Così come l’attacco al World trade center nel 2001, il fallimento della Lehman Brothers nel 2008 o il gesto suicida dell’ambulante tunisino Mohamed Bouazizi nel 2010, anche la pandemia del 2020 sarà ricordata come uno di quei momenti del Ventunesimo secolo che hanno cambiato il corso degli eventi. Questi mesi in tutto il mondo hanno esacerbato conflitti sociali già esistenti e allontanato dal centro dell’azione politica soggetti già ai margini. Tuttavia, hanno anche dimostrato di avere il potenziale per riportare nella quotidianità dei cittadini un forte senso di comunità: milioni di persone hanno riconsiderato la propria responsabilità civica, si sono messe in isolamento per tutelare gli altri, e non solo perché obbligate, si sono organizzate in gruppi solidali per offrire supporto ai più deboli e ai lavoratori in prima linea. Perdipiù, ha reso piuttosto evidente l’inefficienza dei modelli di leadership autoreferenziali, antiscientisti e censuranti, oltre l’importanza della collaborazione internazionale nelle sfide globali.
Prima della COVID-19 la lotta contro il cambiamento climatico rappresentava l’obiettivo comune per eccellenza, anche se a onor del vero raramente è stato trattato come tale. Da questo punto di vista, la pandemia ci mette di fronte a un bivio più di quanto non lo abbiano fatto decenni di avvertimenti da parte della comunità scientifica: possiamo lasciare che la COVID-19, e le ripercussioni che inevitabilmente avrà sull’economia globale, arrestino il seppur timido processo di transizione energetica e conversione sostenibile del nostro modello produttivo, oppure possiamo approfittare di questo momento di “pausa” e massicci interventi statali per ripensare il nostro stare al mondo in chiave sostenibile ed equa, facendo della pandemia un volano verso la riconversione.
Lo stop forzato alle attività produttive e la netta riduzione del traffico stradale e aereo hanno generato una drastica riduzione nelle emissioni, che entro la fine dell’anno potrebbe arrivare al 5% su scala globale, la più drastica mai registrata – seppur molto lontana dalla riduzione del 7,6% annuo che servirebbe a dimezzare le emissioni entro il 2030. L’Ocse ha previsto che, a fine 2020, il Pil mondiale potrebbe essere fino al 3% inferiore rispetto al 2019, mentre la Commissione europea ha calcolato una perdita del 9,7% nel commercio planetario. Per la prima volta dalla crisi finanziaria del 2009 la domanda di petrolio è diminuita e, insieme ad altri fattori, ha innescato un unicum nella storia: il prezzo del WTI (West Texas Intermediate) è sceso sotto lo zero. La ragione di questi numeri tuttavia, non sta in politiche ecologiste, ma nel drastico calo della domanda, il che non lascia ben sperare per il futuro.
La storia, infatti, ci ha dimostrato che i periodi di recessione sono seguiti da impennate nelle emissioni. Ad esempio, come ha spiegato Glen Peters, il direttore del Dipartimento di ricerca del Center for International Climate and Environment Research di Oslo, alla crisi finanziaria del 2007-2008 è seguito un periodo di forte crescita (pari al 5,1%) dell’inquinamento. Anche Faith Birol, economista a capo dell’Agenzia internazionale dell’energia, ha dichiarato al Guardian: “Queste cifre sono importanti e impressionati, ma non mi fanno felice. Per me ciò che è importante è quello che accadrà l’anno prossimo e quello dopo ancora”. Della stessa opinione è Lars Peter Riishojgaard, della World Meteorological Organization: “La pandemia a un certo punto finirà e il mondo tornerà al lavoro e con esso anche le emissioni di CO2 ricominceranno a crescere”. Finora, la realtà gli sta dando ragione. Grazie al satellite Copernicus Sentinel-5p l’Agenzia spaziale europea è stata in grado di tracciare l’andamento del diossido di azoto nei cieli della Cina: subito dopo il calo che si è verificato verso la fine di gennaio, i livelli di questa sostanza (strettamente legata all’attività produttiva e al traffico) sono già di nuovo in aumento.
Una recessione globale, inoltre, senza interventi drastici e rivoluzionari rispetto alle politiche che hanno plasmato il mondo in cui viviamo, non farà che inasprire le disuguaglianze che già dividono il globo in due parti molto disomogenee in numero e disponibilità di risorse. L’emissario Onu Philip Alston ha condannato le misure messe in campo da molti governi in queste settimane come frutto di un “Darwinismo sociale, che dà la priorità agli interessi economici dei più benestanti e fa ben poco per coloro che stentano a procurarsi il necessario per vivere.” Il World food programme ha avvertito infatti che la pandemia potrebbe negare l’accesso fisico, sociale ed economico a un’alimentazione corretta a 265 milioni di persone nel mondo. Anche all’interno degli stessi Paesi benestanti si è visto come le misure restrittive abbiano avuto un impatto ben maggiore sulle vite di coloro che già normalmente subiscono discriminazioni: donne, disabili, precari, poveri, senzatetto, migranti.
Ma non deve essere per forza così, possiamo decidere di prendere una strada diversa. In queste settimane quasi tutti i governi del mondo, e le più importanti istituzioni internazionali, stanno preparando pacchetti di stimolo all’economia da centinaia se non migliaia di miliardi di euro. Un investimento mai visto, che può essere indirizzato verso infrastrutture e industrie che rinsaldino la nostra dipendenza dai combustibili fossili e cristallizzino le disuguaglianze per i prossimi decenni, oppure andare nella direzione opposta, quella della sostenibilità e della redistribuzione della ricchezza.
Dal punto di vista concreto, le proposte ci sono già. Un gruppo di professori e ambientalisti statunitensi ha inviato una lettera programmatica ai membri del Congresso in cui elencano le misure che possono essere messe in campo subito, per far fronte alla recessione e all’emergenza climatica contemporaneamente: creazione di posti di lavoro nell’economia circolare; investimenti in infrastrutture per l’approvvigionamento energetico, il trasporto e il commercio sostenibili; efficientamento degli edifici e la loro trasformazione in un’ottica di autonomia energetica.
Un simile appello è arrivato alla Commissione europea da parte di 11 ministri dell’Ambiente, compreso quello italiano Sergio Costa, i quali chiedono che il Green New Deal non venga accantonato nel post-pandemia. Una raccolta firme dei cittadini comunitari chiede inoltre l’introduzione di una tassa sulla CO2 che sostituisca l’attuale sistema basato sulle quote di emissione, il quale genera un mercato di compravendita che spesso vanifica lo scopo per cui è stato creato. Tuttavia, sono già diversi gli Stati membri ancora profondamente dipendenti dal carbone che chiedono invece il contrario, come l’Ungheria, la Polonia e la Repubblica Ceca – tutti alleati della destra sovranista nostrana. Si preannuncia dunque un forte scontro all’interno dell’emiciclo, e la linea che prevarrà segnerà anche il ruolo dell’Ue nell’indirizzare le politiche dei 27 verso la sostenibilità.
Da un punto di vista più locale, poi, ci sono le idee per le città. La sindaca di Amsterdam, Marieke van Doorninck, ha annunciato per esempio che per la ripartenza della capitale olandese si ispirerà al modello economico della ciambella, ideato dall’economista di Oxford Kate Raworth. Questo pone in forma grafica un punto sul quale ormai concordano diversi esperti, ovvero che non ci può essere giustizia climatica senza giustizia sociale, e viceversa. Per questo motivo i legislatori devono tenere in considerazione entrambi gli aspetti se vogliono mettere al sicuro il futuro delle prossime generazioni.
Un esempio pratico di questo approccio è offerto dalla questione abitativa, molto sentita nella capitale olandese: non si trovano appartamenti e, quando si trovano, costano così tanto da non permettere a chi li abita di fare molto altro con il proprio stipendio, se non pagare l’affitto. Di fronte a questo problema, si possono scegliere due approcci. Il primo prevede la costruzione di nuove case: l’economia gira, l’offerta aumenta e, in teoria, i prezzi si abbassano. Aumentano però la cementificazione e le emissioni e, senza un controllo su chi acquista, non è detto che il prezzo si abbassi davvero. Costruire in un’ottica sostenibile, sia nei materiali che nella visione urbanistica del quartiere, e allo stesso tempo introdurre normative che impediscano il cannibalismo del settore residenziale da parte dei grandi investitori, è un ottimo modo per tenere un approccio “a ciambella”.
Anche Beppe Sala, sindaco di Milano, ha annunciato un piano per rivedere il trasporto cittadino in chiave sostenibile nel dopo-pandemia, con la trasformazione di 35km di strade in aree pedonali o ciclabili. C’è poi la proposta del governo spagnolo, di usare parte dei soldi messi in campo per stimolare l’economia in una forma di reddito universale di base. C’era, ma è stata bocciata persino da esponenti della sinistra come lo stesso Sala, la proposta dell’ex ministro alle Infrastrutture, Graziano Del Rio, di introdurre una piccola tassa sui redditi superiori agli 80mila euro annui, con cui raccogliere una somma stimata di 1,3 miliardi di euro da destinare al welfare.
Sin dall’inizio della pandemia gli scienziati hanno messo in luce quanto questa sia strettamente collegata all’emergenza climatica. Non solo perché, come si è visto, è molto probabile che l’inquinamento aggravi i sintomi della malattia respiratoria che ha ucciso più di 211mila persone nel mondo e che ne faciliti la diffusione, ma anche perché mette in luce le storture del rapporto dell’uomo con le altre specie terresti e con la Terra stessa; un rapporto predatorio che ogni giorno aumenta il divario tra ricchi e poveri e devasta l’ecosistema. La classe politica e dirigente ha il potere di trasformare questa relazione tenendo presente l’interconnessione tra esseri umani, animali, piante ed ecosistema, riconoscendo che il benessere di ciascuno di questi elementi dipende anche dal benessere degli altri due. La scelta è nelle sue mani, di quella attualmente in carica e di quella che verrà eletta nel giro di un paio d’anni al massimo, perché la finestra di tempo si chiuderà presto. Come avvertono gli scienziati, infatti, il 2020 rappresenta un anno cruciale, forse l’ultima occasione concreta di riuscire a mantenere l’innalzamento delle temperature sotto il 1,5°C.
Anche per questo la pandemia rappresenta un’occasione unica: ha spinto molti governi a intervenire nel mercato in un modo quasi mai visto prima e ha reso evidente l’importanza della collaborazione internazionale proprio nel momento che rappresenta l’ultima possibilità di agire concretamente per salvare l’ecosistema. Questi giorni sembrano proprio le proverbiali “settimane in cui accadono decenni” di cui parlava Lenin, e non c’è dubbio che le scelte di oggi plasmeranno il futuro del Pianeta e dell’umanità.