C’è una battaglia antica della cui storia oggi ci rimangono solo alcuni frammenti. Uno scontro che vede protagoniste due schiere molto diverse. Stiamo parlando dei virus e degli organismi viventi. I primi, sono i rappresentanti di una quasi-vita o non-vita, personaggi ambigui per i loro attributi (a differenza di quanto si potrebbe pensare non solo negativi). Sono sul confine tra organico e inorganico. Dall’altra invece i viventi: multiformi e al confronto esponenzialmente più complessi.
Non tutti gli scienziati concordano sul fatto che un virus sia un essere vivente. I virus sono infatti strutture organiche estremamente semplici in grado di replicarsi in semi-autonomia. Sono state descritte dettagliatamente almeno 5mila, ma se ne conoscono molte di più. Per fortuna però presentano delle caratteristiche strutturali condivise: un involucro proteico in cui contenere il proprio materiale genetico e qualche “utensile” molecolare sull’involucro per riconoscere il bersaglio cellulare da attaccare per penetrarvi. Non molto altro in effetti, stiamo in fondo parlando di creature decine, se non centinaia di volte più piccole di una cellula batterica in media.
Sappiamo poco sull’origine dei virus. Possiamo dire che ci sono tre fondamentali ipotesi. La prima è quella della “degenerazione” e suggerisce che potessero essere organismi unicellulari molto semplici che svilupparono attitudini parassitiche nei confronti di altre cellule e che col tempo finirono per affinarsi a tal punto da perdere il grosso del materiale genetico che serviva alle altre funzioni, diventando delle perfette macchine da invasione e replicazione. La seconda è quella della “fuga”, che vede i virus come evoluzioni dai plasmidi o trasposoni (frammenti di materiale genetico batterico che possono muoversi nella cellula). Questi avrebbero abbandonato la cellula ospite originaria portando con sé parte della membrana con qualche proteina, diventando così una unità minima di replicazione quasi autonoma. La terza ipotesi, invece, è forse la più affascinante e riguarda una possibile “coevoluzione” di virus e batteri. Si suppone che i virus semplicemente si siano evoluti chimicamente da liberi frammenti circolari di RNA (una controparte del DNA con funzioni simili) presenti nel cosiddetto brodo primordiale. Incontrando le coeve cellule batteriche e venendone fagocitati, questi trovarono un ambiente chimico meno aggressivo e più consono alla replicazione spontanea. Tutte queste ipotesi sono promettenti, ma serviranno molto tempo e ricerca per giungere a una risposta.
Tuttavia nonostante nell’immaginario collettivo i virus siano cattivi e pericolosi, come per i batteri, solo una piccola parte di loro costituisce un pericolo per l’uomo. La stragrande maggioranza dei virus non può nuocere all’uomo e si occupa più che altro di nuocere ai batteri. La guerra che infuria da miliardi di anni, infatti, vede senza dubbio come protagonisti nella fazione dei viventi i batteri. Tra virus e batteri c’è una rivalità eterna e asprissima, che ha probabilmente portato anche a un nostro arricchimento. In termini di evoluzione, infatti, la competizione è spesso generatrice di innovazione. A questo si riferisce il concetto di co-evoluzione, quando due o più specie si influenzano costituendo l’una per l’altra un importante fattore di selezione. Molti virus si sono infatti co-evoluti con i batteri. Un virus quando penetra un organismo ospitante inserisce il proprio materiale genetico (DNA o RNA a seconda dei casi) mescolandolo a quello dell’ospitante. Sfrutta dunque il ciclo vitale dell’ospite e le sue proteine per far replicare il proprio materiale genetico e lasciare che siano gli organi del parassitato a produrre i propri costituenti. Quando però un batterio svolge questa operazione a lungo, si riempie fisicamente di copie del virus che lo portano letteralmente a scoppiare. Si parla in questo caso di ciclo virale litico.
La cosa però si fa interessante quando invece si verifica un ciclo virale lisogeno. Nel ciclo lisogeno il materiale genetico del virus si inserisce in quello dell’oste senza causarne direttamente la morte. Rimane sopito, in “attesa” delle giuste condizioni magari, o semplicemente per qualche motivo non porterà alcuna conseguenza immediata. I batteri che riuscivano a evitare il ciclo litico ovviamente, proliferavano e questo nel tempo li ha portati a diffondere meccanismi di protezione anche molto efficaci, uno su tutti il CRISPR/Cas 9.
CRISPR è un acronimo che forse avrete sentito riguardo al cosiddetto “editing genomico” mentre la Cas 9 è una proteina, insieme formano un sistema antivirale che sfruttiamo in molti modi. Se siamo arrivati a modificare il genoma di molti organismi nel modo più preciso, rapido ed efficiente di sempre, lo dobbiamo ai virus, ai batteri e alla loro storica rivalità. Quando un batterio sopravvive a un attacco virale da parte di un virus batteriofago (o abbreviato “fago”) conserva il DNA del fago in un archivio di segmenti genetici denominati appunto CRISPR. La proteina Cas 9 sfrutterà questo materiale per assicurarsi che nel DNA batterico non ce ne siano altre copie libere. Qualora trovasse una corrispondenza del 100% taglierebbe letteralmente via il DNA virale riconosciuto, proteggendo il batterio da quella infezione. Noi umani sfruttiamo il sistema CRISPR/Cas 9 per riconoscere segmenti di DNA che ci interessano, ritagliarli via e crearne grandi quantità in laboratorio, per studiarle. Ma non lo usiamo solo per “silenziare” o eliminare, con qualche piccola accortezza possiamo anche sfruttarlo per “scrivere” e aggiungere i nostri contributi al genoma di un organismo. Le applicazioni possibili sono smisurate, in medicina questo sistema ha iniziato una nuova era della terapia genica. La biologia sintetica, nella grande biblioteca genetica di un organismo è passata dallo studiare e agire al livello delle sezioni tematiche, all’intervenire sui singoli volumi.
Ma come vere biblioteche viventi, anche noi trasportiamo i frammenti di queste antiche narrazioni. Si stima che tra l’8 e il 10% del nostro genoma sia in effetti di derivazione virale. I nostri antenati, in maggioranza neanche lontanamente umanoidi, sono infatti venuti in contatto con infezioni virali con esito lisogenico. La paleovirologia ci ha fornito molte risposte in merito. Comparando genomi di creature viventi e fossili si può verificare fino a quanto tempo fa una determinata sequenza del genoma è presente. Risalendo i nostri alberi genealogici all’indietro in questo modo, è possibile osservare in quale epoca la sequenza non sia più presente e stabilire in quale biforcazione evolutiva dell’albero della vita il contatto virus-antenato sia avvenuto. Così possiamo sapere con una certa precisione a quale nostro antenato dobbiamo quella eredità, o addirittura se siamo fortunati, scoprire se un determinato organismo estinto fosse o no un nostro antenato.
Queste testimonianze scritte della nostra storia evolutiva, lasciateci dai virus hanno portato alla ribalta un’interessante teoria che ci riguarda da vicino. L’evoluzione della placenta nei mammiferi, umani compresi e il passaggio da una riproduzione ovipara a una vivipara, sono molto probabilmente dovuti a DNA virale. Un tipo particolare di virus, un retrovirus, 115 milioni di anni fa avrebbe infettato le cellule germinali di un antenato pre-mammaliano lasciandogli la possibilità di sintetizzare la proteina Syncitina Car1. Questa proteina, permette ai virus di fondersi con le membrane degli ospiti e la comparsa dei geni che codificano la Syncitina 2 (una variante derivata dalla Syncitina 1) nei mammiferi è stata fondamentale nello sviluppo della placenta, un organo costituito dalla fusione di tessuti della madre e del figlio. Anche l’inserimento dello zigote nei tessuti materni è molto simile a un atto invasivo in effetti. Lo zigote – e successivamente l’embrione e il feto – sfrutta il sangue della madre per svilupparsi mentre evita di essere attaccato dal suo sistema immunitario. Un virus insomma ci ha insegnato un po’ di trucchi del mestiere nel processo di sviluppo umano più simile a una infezione di parassita.
Ma i virus hanno trasformato le società umane in molti modi, come osserva il biologo Jared Diamond nel best seller Armi, acciaio e malattie. Quando i conquistadores spagnoli invasero il Sudamerica, lo fecero portando con se un’arma ben più potente della polvere da sparo, delle spade o delle balestre: portarono i virus. Ovviamente un avvenimento storico come la conquista del Sudamerica non si può ricondurre a un singolo fattore, la superiorità bellica degli spagnoli e la particolare costituzione del governo azteco furono determinanti, ma un dato molto importante salta all’occhio. Dopo la riportata epidemia di vaiolo che scoppiò sull’isola di Hispaniola, per cinquant’anni ci furono focolai di vaiolo in tutto il continente sudamericano. Persino illustrazioni antiche mostrano gli aztechi che muoiono di vaiolo. Nel 1519, all’inizio della conquista degli spagnoli, in Messico vivevano circa 30 milioni di persone. Alla fine del secolo ne erano rimaste solo 1,5 milioni circa. Questi numeri fanno riflettere sulla potenza devastante delle epidemie, soprattutto quando la medicina non era ancora sviluppata.
Nonostante tutto, però, i virus sono stati elementi indispensabili per la vita. La loro rapida capacità di replicazione e mutazione, unita alla possibilità di inserire materiale genetico negli organismi viventi li rende agenti importantissimi nella trasmissione di informazione genetica “orizzontale” e non convenzionalmente associata alla riproduzione diretta. Il loro epico scontro con i batteri ci ha regalato un’innovazione come il sistema CRISPR/Cas 9 e la promettente terapia fagica. Ci hanno devastati più volte, determinando gli esiti di intere guerre, ma ci hanno anche resi ciò che siamo. Che lo volessimo o meno, i virus hanno invaso la nostra vita, diventando un elemento fondamentale in molti fatti umani, sia evolutivi che sociali. Comprenderli, non demonizzarli, sfruttarli e non vederli come antagonisti della storia, ci permetterà di vivere meglio, affrontando anche in prospettiva la crisi a cui oggi ci stanno costringendo.