Una questione di cui ci si è poco occupati in questi giorni di pandemia è quella che riguarda le persone che non hanno facile accesso, oppure non ce l’hanno affatto, alle cure sanitarie: coloro che sono senza documenti. Per nulla esenti dal contagio, sono migranti o richiedenti asilo che spesso vivono in strutture sovraffollate, dove il rischio di diffusione della malattia è piuttosto alto. Per ovviare a questo problema, il premier socialista del Portogallo António Costa ha varato una misura che regolarizza, fino al mese di luglio, tutti i richiedenti asilo nel Paese, per permettere loro di accedere alle cure qualora ne avessero bisogno. Un gesto di umanità in un momento di crisi, ma anche una scelta lungimirante e pragmatica in quanto agevola l’eliminazione di focolai nascosti, che, se non individuati tempestivamente, potrebbero ritardare l’eliminazione della COVID-19.
Nel nostro Paese la salute è riconosciuta come un diritto fondamentale dalla Costituzione, e le leggi Turco-Napolitano e Bossi-Fini, rispettivamente del 1998 e del 2002, confermano tale diritto anche per tutti i cittadini stranieri, con o senza permesso di soggiorno. Dunque, dal punto di vista strettamente teorico, il problema in Italia non si pone. Tuttavia, le organizzazioni non governative che si occupano di migranti, come Medici senza frontiere, hanno più volte denunciato l’esistenza di barriere amministrative o informative che, di fatto, impediscono a chi è senza documenti di ricevere l’aiuto medico di cui ha bisogno.