Perché gli scienziati sono sicuri che la COVID-19 non sia stata prodotta in laboratorio

È quasi inevitabile che ogni nuova epidemia porti con sé anche le più disparate teorie del complotto riguardanti la sua origine e la sua diffusione. Era avvenuto nel 1918 per l’Influenza Spagnola, considerata in Spagna e negli Stati Uniti un’arma biologica portata dai sommergibili tedeschi, o nascosta – sempre dai tedeschi – nelle pastiglie di aspirina, ed era avvenuto in tempi più recenti con la SARS, ritenuta un cocktail di virus prodotto in laboratorio a partire da quelli che causano la parotite e il morbillo. Tutto questo oggi, in un periodo in cui abbiamo a disposizione moltissimi modi per filtrare e verificare le notizie che ci arrivano, dovrebbe sembrarci assurdo, invece non è così.

Sin dal mese di gennaio, infatti, inizio dell’emergenza sanitaria in Cina, si sono rincorse varie teorie sull’origine del nuovo coronavirus che causa la COVID-19. Quasi più velocemente del virus stesso, sono diventate virali fake news e bizzarre teorie del complotto, che di volta in volta hanno definito il virus SARS-CoV-2 un’arma biologica per mettere un freno all’economia cinese in rapida crescita, oppure un prodotto di laboratorio, fuoriuscito per incidente – o fatto fuoriuscire deliberatamente – dai laboratori del Wuhan Institute of Virology. Alcuni esponenti politici della Cina e degli Stati Uniti sono arrivati ad accusarsi reciprocamente per aver avviato la diffusione della pandemia, basandosi però solo su sospetti, voci di corridoio o presunti complotti messi a tacere dalla censura cinese. Prove a sostegno delle reciproche accuse, ovviamente, nessuna.

Il 17 marzo scorso, però, è stato pubblicato su Nature Medicine un articolo che si impegna a far luce sull’origine del virus e ad avanzare ipotesi ponderate. Un team di ricercatori guidato dall’immunologo Kristian G. Andersen ha infatti comparato il genoma del nuovo coronavirus con quelli dei sette altri coronavirus umani conosciuti: quelli che causano gravi malattie come la SARS e la MERS e altri quattro che, invece, causano quello che chiamiamo raffreddore. Andersen e i colleghi hanno esaminato le caratteristiche genetiche delle proteine presenti sulla sua capsula esterna, che il virus utilizza per attaccarsi e in seguito penetrare nelle cellule ospiti. In particolare, sono state esaminate le sequenze genetiche responsabili di caratteristiche chiave di queste proteine, tra cui una sorta di uncino molecolare – definito porzione Rbd – con cui il virus attacca la cellula. Quando il virus entra in contatto con una cellula umana, la porzione Rbd si lega a una molecola chiamata Ace2. Questo legame è indispensabile per dare inizio all’infezione, cioè per fare in modo che il virus inizi a replicarsi all’interno della cellula ospite. Secondo lo studio, il legame che si crea tra la porzione Rbd e la molecola Ace2 nel caso del SARS-CoV-2 sarebbe talmente perfetto da non poter essere stato prodotto dell’ingegneria genetica, ma dall’evoluzione naturale.

Come prova a sostegno di questa affermazione, gli scienziati hanno esaminato tra gli altri il virus più simile che conosciamo a quello che causa la COVID-19, cioè il SARS-CoV, che ha provocato l’epidemia di Sars quasi venti anni fa. Nonostante le loro similitudini, i due virus presentano delle grosse differenze a livello genetico. Le simulazioni al computer, però, hanno mostrato che nessuna delle mutazioni è correlata al sito di legame con le cellule umane. Il nuovo coronavirus, quindi, ha trovato naturalmente un modo di mutare più efficace – e completamente differente – da qualsiasi mutazione creata in laboratorio. Inoltre, la struttura molecolare del SARS-CoV-2 è diversa da quella degli altri coronavirus umani conosciuti, ma molto simile a quella di alcuni coronavirus riscontrati nei pipistrelli.

“Comparando i dati disponibili sul genoma dei coronavirus conosciuti, possiamo fermamente stabilire che SARS-CoV-2 è stato originato da processi naturali”, ha detto Kristian Andersen.

I ricercatori hanno ipotizzato due possibili scenari per l’origine di questo virus. Il primo è simile a quanto avvenuto per gli altri coronavirus che hanno dato origine a epidemie nelle popolazioni umane. In questo scenario, l’uomo ha contratto il virus direttamente da un animale: probabilmente uno zibetto nel caso della SARS, e un dromedario nel caso della Mers. Nel caso di SARS-CoV-2, i ricercatori suggeriscono che il virus sia partito dai pipistrelli, sia stato poi trasmesso a un ospite intermedio – forse un pangolino – che ha poi portato il virus all’uomo. In questo scenario, le caratteristiche genetiche che hanno reso il virus così altamente patogeno per l’uomo erano già presenti prima del salto di specie.

Nel secondo scenario, la capacità di penetrare nelle cellule umane si sarebbe evoluta solo in un secondo momento, dopo lo spillover, il salto di specie. Alcuni virus che si sono originati dai pangolini, infatti, hanno strutture a uncino simili a quelle riscontrate in SARS-CoV-2: un pangolino, quindi, avrebbe passato il virus a un ospite umano e, una volta attaccatosi alla membrana cellulare, potrebbe aver evoluto le forbici molecolari per entrare nella cellula. A questo punto, secondo i ricercatori, il virus avrebbe acquisito la capacità di passare da un ospite umano all’altro. Tutti questi dettagli potranno aiutare gli scienziati a prevedere il futuro evolversi di questa pandemia. Se si rivelasse reale il primo scenario, la probabilità di epidemie future aumenterebbe, perché il virus potrebbe ancora essere presente nella popolazione animale e potrebbe, in qualsiasi momento, passare di nuovo a un essere umano, dando inizio a una nuova epidemia. L’eventualità che questo accada è però più bassa se il virus ha evoluto le caratteristiche patogene in un secondo momento.

Eppure, in contemporanea alla pubblicazione dell’articolo, ha iniziato a girare sui social, soprattutto in alcuni gruppi WhatsApp, un video trasmesso nel 2015 dal Tg Leonardo, il telegiornale scientifico della testata regionale Rai. Il servizio si riferiva a uno studio pubblicato quell’anno su Nature Medicine relativo a un esperimento su due virus: il primo era quello della SARS, il secondo era un virus simile, chiamato SHC014-CoV, presente in alcuni pipistrelli appartenenti alla specie Rhinolophus ferrumequinum. L’esperimento, come tanti altri che vengono normalmente svolti all’interno di laboratori ad altissimo biocontenimento, serviva a studiare nuovi virus e la loro potenziale pericolosità per l’uomo, per mettere a punto azioni preventive contro eventuali epidemie. Il fatto che nel video si parlasse di coronavirus ha, però, ancora una volta alimentato la teoria del complotto, secondo la quale quel virus ingegnerizzato sarebbe stato proprio l’attuale SARS-CoV-2. Un’eventualità subito smentita sia da Nature Medicine sia da molti scienziati, tra cui Fausto Baldanti, virologo dell’università di Pavia e del Policlinico San Matteo, che ha detto a La Repubblica che “Un virus naturale e uno creato in laboratorio sono perfettamente distinguibili. L’esperimento del 2015 è avvenuto sotto gli occhi di tutti. Il genoma di quel microrganismo è stato pubblicato per intero, e non è lo stesso del coronavirus attuale”. O come la virologa Ilaria Capua, secondo la quale “Il SARS-CoV-2 è un virus che deriva dal serbatoio selvatico. Non sappiamo ancora quante specie animali abbia colpito prima di arrivare all’uomo. Vorrei dire ai complottisti che il codice a barre, la sequenza, di quel virus di cui si parla nel Tgr Leonardo, è parte integrante della pubblicazione”.

Nonostante le numerose e autorevoli smentite, il video è stato ripreso con toni allarmistici da alcuni politici della Lega, come Matteo Salvini, che dopo averlo ricondiviso sul suo profilo Twitter, ha addirittura chiesto un’interrogazione parlamentare per verificare che quello mostrato non fosse il virus che ha causato la pandemia di COVIDovid-19. Un modo discutibile di continuare a fare propaganda politica anche in una situazione di emergenza, durante la quale l’unica mossa per uscirne il prima possibile è dare ascolto alla scienza e affidarsi a fonti autorevoli e verificate.

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