione clinica dei malati è certamente oggi facilitata dal minor numero di casi rispetto a quelli osservati nei giorni di picco e da quanto si è imparato in questi mesi. Questi sono i fatti concreti, il resto opinioni personali”.
Il problema, quando si parla di argomenti che hanno a che fare con la scienza, è proprio quello di mettere sullo stesso piano opinioni personali e dati concreti. Anthony Fauci, consigliere della Casa Bianca per l’emergenza COVID-19, ha dato la colpa della gestione disastrosa dell’epidemia negli Stati Uniti proprio a un diffuso atteggiamento antiscientifico – spesso rilanciato dallo stesso presidente Donald Trump – che considera inconcepibile, dal momento che “la scienza è verità”. Secondo Fauci c’è ben poca differenza tra chi nega o sminuisce la pericolosità della pandemia e gli antivaccinisti, a causa del loro totale rifiuto verso la scienza. Un rifiuto quasi più contagioso del virus stesso: in diverse nazioni, infatti, si sono svolte numerose manifestazioni contro le misure per rallentare la pandemia e, soprattutto, contro l’utilizzo delle mascherine. A Madrid, Londra, Berlino e in molte città statunitensi, migliaia di persone sono scese in piazza nel corso delle ultime settimane per protestare contro un obbligo che appare loro come una violazione delle libertà personali. Nel nostro Paese, gli effetti del messaggio di inizio estate di Zangrillo amplificato dai suoi sostenitori più o meno famosi è emerso lo scorso giugno durante una manifestazione di negazionisti a Firenze, quando è apparso un cartello con la scritta “basta scienza”, nel caso non fosse abbastanza chiara la posizione di questi gruppi.
Smentire queste persone è molto meno scontato di quanto possa suggerire la logica. Una conferma arriva anche da uno studio del 2015 che metteva in evidenza come la percezione del cambiamento climatico da parte dei cittadini sia influenzata più dalla fede politica che dai dati scientifici. Si tratta di un fattore strettamente legato alla psicologia umana: l’appartenenza a un gruppo sociale, infatti, si basa sull’assimilazione delle sue credenze, indipendentemente dal fatto che queste siano fondate sulla scienza o sulla superstizione. La nostra visione del mondo si fonda su questo bias cognitivo: appartenere a un gruppo implica necessariamente pensarla come la maggioranza dei suoi membri. Ecco perché, quando un’informazione va contro una determinata credenza, molti utilizzano la negazione come strategia di difesa.
È quello che lo psicologo John Jost definisce “giustificazione del sistema”, che spiega anche perché le popolazioni che si trovano ad affrontare una crisi o una minaccia esterna spesso si rivolgono a leader politici autoritari, che promettono sicurezza e stabilità, spesso strumentalizzando la situazione a loro favore. Se un politico del proprio schieramento afferma che l’emergenza è sopravvalutata, i dati reali provenienti da fonti scientifiche accreditate non solo non vengono ritenuti affidabili, ma anche visti come un attacco personale contro il leader di riferimento e, di conseguenza, contro la propria persona e valori di riferimento. Donald Trump, Jair Bolsonaro, il Boris Johnson dell’inizio dell’emergenza, sono solo alcuni esempi di leader sovranisti che hanno fatto del negazionismo la loro bandiera, con i risultati ora davanti agli occhi del mondo intero.
Il problema è che, durante una pandemia causata da un virus ancora sconosciuto sotto molti aspetti, gli atteggiamenti negazionisti, da parte dei leader politici o dei singoli cittadini, mettono in grave pericolo la salute pubblica, soprattutto se questi trovano una sponda anche minima da parte del mondo scientifico. In attesa di un vaccino o di cure risolutive, l’unico modo per proteggere noi stessi e gli altri è quello di seguire le regole stabilite dall’Organizzazione mondiale della sanità, che non sono una violazione della libertà personale, come i negazionisti amano ripetere, ma semplicemente un modo per evitare che il virus possa circolare liberamente e fare ulteriori danni. Per questo posizioni come quella di Zangrillo – che al confronto con i suoi colleghi per mettere alla prova la sua teoria preferisce l’mostrare di credere che i suoi colleghi gli abbiano attribuito affermazioni di totale negazione dell’esistenza del virus anziché biasimarlo per la prematura esclusione della necessità di perseverare con cautele elevate e comportamenti virtuosi al fine di scongiurare il protrarsi di una situazione emergenziale – sono pericolose quanto la stessa pandemia che abbiamo affrontato nei mesi scorsi. Chi nega l’esistenza o la pericolosità di una malattia che per centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo ha avuto esiti letali, o con sicumera e senza dati certi a supporto ne afferma la scomparsa, va trattato come i terrapiattisti o i novax, cioè dando il giusto valore alle loro opinioni: zero, in assenza di dati reali a supportarle.