Il 4 ottobre 1957 lo Sputnik, il primo satellite artificiale, venne lanciato in orbita dall’Unione Sovietica dal cosmodromo di Bajkonur. Nonostante il fatto che le batterie si esaurirono dopo tre settimane, continuò a orbitare per altri due mesi prima di rientrare nell’atmosfera e distruggersi. Il successo della missione portò nuovi sviluppi in campo militare, tecnologico, scientifico e diede inizio alla corsa alla conquista dello spazio. Sulle strisce a fumetti per i quotidiani Topolino incontrava Eta Beta, mentre al cinema Hollywood produceva Ultimatum alla Terra, L’invasione degli ultracorpi e La guerra dei mondi. Già da anni la fantascienza stava immaginando esplorazioni interplanetarie, incontri con altre forme di vita e imprese eroiche di astronauti, ma proprio mentre l’idea dell’uomo sulla Luna si faceva sempre più realistica la letteratura vide la nascita di una corrente rivoluzionaria, la New Wave. Nei contenuti rigettò l’outern space, lo spazio esterno, che fino ad allora aveva costituito il tema d’indagine principale, per focalizzarsi sull’inner space, cioè gli abissi della mente umana e la violazione dei tabù. “I maggiori progressi dell’immediato futuro avranno luogo non sulla Luna o su Marte, ma sulla Terra; è lo spazio interiore, non quello esterno, che dobbiamo esplorare. L’unico pianeta veramente alieno è la Terra”, esorta lo scrittore britannico James Graham Ballard sulle pagine della rivista New Worlds in quello che è a tutti gli effetti considerato il manifesto della nuova ondata: Qual è la strada per lo spazio interiore?.
Nato a Shanghai nel 1930 da genitori inglesi, Ballard fu detenuto dagli occupanti giapponesi nel campo di internamento di Lunghua per due anni quando era appena adolescente. “Le guardie avevano l’orribile abitudine di convincere un ragazzo del risciò a riportarle dalla città al campo – distante circa sei o sette miglia – e, se avesse protestato, lo avrebbero picchiato, fatto a pezzi il risciò – il suo unico mezzo per guadagnarsi da vivere – e infine ucciso. Ricordo di essermi chiesto perché i miei genitori e gli altri adulti non intervenissero, ma non potevano”, scrive nell’autobiografia I miracoli della vita. Dopo la resa del Giappone e la liberazione del campo nel 1945, Ballard si trasferì con la madre e la sorella in Inghilterra, dove iniziò a frequentare un corso di medicina. L’esposizione infantile alla violenza e alla tortura, la scelta di interrompere gli studi per arruolarsi nella Royal Air Force e la morte precoce della moglie avvenuta nel 1964 per polmonite ne segnarono inevitabilmente la scrittura, a partire dai primi racconti pubblicati sulle riviste indipendenti di fantascienza.
Se si volesse compendiare in un’unica parola l’opera di questo scrittore, potrebbe essere “sopravvivenza”. Tutti i suoi personaggi sono costantemente coinvolti in un processo di sopravvivenza emotiva che si traduce in sopravvivenza fisica o, per iperbole, nella resistenza del genere umano alle catastrofi naturali e antropologiche. Ciò che accade nello spazio esterno non è altro che la proiezione cartografica dei contenuti psichici dei protagonisti, emersi grazie a nuovi stimoli. A ispirare Ballard erano infatti la prosa scientifica, i resoconti psichiatrici e le opere del Surrealismo. Non solo perché da giovane era stato anche pittore, ma perché per lui analizzare l’inner space significava sondare le più antiche forze motrici del cosmo, Eros e Thanatos, le pulsioni primordiali di vita e di morte. “L’influenza più grande l’hanno avuta artisti come De Chirico, Salvador Dalì, Max Ernst, René Magritte. Mi sembra siano stati capaci, attraverso i loro paesaggi, di creare una corrispondenza perfetta col mondo interiore che ciascuno di noi vive nella propria testa”, racconta in un’intervista. Secondo i surrealisti l’emergere delle pulsioni vitali rimosse e il loro libero sfogo nella quotidianità permettevano all’individuo di raggiungere uno stato di completezza: la surrealtà.
Mentre altri scrittori del Novecento, come José Saramago o Albert Camus, sono risultati quanto mai attuali per raccontare le conseguenze sociali della pandemia di COVID-19, Ballard è stato capace di tratteggiare la quotidianità dell’isolamento. Nel racconto “Saluti da Las Palmas” (“Having a Wonderful Time”) pubblicato per la prima volta nel 1982 nella raccolta Mitologie del futuro prossimo (Myths of the Near Future), una coppia si ritrova imprigionata in un resort di lusso senza alcuna possibilità di tornare a casa. “A quanto pare ci sono stati dei problemi all’aeroporto di Gatewick e Richard è preoccupato di non rientrare in ufficio. In hotel sono stati molto gentili, non ci accrediteranno alcun sovrapprezzo”, scrive Diana in una cartolina indirizzata a un’amica. Quello che all’inizio sembra solo un contrattempo, si rivela essere una condizione perenne: le Canarie sono state convertite dall’Occidente in una sorta di campo di detenzione di massa in cui le persone non più impiegabili nel mercato del lavoro sono relegate e costrette a vivere in uno stato sospeso d’incertezza. Un’immagine che facilmente richiama quelle delle decine di navi da crociera a cui viene ancora negato lo sbarco, imponendo a circa diecimila passeggeri e migliaia di membri degli equipaggi un’attesa sfibrante, o degli innumerevoli italiani bloccati all’estero
A essere ancora più attuale è “Riunione di famiglia” (“The Intensive Care Unit”), contenuto nello stesso volume, in cui viene messo in scena un mondo dove ogni essere umano vive in isolamento dalla nascita, senza mai interagire con nessuno. I rapporti, anche quelli tra i membri più stretti di una famiglia, avvengono solo tramite schermi su cui vengono proiettate le vite di ciascuno, monitorate da videocamere in ogni momento. Persino i gesti più fisici sono digitalizzati. “Sintonizzandoci sul nostro canale privato, io e Margaret avremmo fatto l’amore, celebrando la pace profonda dei nostri letti nuziali. Poi, avremmo chiamato i nostri figli e li avremmo guardati giocare nei loro lettini, forse sorprendendoli con la promessa di un giro al parco o al circo. I miei cinque anni da studente di medicina sono passati senza dover mai visitare un paziente dal vivo. Tutte queste attività, ovviamente, come la nostra stessa vita familiare, sono possibili solo grazie alla televisione”. Le ragioni non sono mai chiarite a fondo, ma il protagonista – un chirurgo – lascia intendere che il distanziamento sociale sia dovuto a una paura di natura psicologica e biologica, che però non comportano alcuna alienazione. “Non ero mai solo sullo schermo”.
A rileggerlo oggi, sembra un’analogia perfetta del proliferare di dirette e contenuti nati, per necessità o per incapacità nel tollerare la noia, durante i giorni di lockdown. Allargando l’orizzonte temporale, emerge la capacità di Ballard di anticipare i grandi temi del nostro secolo. Dominati dalla tecnologia, mentre gli schermi ci trasformano in voyeur la nostra empatia è andata piano piano assottigliandosi. La sua intuizione più profonda è stata accorgersi che le nuove forme di comunicazione e convivenza, come la pubblicità, i grattacieli e i centri commerciali, producevano scenari tanto nuovi quanto inquietanti se indagati a fondo. “Viviamo in un mondo dominato da finzioni di ogni tipo: merchandising di massa, pubblicità, politica gestita come fosse un ramo della pubblicità, la traduzione istantanea di scienza e tecnologia in immagini popolari, la crescente confusione e mescolanza di identità all’interno del regno dei beni di consumo, il preludio di ogni risposta immaginativa libera e originale all’esperienza dello schermo”, racconta Ballard durante una delle prime presentazioni di Crash, il suo romanzo più famoso, portato sul grande schermo da David Cronenberg nel 1996.
Schivo a ogni etichetta letteraria, ha spaziato tra fantascienza, cyberpunk e postmodernismo, è stato tra i pochi scrittori a ottenere un sostantivo coniato dal proprio nome. “Ballardiano” suggerisce infatti le condizioni descritte nelle storie di Ballard, nella sua “moderna modernità”, negli effetti psicologici degli sviluppi tecnologici, sociali o ambientali, e negli squallidi paesaggi creati dall’uomo, quei non luoghi potremmo aggiungere di cui parla l’antropologo francese Marc Augé: spazi che creano solitudine e similitudine. Senza memoria storica e senza futuro, l’uomo pronosticato da Ballard vive in un istante perpetuo, un continuo presente da cui cerca di fuggire, forse perché incapace di sostenere la vetrinizzazione imperante del contemporaneo, cioè il tentativo di catturare l’attenzione su di sé adeguandosi agli standard imposti dalla società. Sono le nuove forme di fascismo sociale che secondo lo scrittore inglese derivano dall’incapacità dell’essere umano di realizzare i desideri più intimi. Nelle sue opere non c’è mai però un fine morale, perché più che profetica, la sua capacità è stata quella di disvelare le speranze e le pulsioni – soprattutto sessuali e violente – dell’uomo, ispirandosi alle teorie di Freud e Jung che aveva studiato durante la sua formazione di psichiatra mancato. Merito anche del genere che più lo ha reso noto. Relegata ai margini, la fantascienza “non solo è conscia del fatto che il futuro è alle porte ma è desiderosa di discuterne e di formulare delle teorie su questo argomento. La science fiction non solo riconosce che il nostro mondo cambia costantemente, ma è conscia altrettanto del fatto che voi potete influire sul cambiamento”.