Com’era prevedibile sin dall’inizio dell’emergenza, il costo del lockdown sarà pagato principalmente dalle famiglie a basso reddito e dai lavoratori precari. Uno studio condotto dal Sole24Ore ha calcolato, sulla base dell’indagine sui bilanci dei nuclei famigliari della Banca d’Italia, che dopo due mesi di isolamento potrebbero scendere sotto la soglia di povertà un numero tra le 100mila e le 260mila famiglie. Si tratta di una percentuale che oscilla tra lo 0,4% e l’1% dei nuclei familiari nel nostro Paese. Se questa dovesse prolungarsi oltre, diciamo per sei mesi, il numero aumenterebbe da 180mila a 390mila. Se la crisi dovesse continuare fino all’autunno, la percentuale di famiglie in pericolo potrebbe superare il 2% al Sud e l’1,5% al Centro, mentre resterebbe al di sotto dell’1% nelle Regioni del Nord Italia.
Secondo l’Ocse, essere sotto la soglia di povertà significa non essere in grado di acquistare i beni e servizi considerati essenziali. Per questo motivo è importante prevenire che un numero così alto di persone sia impattato dal lockdown, attraverso misure di sostegno come quelle già messe in campo dal governo, come il sostegno al reddito dei lavoratori indipendenti e la cassa integrazione per i dipendenti. Potrebbero però non essere sufficienti. L’Alleanza contro la Povertà – una coalizione di 35 associazioni, enti e soggetti sociali attiva sin dal 2013 – ha dichiarato che “sarà necessario che il Reddito di cittadinanza sia rafforzato per raggiungere tutte le persone in condizioni di povertà con interventi mirati.” Un appello che è stato accolto anche dal ministro per il Sud Giuseppe Provenzano, il quale ha individuato due strade: “la prima,” ha spiegato, “è estendere il RdC, superando in questa fase alcuni vincoli e rafforzando i controlli.” La seconda, è “qualcosa che si approssimi all’assegno unico familiare e che accompagni le altre misure di carattere sociale”.