Aggiornamento del 27 marzo, ore 10:30
Con oltre 85mila casi, gli Stati Uniti sono attualmente il Paese con più contagi di Covid-19 registrati al mondo
“Ci faccia un favore, Presidente. Se vuole ottenere qualcosa, inizi a trattare la scienza e i suoi principi con rispetto”. Si conclude così l’editoriale di Holden Thorp, chimico e direttore della prestigiosa rivista Science. Con un commento duro e senza giri di parole, Thorp ha accusato Donald Trump di aver a lungo screditato l’importanza del progresso scientifico e di tentare ora, quando questo potrebbe giocare a suo vantaggio, di cambiare posizione ed elogiare il lavoro di medici, infermieri e ricercatori.
Nel pieno della pandemia di COVID-19, infatti, Trump ha più volte cambiato idea. Ora afferma di voler riaprire tutto entro Pasqua, nonostante gli avvertimenti degli esperti, perché “La cura non può essere peggio della malattia”. Il presidente ha anche più volte detto che che gli Stati Uniti riusciranno a trovare un vaccino “nel giro di qualche mese”, nonostante questo sia piuttosto difficile. “Più veloci, più veloci!” è diventato il suo motto, facendo pressioni sulle compagnie farmaceutiche perché lavorino giorno e notte alla ricerca di una cura per il nuovo coronavirus. Il suo obiettivo sarebbe di riuscire a mettere in commercio il vaccino prima di novembre, quando si terranno le presidenziali. Un bel sogno, che però sembra destinato a rimanere tale: l’Organizzazione mondiale della sanità ha infatti più volte ripetuto che la messa a punto di un vaccino sicuro, testato e pronto alla distribuzione richiederà tra i 12 e i 18 mesi di lavoro a pieno ritmo. Ma a Trump questo non importa perché, in fondo, “L’America è il Paese migliore del mondo: abbiamo i migliori scienziati, i migliori dottori, infermieri e professionisti”, come ha ricordato con un tweet l’11 marzo scorso.
Spesso le promesse di Trump sono state smentite anche dai suoi stessi collaboratori. “Insomma, pensate che il vaccino sarà pronto entro i prossimi mesi, giusto?” ha chiesto il Presidente a un team di esperti, il 2 marzo. “Il vaccino non sarà pronto. Sarà in fase di testing”, hanno risposto. “Va bene, quindi parliamo di un anno?” ha ritentato, più cauto. “Le tempistiche variano da un anno a un anno e mezzo”, ha detto seccamente Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale per le allergie e le malattie infettive. Le sue dichiarazioni sono evidentemente state di ispirazione per un abitante dell’Arizona e per sua moglie, che hanno ingerito della Clorochina, un farmaco usato per il trattamento e la prevenzione della malaria che Trump aveva erroneamente indicato come la soluzione alla COVID-19. Lui è morto, lei è in grave pericolo di vita.
Il cambio di rotta di Trump nei confronti della scienza è lampante. In molti, infatti, ricordano che prima dell’arrivo della COVID-19 l’attuale presidente non si era mai fatto scrupoli a presentarsi come convinto no-vax, sostenendo, tra le altre cose, che i vaccini fossero una delle principali cause di autismo, tesi oggi ampiamente smentita dalla comunità scientifica. Già nel 2007, durante un’intervista con il South Florida Sun-Sentinel aveva affermato: “Ora, improvvisamente, abbiamo un’epidemia di autismo. Secondo me, sono i vaccini. Sottoponiamo i nostri bambini a troppe iniezioni, credo che questo abbia qualche effetto su di loro”. Due anni dopo, nel 2009, durante la pandemia di febbre suina Trump non si era smentito e aveva definito i vaccini come “potenzialmente molto pericolosi”. Nel corso di un dibattito per le elezioni primarie del partito repubblicano del 2015, poi, il magnate ha poi raccontato come una bambina di due anni e mezzo, pochi giorni dopo aver fatto il vaccino, prima si fosse ammalata e poi fosse diventata autistica. Una prima, timida, inversione di marcia è arrivata solo nel 2019, quando Trump ha consigliato ai genitori di far vaccinare i bambini per contrastare un’allarmante ondata di casi di morbillo.
Lo scetticismo nei confronti dei vaccini non è l’unica circostanza in cui Donald Trump ha cercato di negare i risultati di decenni di studi e ricerche. “Il concetto di riscaldamento globale è stato creato dai cinesi e per i cinesi, con lo scopo di rendere il settore manifatturiero americano non competitivo”, ha twittato nel 2012, quando era ancora “soltanto” un ricco magnate dell’edilizia. Ha più volte definito il cambiamento climatico una “bufala molto dispendiosa”, adducendo come prove il fatto che a Los Angeles facesse freddo o che l’aria fosse, a suo dire, pulita. Ha proposto di tagliare i fondi alla ricerca sul riscaldamento globale per favorire invece il settore dei combustibili fossili, e ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi. Nel 2018, intervistato riguardo al drammatico scenario presentato in un report sul cambiamento climatico curato dalla sua stessa amministrazione, ha detto: “L’ho visto, ne ho letta qualche parte, ma non ci credo”. Nel settembre 2019, Trump ha modificato una mappa che indicava il percorso dell’uragano Dorian in modo che coincidesse con le sue previsioni pubblicate su Twitter, secondo le quali anche l’Alabama avrebbe dovuto essere colpito.
In passato, il presidente ha dato segni di insofferenza anche nei confronti delle teorie evoluzionistiche. Nel suo libro del 2007 Pensa in grande e manda tutti al diavolo, pubblicato in Italia da Rizzoli, ha spiegato in modo discutibile la sua rinomata “fortuna” con l’universo femminile: “In epoca primitiva, le donne cercavano l’uomo più forte, qualcuno che potesse offrire loro protezione. Non andavano con qualcuno che non avrebbe potuto offrire loro una casa o mantenere la prole. Gli uomini di alto rango si fanno riconoscere grazie ai loro atteggiamenti strafottenti… e questo atteggiamento è ancora oggi collegato con ciò che le donne trovano attraente. Magari non è politicamente corretto dirlo, ma è così, e sarà sempre così”. Ovviamente, come ha spiegato anche il Washington Post, praticamente nulla di tutto ciò ha un qualsiasi fondamento scientifico.
Adesso, però, nel pieno di una pandemia che ha obbligato anche gli Usa a dichiarare lo stato di emergenza nazionale e a stanziare 50 miliardi di dollari a supporto della ricerca e delle strutture ospedaliere, Trump deve lasciare da parte i suoi malumori verso il progresso. Con troppi Paesi già in ginocchio davanti al diffondersi del virus e le elezioni presidenziali alle porte, il tycoon di New York è alle strette: sotto la sua guida, gli Stati Uniti devono trovare un rimedio, e in fretta.
Rappresentativo dell’approccio statunitense alla sanità è che il Presidente si stia muovendo per “comprare”, in tutto e per tutto, il brevetto di un promettente vaccino al quale stanno lavorando i ricercatori dell’azienda farmaceutica CureVac, con sede a Tubinga, in Germania. Sul tavolo un’offerta da 1 miliardo di euro, con la clausola però che la poderosa soluzione sarebbe fruibile solo dai cittadini Usa. Il governo tedesco si è subito opposto, definendo la proposta un “potenziale problema di sicurezza nazionale” e anche Christof Ettich, top manager del gruppo, ha affermato: “Vogliamo sviluppare una cura che sia a disposizione di tutto il mondo, non soltanto di un singolo Stato”.
La mossa dell’amministrazione Trump non sorprende se si considera che l’attuale segretario della Salute e dei Servizi umani, Alex Azar, sia anche un magnate delle lobby farmaceutiche pronto a mettere il vaccino nelle mani di aziende private, facendone così lievitare il prezzo: “Vorrei potervi assicurare che il vaccino sarà alla portata di tutti, ma non possiamo controllare i prezzi perché abbiamo bisogno degli investimenti dei privati”, ha detto infatti al Congresso. Ennesima conferma che probabilmente nulla cambierà nell’approccio statunitense alla ricerca, alla medicina e alla sanità in generale.