La possibilità di avere un vaccino contro il Covid-19 entro i primi mesi del 2021 si fa sempre più concreta. Pochi giorni fa la casa farmaceutica Pfizer ha reso noto che entro il mese prossimo chiederà alla Fda statunitense (Food and Drug Administration) l’autorizzazione alla produzione. Lo ha comunicato in una lettera l’amministratore delegato Albert Bourla, spiegando che se i test sull’efficacia e sulla sicurezza saranno ritenuti validi, entro la terza settimana di novembre la società sarà pronta a chiedere l’autorizzazione. Pfizer non è un caso isolato: al momento 11 vaccini sono nella terza fase di sperimentazione, che ne prevede la somministrazione a migliaia di volontari per testarne l’efficacia rispetto a un placebo. Probabilmente non tutti supereranno i test – la sperimentazione del vaccino della Johnson&Johnson, per esempio, è stata interrotta a causa della malattia di uno dei volontari – ma di sicuro l’eventualità di un vaccino è molto vicina e concreta.
In teoria questo dovrebbe essere motivo di sollievo per tutti. La realtà però è diversa. Una ricerca svolta lo scorso agosto dal World Economic Forum in collaborazione con Ipsos ha infatti mostrato che nel mondo non tutti aspettano con ansia l’arrivo del vaccino contro il Sars-Cov-2. La ricerca è stata svolta tra il 24 luglio e il 7 agosto scorso e ha coinvolto circa 20mila persone provenienti da 27 Paesi. I soggetti di indagine sono stati selezionati in modo da riflettere bene il profilo demografico e culturale della popolazione adulta in ogni Nazione. A livello globale il 74% degli intervistati ha dichiarato di volersi sottoporre al vaccino non appena questo sarà disponibile, anche se il 59% non pensa che ciò avverrà prima della fine di quest’anno. Nella maggior parte dei Paesi le persone favorevoli superano di gran lunga quelle sfavorevoli, ma con differenze significative. I Paesi nel complesso più favorevoli al vaccino sono la Cina (97%), il Brasile (88%), l’Australia (88%), e l’India (87%). Quelle invece in cui prevale lo scetticismo sono la Russia (54%), la Polonia (56%), l’Ungheria (56%), e la Francia (59%). A dividerci da quest’ultima c’è solo il Sudafrica. L’Italia, infatti, ha il 34% di intervistati contrari al vaccino, in linea con gli Stati Uniti, la Germania e la Svezia.
Le preoccupazioni principali a livello mondiale sono la paura di effetti collaterali (56%), i dubbi sull’efficacia (29%) e la percezione di non essere a rischio di contrarre il Covid-19 (19%). Il 17% degli intervistati, inoltre, ha dichiarato che l’unica ragione per non volersi sottoporre alla vaccinazione è la mancata fiducia in generale nei vaccini, percentuale che sale al 30% nel nostro Paese, che ha il valore più alto insieme alla Russia.
Uno studio simile, pubblicato lo scorso giugno dall’Engage Minds HUB dell’Università Cattolica di Milano e riguardante solo il nostro Paese, ha messo in luce una situazione simile: nonostante la vaccinazione di massa sia l’unico modo per uscire completamente dalla pandemia, il 41% degli intervistati ha affermato che la propria propensione a una futura vaccinazione è “per niente probabile” o a metà tra “probabile e non probabile”. La ricerca è stata condotta su un campione di mille persone nel maggio scorso e i dati mostrano qualche differenza a livello locale. Nel Centro Italia, infatti, la propensione a non vaccinarsi è più alta (43% degli intervistati). Altre informazioni interessanti arrivano dall’incrocio dei dati di base con le informazioni socio-demografiche. Gli under 35 (il 34% del totale degli intervistati) e gli over 60 (29%) sono meno esitanti nei confronti della vaccinazione. Più dubbiose, invece, risultano le persone tra i 35 e i 59 anni (48%). I pensionati e gli studenti si confermano meno diffidenti verso il vaccino; più esitanti invece gli operai e nella media del valore nazionale impiegati e imprenditori.
A fare la differenza sembra però essere l’aspetto psicologico: chi è più fatalista nella gestione della propria salute e ritiene che il rischio di contagio da Sars-Cov-2 sia fuori dal suo controllo è più scettico rispetto alla necessità di vaccinarsi (57%), mentre chi è più coinvolto e si sente responsabile in prima persona nella prevenzione del contagio risulta più propenso a farsi somministrare il vaccino. A fare la differenza è anche l’idea della vaccinazione come atto di responsabilità sociale: chi ha un approccio più individualista ed egoista alla gestione della salute tende a essere ancora più refrattario verso l’ipotesi di un futuro programma vaccinale per Covid-19 (71%) Al contrario, sono più propensi della media coloro che ritengono che i loro comportamenti individuali abbiano un impatto importante per la salute collettiva.
“Questi dati sono un campanello di allarme di cui tenere conto, soprattutto perché segnalano la necessità di iniziare sin da subito con una campagna di educazione e sensibilizzazione dedicata alla popolazione in cui aiutare a comprendere l’importanza di vaccinarsi contro la Covid-19”, ha detto Guendalina Graffigna, responsabile della ricerca. “Non si tratta solo di diffondere informazioni o di combattere le fake news sui vaccini. Ciò che va perorato, prima ancora di un atteggiamento positivo verso i vaccini, è la maturazione di un migliore coinvolgimento attivo verso la salute e la prevenzione, che passa dalla comprensione di come ogni nostra azione preventiva sia un atto di responsabilità sociale verso la salute della collettività”.
Purtroppo ad arrivare al maggior numero di persone, spesso, sono proprio i messaggi sbagliati. Uno studio della George Washington University, pubblicato lo scorso maggio su Nature, ha indagato i diversi sistemi di comunicazione messi in atto sui social network dai gruppi favorevoli e da quelli contrari al vaccino. Sebbene questi ultimi siano relativamente pochi, fanno più “rumore”, nel senso che i loro messaggi fuorvianti riescono a raggiungere un maggior numero di “indecisi”, anche in gruppi in cui l’argomento principale non è quello dei vaccini. Secondo Heidi Larson, che dirige il Vaccine Confidence Project, gruppo della London School of Hygiene and Tropical Medicine che si occupa del monitoraggio della fiducia del pubblico verso i vaccini, “le community di persone favorevoli ai vaccini sono fedeli a un solo tipo di narrativa e formate da persone che interagiscono esclusivamente tra di loro, senza riuscire a raggiungere eventuali indecisi”.
Nei gruppi pro-vaccini, infatti, il messaggio è solo uno e molto semplice: i vaccini funzionano e salvano vite. Che è giusto e condivisibile, ma interpella solo la parte razionale di chi legge. La narrativa utilizzata dagli antivaccinisti, invece, fa leva o sulla paura o sull’amore per i propri figli, mira a instillare in chi legge preoccupazioni sulla salute dei bambini per passare poi al pubblicizzare medicine alternative, fino ad arrivare alle teorie del complotto più inverosimili. Questi messaggi fanno il giro del mondo in poche ore e si trasformano anche in atti concreti come le manifestazioni che si sono svolte a Roma a settembre e a ottobre, con i no mask, i no vax e i negazionisti – oltre a diversi militanti di estrema destra – riuniti per protestare contro quella che viene definita “una dittatura sanitaria”. Una novità? Assolutamente no. I messaggi utilizzati, infatti, rispecchiano esattamente quelli già visti più di cento anni fa durante l’epidemia di vaiolo a Montreal. Oggi il vaiolo è stato eradicato in tutto il mondo proprio grazie alle campagne di vaccinazione di massa, ma all’epoca quelle misure venivano viste come una violazione della libertà, si negava l’effettiva pericolosità della malattia, e i vaccini venivano considerati inefficaci o addirittura nocivi.
Un altro problema è anche il risalto mediatico dato a personaggi noti che parlano – a sproposito – di argomenti di cui non hanno alcuna competenza: ne sono esempi Madonna, che sul suo profilo Instagram da oltre 15 milioni di followers ha postato un video, poi rimosso dal social network stesso, in cui si sosteneva che “un vaccino contro il Sars-Cov-2 già esiste, ma viene tenuto nascosto”, o Kanye West che, in una delirante intervista per Forbes, definisce il vaccino “il marchio della bestia”, “un modo per inocularci un microchip”. Ancora più grave è il carosello degli ultimi mesi dei più o meno esperti sul tema che per sete di visibilità sostengono teorie surreali solo per distinguersi e farsi notare rispetto all’opinione condivisa da tutta la comunità scientifica internazionale. Tutto questo farebbe ridere, se non stesse innescando una serie di comportamenti pericolosi per l’intera collettività.
Intanto, per tentare di arginare il problema almeno online, Facebook ha recentemente annunciato che censurerà le inserzioni che scoraggiano l’uso dei vaccini. Un ulteriore passo avanti dopo che, nel corso dell’anno, aveva vietato i post contenenti messaggi di disinformazione sui vaccini. Kang-Xing Jin, responsabile Facebook delle iniziative per la salute, ha detto che “Il nostro obiettivo è quello di far sì che i messaggi relativi alla sicurezza e all’importanza dei vaccini raggiungano il maggior numero di persone possibile, proibendo invece quegli annunci che, con informazioni sbagliate, possono minare la sicurezza sanitaria”. Possiamo solo sperare questo sia l’inizio di un ritorno di fiducia nel valore della scienza. Anche se qualcuno ha tutto l’interesse nel convincerci del contrario, sono la ricerca e il metodo scientifico ad aver sconfitto molte delle pandemie del passato. Quelle e la nostra capacità di usare il cervello.