“Lo dico ad agenti di polizia e militari: se ci sono problemi e c’è la possibilità di resistenza, o se le vostre vite sono in pericolo, sparate loro e uccideteli. Ci siamo capiti? Morti. Pur di non causare problemi, vi seppellisco io stesso”. Con queste parole il Presidente delle Filippine Rodrigo Duterte ha istruito le forze di sicurezza del Paese al contrasto dei dissidenti della quarantena, coloro che violeranno le misure restrittive imposte dal governo.
Gli ordini sono arrivati in seguito a una serie di proteste che hanno attraversato il Paese, specialmente nelle aree povere della capitale Manila e nella città di Quezon City, sull’isola di Luzon. Qui, la maggior parte delle persone sopravvive grazie a lavori giornalieri, ora impossibili da trovare per via dell’emergenza. Per questo, in molti sono scesi in piazza per chiedere un aiuto da parte del governo. Amnesty International, che ha raccolto alcune testimonianze delle manifestazioni, riporta che i cittadini sono stati attaccati con violenza dalle forze dell’ordine e picchiati con bastoni di legno. “Gli abusi perpetrati in questi giorni per punire coloro che violano la quarantena e gli arresti di massa, specialmente tra la popolazione più povera, sono ulteriori esempi dell’approccio repressivo del governo nei confronti di coloro che faticano a ottenere i beni di prima necessità”, ha dichiarato il direttore della sede filippina dell’Ong Butch Olano. Secondo quanto riportano i dati della polizia locale, già 17mila persone sono state arrestate per violazione delle misure restrittive e, secondo alcune testimonianze, alcuni dei detenuti sono stati anche torturati, fatti sedere per ore sotto il sole cocente o stipati in gabbie per animali.
Le Filippine non sono l’unica preoccupazione per coloro che si occupano di diritti umani e civili in tempi di Covid-19. Diversi leader autoritari stanno approfittando dell’emergenza per reprimere il dissenso, esercitare un controllo repressivo sulla popolazione o su alcune minoranze e far passare leggi emergenziali antidemocratiche che probabilmente avranno delle conseguenze pesanti anche una volta terminata la fase sanitaria dell’emergenza.
Alcuni video circolati sui social media hanno mostrato al mondo la polizia indiana colpire la popolazione con bastoni per imporre le misure di contenimento; le autorità stanno attualmente indagando le ragioni della morte di due persone, che secondo quanto riporta il Times of India sono state picchiate dagli agenti. Tra le vittime degli abusi ci sono anche molti lavoratori pendolari che dopo la repentina imposizione del lockdown da parte del premier Narendra Modi hanno perso il lavoro e sono rimasti bloccati in città, per poi essere costretti a rientrare nei loro villaggi a piedi a causa della sospensione dei treni.
Il Presidente del Turkmenistan Gurbanguly Berdymukhamedov ha dichiarato che nel Paese non c’è alcun caso di coronavirus, nonostante questo confini con l’Iran, che ha confermato quasi 60mila pazienti positivi alla COVID-19. Perdipiù, l’organizzazione internazionale Reporters sans frontières ha riferito che il governo turkmeno ha oscurato qualsiasi informazione riguardo la pandemia su internet e sui media, entrambi controllati dal potere centrale, e ha ordinato che ogni riferimento all’emergenza venisse rimosso anche dalla brochure distribuite in ospedali e scuole. Anche in Giordania e Thailandia i rispettivi capi di Stato stanno usando la scusa delle false notizie sulla pandemia per controllare la stampa.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha invece autorizzato l’intelligence a raccogliere dati dagli smartphone dei cittadini per tracciarne i movimenti e punire coloro che violano le misure restrittive. La sospensione del diritto alla privacy, più o meno accentuata e più o meno temporanea, è una caratteristica che accomuna diversi Paesi: non solo la Cina, dove già normalmente la riservatezza non è particolarmente tutelata, per usare un eufemismo, ma anche Taiwan e Corea del Sud. Anche in Italia e altri Paesi occidentali sono stati sollevati diversi dubbi sulla costituzionalità dell’utilizzo dei dati sulle celle telefoniche per tracciare gli spostamenti del cittadini, anche se in molti di questi casi, specialmente in Unione europea, si tratta (o si dovrebbe trattare) di dati aggregati e anonimi.
Attualmente primo Paese per numero di casi, nemmeno gli Stati Uniti sono esenti dai tentativi, da parte di alcuni personaggi, di piegare la pandemia alla propria agenda politica. Il dipartimento di Giustizia ha chiesto al Congresso di accordare ai suoi ufficiali maggiori poteri, come quello di revocare la protezione umanitaria ai richiedenti asilo e imprigionare i migranti a tempo indeterminato. Una richiesta che è stata rigettata in favore di una più moderata. In Kentucky, South Dakota e West Virginia le autorità hanno emanato leggi che prevedono pene pesanti, compresa la galera, per coloro che partecipano a proteste che possano mettere a rischio le “infrastrutture critiche”, ovvero quelle usate per la produzione e il trasporto di petrolio o gas. Non si tratta di un caso: sono già 11 gli Stati che hanno approvato in passato simili normative, in un tentativo generalizzato (e ben retribuito) di sopprimere le contestazioni ambientaliste contro l’uso dei combustibili fossili.
Altro obiettivo tipico dell’agenda repubblicana più ortodossa, oltre a ritardare l’azione contro l’emergenza climatica, è spesso limitare i diritti civili delle donne e delle minoranze di genere. Infatti, in sei Stati conservatori le autorità hanno classificato l’interruzione volontaria di gravidanza come pratica medica non essenziale, di fatto impedendo l’accesso all’aborto se non in condizioni di assoluta necessità. Fortunatamente, in buona parte di questi casi la teoria di Montesquieu che sta alla base dell’ordinamento democratico ha funzionato, e la magistratura è intervenuta rendendo nulli i provvedimenti. In Texas, però, i giudici sono stati di altro avviso e una Corte di Appello ha dato il via libera al reinserimento dell’abortion ban. Tutto questo mentre le autorità dello stesso Stato hanno permesso alle chiese di rimanere aperte per le normali funzioni eucaristiche, considerate evidentemente più essenziali della libera scelta delle donne, nonostante in molti casi siano stati proprio i luoghi di culto a generare nuovi focolai.
Come già era emerso in passato, una certa parte della politica e della società italiane provano una forte ammirazione verso quel mondo statunitense reazionario e bigotto. Infatti, anche in questo caso, hanno tentato di seguire gli stessi passi dei propri modelli conservatori oltreoceano. ProVita e Famiglia, uno dei maggiori gruppi pro life italiani, ha avviato una petizione online indirizzata al ministero della Salute per chiedere la sospensione dell’Ivg negli ospedali durante la pandemia. “Si continua imperterriti a sopprimere i bambini nel grembo materno e a considerare la pratica abortiva come se fosse un servizio, essenziale, indifferibile e urgente,” scrivono nel volantino, chiedendo che “siano interrotte le operazioni abortive, sia quelle chirurgiche che quelle farmacologiche”. Dall’altra parte, Matteo Salvini, che lo scorso anno ha sfilato fieramente al World Congress of Families di Verona, in questi giorni si sta spendendo affinché le chiese vengano riaperte per le celebrazioni pasquali.
A preoccupare nel vecchio continente è anche l’accentramento ingiustificato dei poteri nelle mani del Presidente ungherese Viktor Orbán. Con il controllo dei due terzi del Parlamento il leader sovranista è riuscito a sospendere l’attività parlamentare a tempo indeterminato, solo poco dopo essersi fatto approvare una legge che gli assicura la possibilità di governare per decreto, bloccare le elezioni e abrogare leggi già in vigore. Inoltre la norma prevede otto anni di carcere per coloro che non rispettano il coprifuoco e dieci per chi diffonde “fake news”, una definizione tanto vaga quanto pericolosa. Di fronte alla richiesta delle opposizioni di inserire una scadenza per quelle che dovrebbero essere misure emergenziali contestualizzate in un momento di crisi, Orbán ha usato la tipica retorica polarizzante e dualista dei leader populisti: “O siete con me, o siete con il virus”.
Anche in passato il leader di Fidesz, il principale partito ungherese, ha sostenuto diverse norme aspramente criticate dalla comunità internazionale e dalle opposizioni. Come allora, anche oggi le istituzioni europee hanno espresso pareri critici: 15 sugli 82 partiti che compongono la grande coalizione dei Popolari nell’europarlamento, non i più importanti tuttavia, hanno chiesto l’esclusione di Fidesz dal gruppo, mentre la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha invitato gli Stati membri a non indebolire le tutele democratiche, senza però rivolgersi direttamente all’Ungheria. Risposte di certo non dure o particolarmente coraggiose, ma che si spera si possano tradurre in qualcosa di concreto nelle prossime settimane, quando gli eurodeputati si riuniranno in seduta plenaria straordinaria per votare una serie di misure relative all’emergenza. Tra queste, infatti, dovrebbe esserci anche la procedura prevista dall’articolo 7 del Trattato dell’Unione europea, che permette di sospendere i diritti di adesione (come quello di voto in Consiglio) in caso di violazione grave e persistente dei principi fondanti della Comunità europea.
Sempre all’interno dell’Ue, il primo ministro Janez Janša ha costituito un’unità di crisi indipendente dal controllo delle altre istituzioni del Paese, aggirando la Costituzione. Questa, secondo quanto denunciano osservatori e intellettuali del Paese, ha già iniziato a indirizzare le proprie “attenzioni” verso personaggi poco favorevoli al governo, come il filosofo Slavoj Žižek. Janša ha anche rimpiazzato i vertici delle forze di sicurezza e di intelligence slovene con simpatizzanti del suo partito, l’Sds, di estrema destra. Ora il suo governo ha annunciato di voler metter in campo provvedimenti gravemente limitativi della libertà personale, come i pedinamenti, intercettazioni e perquisizioni dei pazienti ritenuti positivi al virus.
La sostenibilità democratica della pandemia è un tema rilevante in buona parte dei Paesi colpiti, al netto delle sostanziali differenze tra questi. Anche in Italia, i picchi di giustizialismo folle tra la cittadinanza e le velleità da sceriffo di sindaci e governatori non sono un bello spettacolo. Per quanto i tempi teatrali di Vincenzo De Luca facciano invidia a Fortunato Cerlino, pensare che un esponente del principale partito della sinistra italiana si esprima in quei termini smorza inevitabilmente il sorriso. Le immagini che abbiamo visto fanno riflettere sulle tendenze fascistoidi di una fetta della popolazione e della classe dirigente che sembrava non aspettassero altro per sfogare le loro smanie di controllo sul prossimo. E queste tendenze, purtroppo, con la fine della pandemia non verranno sospese insieme a buona parte delle misure di contenimento, ma potrebbero tradursi in governi democraticamente eletti che mettono a rischio i diritti forse più della peggiore emergenza sanitaria.
Non tutti si possono dire certi che i propri diritti verranno ristabiliti una volta passata l’emergenza: per questo è importante che in un momento tanto delicato per l’intera comunità globale, le organizzazioni fondate per tutelare la pace e i diritti facciano il loro lavoro di monitoraggio, impedendo che delle violazioni temporanee diventino la realtà quotidiana per miliardi di persone.