Israele ha chiuso una clinica COVID-19 nel quartiere palestinese di Silwan

Secondo quanto riportano i giornali locali, le autorità israeliane hanno imposto la chiusura di una clinica di fortuna nel quartiere di Silwan, nell’area palestinese di Gerusalemme, messa in piedi dagli attivisti in una moschea per somministrare test e cure contro il coronavirus. Secondo l’Israel-Palestine mission network della Chiesa presbiteriana statunitense, le autorità israeliane, in questi giorni di emergenza sanitaria, non solo si rifiutano di testare i cittadini palestinesi, ma contrastano anche le iniziative autonome della Palestinian authority, a cui è impedito di lavorare nella città di Gerusalemme. Per questo hanno accusato il governo di Netanyahu di genocidio.

Lunedì, su richiesta del sindaco di Gerusalemme Mayor Moshe Leon e dei professionisti della sanità, il ministero della Salute israeliano ha aperto una clinica nello stesso quartiere di Silwan, la quale però risulta accessibile solo ai membri della Clalit, un’associazione istituita nel 1911 che si occupa di fornire assistenza sanitaria semi-pubblica, alla quale ogni cittadino residente in Israele deve essere iscritto.

L’emergenza coronavirus ha evidentemente esacerbato le discriminazioni in un’area in perenne conflitto. Secondo diversi osservatori, la diffusione incontrollata del virus in Palestina potrebbe causare una catastrofe sanitaria, economica e politica. L’inviato speciale dell’Onu per il processo di pace in Medio Oriente Nickolay Mladenov ha espresso preoccupazione “per i riflessi della pandemia oltre che sulla salute pubblica, per l’impatto sul benessere della popolazione, sul lavoro, sulla coesione sociale, sulla stabilità finanziaria e istituzionale”. Ha anche però lodato una prima iniziativa del governo israeliano, il quale il mese scorso ha trasferito in maniera urgente circa 120 milioni di shekel all’Autorità palestinese.

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